Viktor Šklovskij,
Rozanov
Giulia Baselica

Viktor Šklovskij, Rozanov, traduzione e postfazione di Maria Zalambani, a cura di Federica Arnoldi, Luca Mignola e Alfredo Zucchi, Wojtek, Pomigliano d’Arco, 2023.

In questi ultimi anni il pensiero e l’opera di Viktor Šklovskij sono oggetto di un rinnovato interesse da parte degli studiosi e dell’editoria italiana. Nel 2019 è apparsa per i tipi di Adelphi una nuova traduzione di Viaggio sentimentale: memorie 1917-1922 (versione italiana di Mario Caramitti e cura di Serena Vitale), mentre Mimesis ha pubblicato una riedizione del saggio I formalisti russi nel cinema, a cura di Pietro Montani. E nel 2021, presso Ghibli, è uscita una ristampa della ponderosa monografia Sua maestà Eizenštejn: biografia di un protagonista, già pubblicata nel 1974 da De Donato nella traduzione di Pietro Zveteremich. Ultimo titolo della collana «Ostranenie», della casa editrice Wojtek, e tuttavia introduttivo al percorso di ricerca condotto da Federica Arnoldi, Luca Mignola e Alfredo Zucchi, Rozanov appare per la prima volta in versione italiana integrale. Ne era uscita un’edizione einaudiana ridotta, nel 1976, a cura di Cesare G. De Michelis e Renzo Oliva, contenuta nel volume Teoria della prosa.

È un densissimo volumetto che offre al lettore l’occasione di assistere a una interessante lezione šklovskiana, non soltanto attuale, bensì anche ispiratrice di rinnovate riflessioni sulla relazione tra forma e contenuto di un’opera letteraria. La traduzione del testo Rozanov è preceduta da una Prefazione nella quale i curatori tratteggiano il composito contesto in cui la trattazione si colloca: l’estraniante scenario nel quale Šklovskij concepisce il saggio; l’accidentato percorso compiuto dagli stessi curatori per ottenere il testo e dare avvio al progetto della sua pubblicazione; la collocazione e il ruolo di Rozanov nella collana «Ostranenie». Ed è seguita, oltre che da due Schede bio-bibliografiche relative a Viktor Šklovskij e a Vasilij Rozanov, anche da una Postfazione, a cura di Maria Zalambani, illuminante approfondimento sulle ricerche che Šklovskij dedicò all’intreccio a partire dal 1919, compiendo un’indagine vasta e profonda in un territorio culturale inteso come Weltliteratur.

A partire dallo studio di tre delle ultime opere – Solitaria (Uedinënnoe) e Foglie cadute (Cesta 1 e 2) (Opavšie list’ja, Korob 1 e Korob 2) – del filosofo, scrittore e saggista Vasilij Rozanov (1856-1919), il critico e teorico Viktor Šklovskij mira a dimostrare che «l’anima di un’opera letteraria non è altro che la sua struttura, la sua forma» (p. 15). Dei tre libri rozanoviani rileva innanzi tutto la portata rivoluzionaria: essi sono l’espressione di un genere nuovo, nel quale si può cogliere il preannuncio di indizi postmoderni. Vi compaiono, infatti, articoli di pubblicistica letteraria; la biografia dell’autore stesso costruita con brani descrittivi e fotografie; resoconti di momenti del prosaico quotidiano privi di spiegazione o di motivazioni. Ma, soprattutto, è un chiarissimo esempio di prosa priva di intreccio, il quale di norma identifica, invece, la legge che presiede all’organizzazione del materiale costitutivo di un’opera letteraria. Rozanov, osserva Viktor Šklovskij, compie un’autentica rivoluzione, innanzi tutto attribuendo ai temi del quotidiano «sia l’aureola sia la gloria» (p. 24) e conferendo loro una letterarietà definita mediante l’ossimoro, il contrasto fra il «paesaggio» e l’azione principale, fra il contesto biografico dell’autore e la formulazione del pensiero che ha dato origine a un frammento letterario, in una cornice distopica. In secondo luogo Šklovskij riconosce nelle tre opere prese in esame il processo di canonizzazione della linea minore, per esempio impiegando il gergo della malavita o utilizzando alcuni temi della letteratura poliziesca. Il critico formalista sottolinea la preminenza del procedimento artistico sui pensieri e il potente effetto estraniante prodotto dalla sovrapposizione o dall’accostamento di temi, motivi e linguaggi convenzionalmente non coerenti e dalla risemantizzazione degli oggetti mediante connotazioni sinestetiche: ne sono esempi i «suoni brillanti» o il «tintinnio color lampone».

Non fu unanime il giudizio che la critica coeva attribuì a Rozanov. Viktor Žirmunskij, per esempio, pubblicò nel 1921 sul periodico «Načala» un intervento teso a valorizzarne l’originalità, l’acutezza e la consequenzialità di pensiero. Apprezzò gli esiti dell’analisi condotta dall’autore, in particolare la confutazione della convenzionale distinzione tra forma e contenuto dell’opera letteraria; l’identificazione tra evoluzione storica della letteratura e processo autonomo di nascita e morte delle stesse forme letterarie, determinato dal progressivo esaurimento dei vecchi procedimenti letterari, che diventano consueti e cessano di essere attivi, permettendo così ai nuovi, in realtà già esistenti, ma non apprezzati perché non corrispondenti al gusto estetico dell’epoca, di canonizzarsi. Pur precisando che il fecondo e originale approccio critico all’opera di Rozanov non deve escludere altri metodi analitici, Žirmunskij definisce il saggio di Šklovskij «un sottile e convincente esempio di analisi formale».

L’anno successivo, dell’impostazione metodologica adottata dal critico formalista, lo studioso Konstantin Loks dette invece nelle pagine della rivista «Pečat’ i revoljucija» una valutazione severa, affermando, addirittura, che «Šklovskij intende innanzi tutto dissipare le nostre illusioni: tutto è letteratura e tutto può essere spiegato applicando le note regole del disegno e della composizione». Il critico si sofferma sulla peculiare visione šklovskiana delle tre opere di Rozanov considerate una unità compositiva assimilabile all’insieme unitario di un intreccio romanzesco, anche se priva di connessione argomentativa. Secondo Loks, Viktor Šklovskij rivendica la scientificità delle proprie affermazioni; tuttavia, osserva il critico, «la scienza è scienza e la commistione di scienza e feuilleton è cosa inutile. E tale è lo stile dell’intero opuscolo [che] non è sufficientemente rigoroso né coerente» e «finisce con il suscitare nel lettore la duplice impressione di inutile pedanteria e finezza d’ingegno gettata al vento».

Il giudizio critico di Loks induce a ritenere che la ricezione critica del processo evolutivo delle forme letterarie individuato e illustrato da Šklovskij sia soggetto alle stesse dinamiche rilevate da Žirmunskij. Il metodo analitico applicato nel saggio dedicato a Rozanov risulta incompatibile con la visione critica ortodossa, espressione di un approccio di natura organicistica – oggetto di studio di Victor Terras nel contributo The Organic Tradition in Russian Literary Criticism – di Konstantin Loks, il quale, proprio nel periodo in cui apparve la sua recensione, svolgeva la funzione di segretario del “Glavnauka” (organo di coordinamento delle ricerche scientifiche di profilo teoretico e della propaganda scientifica e culturale) e teneva il corso di Teoria della prosa presso l’Istituto superiore di Arte e Letteratura. Era l’epoca in cui ogni critico letterario si proponeva come mediatore e testimone istituzionale del dialogo tra autore e lettore e il suo compito consisteva nel presentare ed esplicare al lettore l’opera presa in esame, descrivendo dettagliatamente gli aspetti contenutistici e ideologici, analizzando le peculiarità formali e riportando un commento chiaro e circostanziato.

Rozanov irrompe dunque nel contesto critico-letterario degli anni Venti proponendo un percorso metodologico addirittura sovversivo, con una conclusione estraniante e, anzi, del tutto disorientante, sia pure preceduta da una ironica dichiarazione: «Devo finire questo lavoro. Penso di chiuderlo qui. Si potrebbe infiocchettare il finale, ma io sono certo che il vecchio canone dell’articolo o della lezione che terminano con una conclusione sia morto» (p. 50).