Pier Paolo Pasolini,
Le lettere
Marco Rustioni

Pier Paolo Pasolini, Le lettere, a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini, Milano, Garzanti, 2021.

Tra le numerose iniziative editoriali uscite negli ultimi mesi per ricordare Pasolini a cento anni dalla nascita, di un certo rilievo è stata la pubblicazione sul finire del 2021 del volume Le lettere, a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini. L’opera restituisce all’attenzione della critica uno strumento necessario e ormai introvabile, considerato che il doppio volume einaudiano (1986-1988) allestito dallo stesso Naldini, risulta da tempo esaurito. Ma Le lettere offre anche una sistemazione complessiva dei ritrovamenti e delle pubblicazioni successive alla precedente edizione. Vengono infatti aggiunti al corpus preesistente più di trecento documenti, in parte ricavati da ulteriori ricerche d’archivio, in parte estrapolati da altri epistolari già pubblicati negli ultimi anni, o ancora recuperati dai quotidiani dove erano usciti alla spicciolata e in forma parziale. Anche di queste nuove, laddove era possibile, viene riportata in nota la minuta della lettera ricevuta o della risposta successiva, in modo da rendere più chiaro il contesto della corrispondenza. Molto ampia rispetto alla precedente edizione è la cronologia posta ad introduzione del volume e che si intreccia al contenuto delle lettere, dando così un ulteriore apporto di riferimenti.

Ai curatori va senz’altro il merito di aver riunito insieme tutto questo materiale e di aver mantenuto lo scorrimento cronologico delle lettere senza cadere nella tentazione (data la mole delle carte) della divisione del carteggio per destinatari. Questa scelta consente di attraversare la vita di Pasolini e di seguire la sua vicenda intellettuale come se si trattasse di un’autobiografia epistolare. Il volume racconta trentasei anni della sua vita e copre il periodo che va dal giugno del 1940 all’ottobre del 1975, dallo scambio dei voti della maturità con Franco Farolfi alla richiesta rivolta a Graziella Chiarcossi di ricopiare un testo di presentazione per una mostra di Andy Warhol. Ma soprattutto, ciò permette di giudicare il rilievo assunto dai nuovi documenti nella ricomposizione della sua biografia e se effettivamente, così inseriti nel continuum esistenziale, questi tasselli memoriali raffigurano con più precisione il sistema di relazioni intrecciato da Pasolini in un dato momento storico, o se riescono ad illuminare passaggi biografici meno conosciuti.

Data la fitta trama di riferimenti è inevitabile soffermarsi solo su alcuni dati e suggerire qualche riflessione generale. La prima annotazione è di tipo quantitativo e riguarda la dislocazione dei nuovi documenti su tutto l’arco cronologico. Rispetto ai volumi einaudiani mi sembra che sia maggiore l’incidenza delle inedite sul secondo tempo della vita di Pasolini, quello meno identificabile con l’impegno letterario praticato fino agli anni Cinquanta e più vicino alla militanza corsara successivamente perseguita e fondata sull’immagine pubblica di regista e di saggista. Prendendo come riferimento il 1959, anno di chiusura di «Officina», nei sedici anni successivi Pasolini scrive meno di quattrocento lettere di cui centoventi inedite; nei precedenti l’autore ne aveva scritte quasi mille e oltre duecento sono quelle aggiunte dai curatori. Questo calcolo numerico, di fatto, non sovverte i rapporti tra le due fasi e sembra confermare il lento affrancamento di Pasolini dalla corrispondenza epistolare. E questo dato risulta più evidente (nonostante il maggior numero di nuovi documenti identificati, peraltro sempre più scarni e telegrafici) negli ultimi anni della sua vita. Per quanto riguarda invece la prima parte, quella più cospicua, le inedite si concentrano in sette anni, tra il 1945 e il 1952; ed è qui che il quadro delle relazioni intrecciate si fa più fitto. È questa la fase in cui Pasolini avvia un’intensa attività dialettale in versi e promuove attraverso varie iniziative lo sviluppo culturale del dialetto, dalla Academiuta allo «Strolic», fino alla stampa nel 1952 della Poesia dialettale del Novecento curata insieme a Mario Dell’Arco. Ed è questo anche il periodo in cui avviene il trasferimento a Roma e comincia ad allargarsi la cerchia dei suoi interlocutori.

I testi aggiunti, che si inseriscono entro un sistema di amicizie già ampio, non assumono solo valore documentario ma danno la misura del valore attribuito da Pasolini nella prima parte della sua vita a questa forma incessante di dialogo. Attraverso ogni lettera l’autore stabilisce un contatto personale ed esclusivo coi suoi interlocutori ma al contempo orienta giudizi e interpretazioni, tanto da esercitare una vera e propria forma di egemonia. Assai diverso è quanto accade dopo il 1959. Nonostante Pasolini continui a mantenere tutta la sua autorevolezza, spesso scrive anche per difendere le proprie posizioni ideologiche. Il tono stesso delle lettere cambia radicalmente e col trascorrere degli anni emerge dalle sue parole la paura e l’angoscia di non essere compreso, la rabbia di sentirsi offeso e perseguitato. Aumentano le missive inviate agli amici che ritiene si siano allontanati da lui o che ormai considera veri e propri nemici (esemplare, in questo senso, è la parabola dei rapporti intrecciati con Massimo Ferretti). Detto questo, anche dai testi più risentiti affiora la consapevolezza che solo attaccando e polemizzando è possibile sostenere le proprie posizioni e sollecitare il discorso altrui. Da questo punto di vista Le lettere rappresenta un eccezionale laboratorio per saggiare la tenuta argomentativa della scrittura pasoliniana. Spesso, infatti, la distanza tra riflessione pubblica e privata risulta minima, tanto che vi sono dei documenti dove si può scorgere le tracce della successiva e celebre diagnosi antropologica, già visibili nella bozza del discorso preparato per il conferimento del premio Chianciano assegnato nel 1961 a La religione del mio tempo.

In conclusione, per offrire almeno un’idea dei rapporti che Pasolini intratteneva con i suoi destinatari, può essere utile soffermarsi sulla lettera inviata ad Ungaretti nel febbraio del 1953. Si tratta di una delle sei missive inedite raccolte nel volume ed è un ritrovamento di un certo interesse considerato che Ungaretti non figurava tra gli interlocutori di Pasolini nell’edizione einaudiana. L’occasione da cui scaturisce il contatto è il saggio La nuova «Allegria» di Ungaretti, pubblicato da Pasolini sul «Giovedì» il 5 febbraio del 1953. Il testo è poco apprezzato dal poeta, che lamenta di non essersi riconosciuto nelle parole del friuliano. Tenendo conto che Pasolini era ben lontano dall’essere la figura intellettuale che oggi conosciamo (a questa altezza cronologica è un giovane poeta e critico letterario) stupisce la fermezza della sua risposta e il modo in cui difende le sue scelte critiche, dichiarandosi indisponibile a scrivere un elegante soffietto ed esortando Ungaretti a scorgere nella sua interpretazione un segno di vita e non un errore perché in essa si sente «il suono – dagli echi un po’ agghiaccianti e maestosi – dello scambio di generazioni».1

Note

1 P.P. Pasolini, Le lettere, a cura di A. Giordano e N. Naldini, Milano, Garzanti, 2021, pp. 752-753.