
L’amico
Ho conosciuto Piergiorgio nel luglio del 1962 a Torino, quando vi ero appena arrivato per lavorare in casa editrice Einaudi e i «quaderni piacentini» esistevano da pochi mesi. Insieme con suo fratello Alberto e con Grazia Cherchi, Piergiorgio venne a Torino subito dopo i grandi scioperi alla Lancia e alla Fiat, a pochi giorni di distanza dai fatti di piazza Statuto. Voleva documentarsi, parlare di quanto stava succedendo con Raniero Panzieri e altri compagni dei «Quaderni rossi». Cominciò allora la nostra lunga amicizia, alimentata e rafforzata in seguito dal lavoro per la rivista, ma non solo da quello. Nel corso degli anni ’60-’70, fino ai primi anni ’80, c’incontrammo moltissime volte alle riunioni redazionali, prima a Piacenza e poi a Milano; negli appuntamenti conviviali e di lavoro a Piacenza, a Malèo, a Samboseto; nelle indimenticabili soste a Piacenza quando, per le vacanze di fine anno, Fiamma e io ci fermavamo qualche ora per cenare e parlare con lui e con Grazia. Piergiorgio, da parte sua, veniva spesso a Torino con la sua Volkswagen per consegnare di persona la rivista alle librerie torinesi ogni volta che usciva un nuovo numero (quando potevo gli davo una mano in questa distribuzione autogestita).
Lo scrittore, il critico
Credo di aver letto buona parte di quanto Piergiorgio ha pubblicato: non solo in ragione dell’amicizia, ma proprio per il piacere e il nutrimento intellettuale (etico-estetico) che si riceve dai suoi scritti, siano essi narrativi, critici, aforistici, di costume o moralità. Senza voler teorizzare o mitizzare nulla, penso che la provincia, in cui si è formato ed è sempre vissuto, gli abbia dato quell’agio di riflettere, di leggere e di giudicare – i libri, i film e insieme la realtà del mondo – che essa qualche volta può dare: una sorta di vantaggio sulla frenesia dispersiva e spesso fasulla della grande città. Fra la massa di chi non pratica la lettura e la folta élite di chi la pratica per mera professione, Piergiorgio è un esempio sempre più raro di lettore autentico, appassionato e al tempo stesso disinteressato.
Dire che Piergiorgio è un eccellente scrittore e saggista – un maestro della prosa italiana: uno dei migliori che ci sono rimasti – dovrebbe essere un’ovvietà ampiamente condivisa (ricordo solo la grandissima stima che ne aveva Sebastiano Timpanaro); ma forse non lo è, o non è così condivisa, come risulta anche dal comportamento un po’ incerto, ondivago e distratto degli editori che l’hanno pubblicato, ma non certo coltivato e valorizzato. Mi pare che nella sua prosa saggistica si ritrovi quell’osservazione implacabile dei “costumi degli italiani” praticata in passato da alcuni nostri classici. E anche nei pezzi brevi che ha pubblicato negli anni su giornali e periodici («l’Unità», «L’illustrazione italiana», «Panorama», «Tempo illustrato», «King» e altri) si attiene alla sua cifra inconfondibile e non indulge mai agli stilemi corrivi del giornalismo d’occasione.
Profondo conoscitore dei classici italiani e stranieri, Piergiorgio ha scritto numerose prefazioni per “i grandi libri” Garzanti, esemplari per l’equilibrio virtuoso d’informazione e interpretazione (alcuni dei principali romanzi di Dickens, le Memorie di Giacomo Casanova, Armance e La Chartreuse di Stendhal); le densissime pagine sul Romanzo russo dell’800 che ben pochi avranno letto, sepolte come sono in un volume del Poligrafico dello Stato uscito negli anni ’90; e da ultimo l’introduzione ai quattro romanzi di Flaubert per una collana di Grandi opere dell’«Espresso». Ma si è occupato anche, con prefazioni e saggi, di autori e libri del Novecento, come Opinioni di un clown di Heinrich Böll, La cospirazione di Paul Nizan, Il buon soldato Švejk di Jaroslav Hašek, Una questione privata di Beppe Fenoglio, Autobiografie della leggera di Danilo Montaldi. Va ricordata inoltre la sua lunga introduzione (Disperatamente italiano) agli Scritti sulla politica e sulla società di Pasolini – sul quale si è sempre esercitato il suo interesse critico – raccolti nel 1999 in uno dei Meridiani Mondadori.1 Immagino e spero che fra i suoi inediti ce ne siano anche su Karl Kraus, uno degli autori da lui prediletti. Piergiorgio si è talora cimentato, e a mio avviso avrebbe dovuto farlo più spesso, nella critica cinematografica: basti ricordare la sua acutissima analisi di Barry Lyndon di Kubrick (sul n. 62-63, 1977, di «quaderni piacentini» e poi nell’Astuzia delle passioni).
Non parlo di Piergiorgio e la politica, e in particolare del suo impegno nel lungo decennio che comincia nel ’68. Credo tuttavia che – sebbene oggi egli pensi di essere stato allora troppo indulgente con “gli amici” – la generosità e l’equilibrio del suo atteggiamento avrebbero meritato maggiore attenzione e riconoscimento.2
L’editore
Penso che fra i talenti di Piergiorgio ci sia anche quello editoriale. Sono convinto che sarebbe stato un eccellente redattore e consulente, se solo gli editori italiani fossero stati più lungimiranti e coraggiosi e lui un po’ meno pigro, o meno “provinciale” nel senso che ho già detto. Lo testimoniano in primo luogo le due riviste legate al suo nome – «quaderni piacentini» e «Diario» – in cui ha profuso per decenni non solo intelligenza e capacità di ideazione e direzione, ma anche spiccate doti di semplicità, eleganza e rigore grafico. Voglio ricordare anche il Saggio sulla politica comunista in Italia (1919-1970) di Danilo Montaldi, l’unico libro da lui pubblicato, nel 1976, con il marchio «quaderni piacentini», in segno di omaggio e stima per un amico e compagno prematuramente scomparso l’anno prima; e la breve ma intensa stagione delle edizioni Gulliver, promosse e dirette insieme con Giovanni Raboni alla fine degli anni ’70, di cui si ricorda soprattutto la serie dei volumi dedicata alla Cultura del Novecento.
Un auspicio
Vorrei che Piergiorgio avesse pubblicato di più, ma mi accontenterei se i suoi libri fossero riproposti con convinzione da qualche editore un po’ sveglio. Spero vivamente, per cominciare, che si ristampi presto il suo primo libro, che pochi hanno letto o ricordano, ma che ebbe una memorabile recensione di Luigi Baldacci: I piacevoli servi, tre racconti degli anni ’60 pubblicati nel 1966 nella collana «Il Tornasole» di Mondadori diretta da Niccolò Gallo e Vittorio Sereni. Un altro suo racconto molto divertente, La Settimana bianca, si trova (suggerito da chi scrive a Enzo Siciliano) nel terzo tomo del «Meridiano» Racconti italiani del Novecento. Ma a beneficio di lettori più giovani voglio segnalare anche le altre sue raccolte prevalentemente saggistiche, tutte “oggetti smarriti” fuori commercio: Dalla parte del torto (1989), Eventualmente (1993), L’astuzia delle passioni (1995, con una densa prefazione), Oggetti smarriti (1996), Al di sotto della mischia (2007).
1 Questi scritti che allora ricordavo sono stati finalmente raccolti nel libro tutto «da leggere» Un seme di umanità. Note di letteratura, pubblicato da Quodlibet nel 2020.
2 A distanza di decenni, voglio tuttavia segnalare le sue Riflessioni ad alta voce su terrorismo e potere, un denso saggio uscito nel n. 74 (aprile 1980) di «quaderni piacentini», l’ultimo della serie autogestita da lui firmata. Ripubblicandolo nella raccolta del 1995, L’astuzia delle passioni, Piergiorgio scriveva: «Un capriccio del caso volle che fosse un mio articolo ad aprire l’ultimo numero della rivista. In questi vent’anni non m’era mai toccato questo onore. Del resto, l’articolo deluse e scontentò un po’ tutta la redazione: troppo etico e troppo poco politico, troppo moderato per i più estremisti, troppo estremista per i più moderati…».