Paul Celan, Microliti, a cura di D. Borso, Milano, Mondadori, 2020.
Io poi scrivo non per i morti, ma per i vivi – certo, per quanti sanno che ci sono anche i morti.
Paul Celan, Microliti
Nel marzo 2020 è stato pubblicato dalla casa editrice Mondadori nella collana «Lo Specchio» il volume intitolato
Microliti, che raccoglie aforismi, brevi prose e frammenti di Paul Celan scritti dal 1947 al 1970; l’edizione è curata da Dario Borso, che nella premessa iniziale ripercorre alcuni anni fondamentali della vita dell’autore a partire dal 1946, quando egli si presentava al mondo letterario con quattro racconti cecoviani da lui stesso tradotti.
1 Il suo itinerario di traduttore non si esaurisce peraltro con questa esperienza, ma prosegue con la rilettura e la trasposizione in francese di alcune opere di Kafka:
Gita in montagna,
I passanti,
Un messaggio dell’imperatore e
Davanti alla legge.
2 Da questi esperimenti germoglieranno una serie di tentativi in prosa narrativa sul genere dell’aforisma, in particolare
Controluce del marzo 1949 e
Colloquio in montagna pubblicato nel 1960.
3 Un altro aspetto fondamentale per comprendere il valore di questo testo sono i numerosi discorsi che Paul Celan scrisse durante la sua vita: il primo risale al 1953 e sfocerà poi in due discorsi imprescindibili al fine della compressione globale dell’autore che sono,
Discorso di Brema (che nella traduzione italiana assume il titolo di
Allocuzione) e l’altro, il più famoso, di Darmstadt pronunciato per il conferimento del Premio Georg Büchner. Questi testi rappresentano non solo una importante testimonianza del lavoro poetico di Paul Celan, ma anche un momento di svolta nella vita stessa dello scrittore.
Dai materiali preparatori di questi discorsi è possibile comprendere lo stato psichico del poeta: nel maggio del 1960 la moglie del poeta Ivan Goll aveva denunciato Celan di plagio, accusa che trascinò il poeta in un profondo stato di inquietudine. Il 1960 rappresenta il punto di arresto della produzione poetica e pure prosastica; restano di quell’anno ventotto aforismi e alcune brevi composizioni di difficile datazione. Nello stesso anno Celan conosce Jules Supervieille nel marzo legge e commenta le poesie di Osip Mandel’štam.4 Tra le innumerevoli personalità a cui Celan si avvicina, il poeta russo rappresenta forse il caso più significativo, in quanto entrambi di origine ebrea, condivisero per lungo tempo la stessa esperienza in situazioni e momenti diversi; entrambi furono imprigionati e accusati di plagio. Inoltre è da sottolineare che sia Mandel’štam sia Celan arrivarono a considerare il suicidio come unica soluzione della propria vita. Quando il 3 maggio 1960 la Goll pubblica una lettera aperta di accuse sul «Baubudenpoet» , in poco tempo la notizia si diffonde in tutte le redazioni. Celan colpito dalle accuse sente il bisogno di difendersi, si reca in Germania per sensibilizzare gli intellettuali ed il 25 maggio incontra Nelly Sachs, una figura che rivoluzionerà per sempre la sua esistenza. Tuttavia il 1960 è anche l’anno del fatidico incontro con Adorno, decisivo per lo stesso filosofo tedesco che tornò sul tema dell’impossibilità di scrivere poesie dopo Auschwitz. Relativamente a tale aspetto Paul Celan scriverà nei Microliti:
Nessuna poesia dopo Auschwitz (Adorno): cosa viene posto qui come idea di “poesia”? La spocchia di chi si pone a considerare o rappresentare ipotetico – speculativamente Auschwitz da una prospettiva a volo d’usignolo o di tordo.
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Accusato di plagio e attaccato da diversi intellettuali, Celan si rifugia in quelli che aveva definito Microliti già nel 1956:
Microliti sono, pietruzze appena percepibili, lapilli minuscoli nel tufo denso della tua esistenza – e ora tenti, povero di parole e forse già irrevocabilmente condannato al silenzio, di raccoglierli in cristalli? Rifornimenti sembri attendere – donde dovrebbero venire, di’?
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Il primo documento è del 1947 in rumeno, mentre l’ultimo del 1970 è scritto in francese. Il cammino plurilinguistico di questo poeta intreccia dunque non solo la storia e il vissuto personale, ma anche la lingua come luogo cruciale per la libertà e l’integrità dell’essere umano. Celan spazia infatti dal rumeno al tedesco, al francese con una maestria che rende la lingua stessa l’espressione massima di un uomo senza patria, senza radici, costretto ad una fuga. Riflessioni intime, dialoghi, impressioni sulla poesia e soprattutto sull’appartenenza alla comunità ebraica s’intrecciano nel libro. Giuseppe Bevilacqua nel saggio introduttivo intitolato
Eros-Nostos-Thanatos osserva che la comunità dell’autore è quella della Czernowitz ebraica: Celan percepisce la portata dello
Shtetl della confederazione polacco lituana, che era tuttavia capace di trascendere la tradizionale pesantezza della ortodossia ricercando quella che viene definita la propria Heimat perduta.
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Si registra nei Microliti, secondo l’ordine cronologico stabilito dal curatore, un evidente e quasi ossessivo tornare sulla definizione della poesia stessa a partire dal 1954. Quell’anno per Celan è scandito da importanti eventi; in particolare l’amicizia con René Char, stretta proprio in quell’anno segnerà per lungo tempo la sua produzione poetica dando vita ad un lungo carteggio. Tuttavia l’edizione dei Microliti, oltre a porre in luce importanti eventi della vita dell’autore evidenzia una serie di idee contrastanti proprio sulla definizione di “poeta”. Nel 1953 scrive:
Il poetare autentico è antibiografico. La patria del poeta è la sua poesia, essa cambia da una poesia all’altra. Le distanze sono quelle antiche, eterne: infinite come l’universo in cui ogni poesia cerca di affermarsi quale-minuscola-stella. Infinite anche come la distanza tra il suo io e il suo tu: da entrambi i lati, da entrambi i poli viene gettato il ponte: in mezzo, a metà strada, là dove è previsto il pilastro portante, da sopra o da sotto, è il luogo della poesia. Da sopra: invisibile e incerto. Da sotto: dall’abisso della speranza in un lontano, infuturato prossimo.
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Il 1953-1954 segna il biennio dell’uscita all’estero di
Mohn und Gedächtnis (
Papavero e memoria), dove l’elemento autobiografico è parte integrante del testo. La critica in questi anni lo paragona a Chagall e lo inserisce tra il gruppo degli eletti poeti insieme a Mallarmé. In questi testi è onnipresente un “tu” che si ripete come una litania, come un doloroso richiamo. Le poesie sono sature di dettagli geografici che riconducono al viaggio in Italia compiuto proprio in quell’anno ed alla Francia, che sarà sempre un luogo fondante per la vita del poeta. In questa raccolta le poesie si caricano di dolore personale, la prematura morte del figlio (1953) innesta in Celan il tema del ricordo, o più precisamente dell’
Andenken; la memoria e la devozione per i propri morti suscitano una riflessione che si carica di sovrasensi. Non è un caso che questa sia una delle raccolte più studiate della sua bibliografia.
9 Le immagini suggestive come quelle degli anelli che si arrugginiscono intorno alle dita dei morti o luoghi immaginari nominati attraverso una polifonia biblica svaniscono lentamente lasciando lo spazio ad una nuova idea poetica. A precisare questo aspetto sono di nuovo i
Microliti:
Appartiene, credo ai tratti essenziali del poetare di sapersi esposto al fraintendimento. Con ciò esso si sa in cammino verso quanti sono ancora disposti a mettersi in gioco. La poesia s’intende col suo stesso autore solo per la durata del suo farsi – e congeda subito anche lui.
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La sezione di quell’anno contiene i
Microliti, più precisamente dal n. 9 al 24, che nascono come appunti all’edizione mancata all’antologia
Mein Gedicht ist mein Messer di Hans Bender.
11 Durante la preparazione a questa edizione l’editore Bender e Celan si scambiarono una serie di lettere nelle quali il poeta della Bucovina racconta di aver imparato
La canzone della campana a memoria e di aver suscitato una reazione tra i suoi ascoltatori che non aveva desiderato.
12 Tuttavia l’interpretazione degli aforismi non è sempre decisiva ai fini di una comprensione della volontà del poeta stesso; la prospettiva di Celan inizia a mutare. Non lo si deduce solo dalle attestazioni dei
Microliti, ma anche dal profondo cambiamento che interviene tra la pubblicazione di
Papavero e memoria e
Grata di parole (1959). L’intenzione di Celan in questa raccolta è di avvicinarsi al mondo dei sommersi. Il titolo originale
Sprachgitter pone fin da subito il tema dell’oscurità della poesia di Celan. L’editore Rudolph Hirsch aveva proposto all’autore di cambiarlo, ma il poeta non aveva accettato la richiesta e aveva sostenuto che la parola fosse la giusta corrispondenza per una poesia che accingeva a immergersi nelle interiorità dell’animo umano. Celan si ispirava infatti in questo periodo alla struttura dei cristalli, non a caso infatti il titolo materialmente indica una grata attraverso cui avviene il dialogo che assume quasi un tono confessionale. Una delle interpretazioni che Bevilacqua ha fornito del titolo dell’opera è che sarebbe da ricondurre sotto la lente della “griglia linguistica” che il poeta getta sulla realtà per dominare il caos che regna in essa.
13 Nel 1959 Celan scrive ancora nei
Microliti:
La poesia è in quanto poesia oscura, e oscura perché è poesia. Con ciò, con questa oscurità congenita mica intendo però quei cozzi lichtenberghiani di libri e teste dei lettori ove non sempre suona vuoto il libro; al contrario, la poesia vuol essere compresa: come poesia, come “buio poetico”. Ogni poesia reclama dunque comprensione, voler comprendere, imparare a comprendere.
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L’oscurità della poesia è un insegnamento che trova le proprie origini fin dall’antichità, è sempre stata presente, seppur in maniera discontinua dal
trobar clus ai sonetti “alla burchia”. È onnipresente in Dante e in Eliot che sottolineava che: «La poesia autentica può comunicare prima di farsi capire».
15 Tuttavia la critica ha sempre messo in luce che le cosiddette oscurità del Romanticismo sono considerate alla stregua di mere licenze e non come la rivendicazione di un senso che oggi definiremmo come “altro”. Chi sembra invece aprire ad una possibile diversa analisi dell’oscuro di Celan è Franco Fortini, che nel 1991 affermava si debba compiere un passo ulteriore distinguendo l’
oscurità dalla
difficoltà. La prima «non può né deve mai […] essere “vinta” o “superata” perché la sua ragione è di essere, in definitiva, una particolare categoria di “figura”». Quindi il commentatore deve limitarsi a registrarne l’esistenza: «pena la scomparsa di una essenziale parte del messaggio, tale oscurità deve permanere». La
difficoltà «è invece un tratto di oscurità che non si pone come costitu¬tivo ma solo come momentaneo e che può essere risolto da un dato grado di competenza del lettore». Essa «accetta anzi esige l’interpretazione e la parafrasi» e «si pone come enigma
provvisorio risolvibile con determinati strumenti e quindi mediante esegesi critica o ermeneusi».
16 In questo caso il poeta non offre al lettore tutte le chiavi interpretative per penetrare al fondo del suo lavoro, e dunque la comprensione totalizzante sarebbe sempre negata. La poesia di Celan appare come filtrata, quasi come l’occhio dello scrittore che tenta di penetrare le sbarre della realtà; la sua condizione di “prigioniero” induce lo stesso lettore a implorare aiuto laddove il suo sguardo non è capace di giungere. Si pensi alla poesia
Augenrund zwischen den Stäben:
Occhio tondo tra le sbarre.
Palpebra, sfarfallante animale,
volga verso l’alto,
fa passare uno sguardo.
Iride, natante, opaca e senza sogni:
sarà il prossimo, il cielo, grigio- cuore.
Storta, nel beccuccio di ferro,
la scheggia fumigante.
Al senso che la luce prende
Tu indovini l’anima.
(Fossi io come te. Tu come me.
Non sottostammo forse
al medesimo vento?
Siamo estranei.)
Pavimento. Sopra,
l’una accanto all’altra, le due
pozzanghere grigio-cuore:
due
bocconi di silenzio.17
Il periodo legato alla composizione di
Sprachgitter è contraddistinto dalle attese della traduzione del commento che Jean Cayrol scrisse appositamente per il film che Alain Resnais stava realizzando sul tema della deportazione e sui campi di sterminio nazisti. Nel 1956 esce
Nuit et brouillard; Celan, secondo Bevilacqua, poté vedere in anteprima questo documentario dato che stava lavorando proprio al lavoro di traduzione. Quell’anno scrive nei
Microliti: «Come nelle case degli ebrei (in memoria di Gerusalemme distrutta), bisogna lasciare sempre qualcosa di incompiuto. Ricordare in poesia – ricordare come assenza».
18 Occorre tuttavia fare attenzione ad altri brevi interventi dell’anno della pubblicazione di
Sprachgitter:
“Oscura” è la poesia innanzitutto nella sua datità, nella sua oggettualità, oggettività, oscura dunque nel senso di una opacità comunque fenomenica, propria a ogni soggetto; nel senso dunque che vuol essere compresa per se stessa, come un dato.
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Inevitabile è il riferimento alla lingua. A lungo la critica si è dibattuta sulla complessità dell’autore, considerando la sua dimensione di continuo errante. Bevilacqua ha osservato che il titolo della raccolta del 1959 mostra tutta la polisemia che il poeta ha voluto esprimere; inoltre una seconda interpretazione si riferisce alla funzione linguistica del titolo, la cui valenza sarebbe da ricondurre al sistema di coordinate da usare nei confronti di una realtà che appare via via sfuggente e quindi spia di un principio che viene definito come “poetologico”.
20 La lingua di Celan sarebbe dunque paragonabile ad una pietra o un terreno capace di assorbire, ma anche di traspirare.
Le riflessioni dell’autore in merito alla poesia non solo trovano una corrispondenza nell’esperienza del vissuto, ma evidenziano la necessità di quella oscurità altra che la poesia contiene in sé. Tuttavia proprio per quel principio di indicibilità totalizzante o di incomprensione collettiva delle opere è necessario comprendere che la poesia non salva e non cura.
Abbiamo più di un motivo – amaro – per porre tra virgolette quanto di notevole è stato fatto attorno a noi ottenendo rango e nome; la poesia è il luogo dove tutto ciò, senza troppo menar vanto di una presunta originalità così ottenuta, anzi gravato pure di questo peso, spera di trovare ancora una volta sistemazione in parole. – Viviamo in un’epoca dove ci si legittima ovunque all’esterno per non doversi giustificare davanti a sé stessi. In questo senso la lirica serba per sé, nella sua foggia odierna, l’oscurità dell’illegittimo, si presenta senza referenze, senza rinvii, dunque senza virgolette.
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L’edizione proposta da Dario Borso, a differenza di quelle straniere, mostra non solo una scelta precisa quanto all’ordine cronologico, che permette dunque al lettore di muoversi più agilmente nella dimensione spazio-temporale, ma anche una coerenza nel tempo, e di ambiente. Nel 1960 si registrano le prime riflessioni che manifestano la crisi: «“E tutto quanto egli soffiò, andò perduto.” Talvolta si desidera mandare al diavolo anche tutto quanto si è scritto: Dio infuria ancora- a che servono allora le parole?».
22 Negli anni successivi allo scandalo aperto dalla Goll, Celan si rifugia progressivamente nella traduzione. Nel 1962 scrive a Sartre e a Char in merito alla sua esperienza e all’accusa di plagio. Sono lettere che non invierà mai. Quello stesso anno in Savoia, mentre si trovava con la famiglia, aggredisce un passante per strada, viene ricoverato per due settimane. L’anno successivo si rifugia in Normandia, dove traduce Shakespeare, Michaux e Char. In estate si reca quattro volte in Germania. Alla fine dell’anno esce
Die Niemandrose (
La rosa di nessuno) con l’editore Fischer, dedicato alla memoria di Osip Mandel’štam. Questa raccolta rievoca tutti i temi delle opere precedenti, l’affetto coniugale, il tempo del rapporto amoroso. Il tema familiare si intreccia tuttavia ad un altro elemento, ovvero quello della giustizia divina che si mette a confronto gli orrori del mondo.
23 Nel 1964 è ancora sotto la cura di alcuni psicofarmaci; trova un istante di pace viaggiando in Italia e a fine maggio si reca in Germania e ad Amsterdam. Il 22 ottobre ritira il premio di letteratura del Nordrhein-Westfalen. Il 24 novembre 1964 tenta di accoltellare la moglie e viene internato dapprima in un manicomio e poi in una clinica privata. Un frammento di quel periodo: «Poesia, questione d’abisso».
24 La modulazione della scrittura assume progressivamente i tratti della dissacrazione e dell’ironia. L’abisso per Celan è sempre stato un elemento che fuor di metafora lo definiva come «crepaccio del tempo».
25 Le raccolte di questi anni sono caratterizzate da espressioni relative alla decadenza del corpo, ma sono anche contraddistinte da un elevato citazionismo, di rinvii ad opere che lo stesso autore aveva letto e amato durante i periodi di reclusione nelle cliniche.
26 Gli intrecci narrativi delle sue poesie spaziano da Joyce a Conrad, ma attraversano anche l’
Iliade e Lao-Tse. Le parole degli altri, diventano sul finire della vita di Celan un intreccio di relazioni che germogliano sul terreno della poesia. La notte tra il 19 e 20 aprile 1970 Paul Celan si uccide gettandosi nella Senna, il suo corpo viene ritrovato il 14 maggio; è sepolto di fianco al figlio François nel cimitero laico. Nel giugno di quell’anno esce
Luce coatta a cui segue
Parte di neve. Celan scriverà come ultima annotazione dei
Microliti: «Les preuves fatiguent la vérité» (le prove fiaccano la verità). Celan è un uomo stanco, provato forse dalle numerose cure mediche a cui è sottoposto. Come un lungo viaggio i
Mircoliti si chiudono con quella frase: a quale verità Celan si riferisce? Quella della poesia? Quella dell’arte, che spesso aveva indagato o al senso che lui stesso aveva perso? Si legge in
Luce coatta:
Donati e donate
Mani
Costellate di microliti.
Il dialogo, che s’intese
Da punta a punta,
bruciacchiato da rovente
aria sprizzante.
Un segno
Lo pettina,
risposta ad un’arte rupestre
fantasticamente.27
Forse alcuni versi ci indicano come muoverci nel testo dei
Microliti: «Non scriverti / tra i mondi, // imponiti alla / varietà dei significati, // confida nella scia di lacrime / e impara a vivere».
28 Ma la prima stesura chiudeva con «impara a morire»: Paul Celan ha vissuto una vita costantemente divisa tra vita e morte, non stupisce dunque che una delle correzioni sostituisca la parola morte con vita. La vita nel verso e nella morte, la parola ombra che si legge tra gli spazi delle sue poesie; il costante e precario esporsi alla realtà, alle circostanze della vita. E nel ricordo, nella funzione kierkegaardiana di esso inteso come “custodia di ciò che potrebbe essere” Celan trova il suo mondo. Le parole devono restare vere per il poeta, le poesie non cambieranno il mondo, ma mutano l’essere nel mondo e di certo hanno mutato la sua prospettiva.
Note
1 A. Checov, Tăranii. Schite, București, Editura de Stat, 1946.
2 Tutte queste traduzioni furono svolte per l’amico Peter Solomon e sono raccolte in P. Solomon, Paul Celan. Dimensiunea românescă, București, Art, 1987, pp. 86-88.
3 Entrambe le opere sono state tradotte da Giuseppe Bevilacqua che le ha riportate nel testo La verità della poesia. «Il meridiano» e altre prose, Torino, Einaudi, 2008, pp. 31-33, pp. 42-46.
4 In merito a questo aspetto si veda la prefazione che Celan realizzò per la pubblicazione del testo dal russo al tedesco nel 1959 di Osip Mandel’štam, ivi, pp. 40-41.
5 P. Celan, Microliti, a cura di D. Borso, Milano, Mondadori, 2020, pp. 163-164.
6 Ivi, p. 63.
7 In merito a tale aspetto si tengano presenti parole di Giuseppe Bevilacqua: «Non appare casuale che Celan, nel rievocare la propria Heimat perduta, faccia bensì riferimento al patrimonio della narrativa chassidica ma nella versione culta che ne aveva dato l’ebreo occidentale Buber. Anche i rapporti con le altre maggiori componenti etniche della città, quella strettamente tedesca e la rumena e l’ucraina, davano luogo solo a frizioni marginali. L’antisemitismo, certo presente in qualche misura era propaggine del nazionalismo rumeno rinfocolato dalla recente annessione» (G. Bevilacqua, Eros-Nostos-Thanatos, in P. Celan, Poesie, a cura di G. Bevilacqua, Milano, Mondadori, 1998, p. XV).
8 P. Celan, Microliti cit., p. 45.
9 Ci si riferisce in particolar modo alle poesie: Der Sand aus den Urnen (La sabbia delle urne) e Todesfuge (Fuga dalla morte), in P. Celan, Poesie cit., pp. 28 e 62-65.
10 P. Celan, Microliti cit., p. 51.
11 Mein Gedicht ist mein Messer, hrsg. H. Bender, Heidelberg, Rothe, 1955.
12 P. Celan, Microliti cit., p. 182.
13 G. Bevilacqua, Eros-Nostos-Thanatos cit., p. LIV.
14 P. Celan, Microliti cit., p. 83.
15 T.S. Eliot, Dante [1929], in Id., Selected Essays 1917-1932, London, Faber and Faber Limited, 1932, p. 238: «It is a test (a positive test, I do not assert that it is always valid negatively), that genuine poetry can communicate before it is understood», trad. it. in Id., Scritti su Dante, a cura di R. Sanesi, Milano, Bompiani, 20012, p. 18.
16 F. Fortini, Oscurità e difficoltà, in «L’asino d’oro», 1991, n. 3, p. 87.
17 P. Celan, Poesie cit., p. 182.
18 P. Celan, Microliti cit., p. 83.
19 Ivi, p. 87.
20 G. Bevilacqua, Eros-Nostos-Thanatos cit., p. LVI.
21 P. Celan, Microliti cit., p. 89.
22 Ivi, p. 103.
23 Si veda in merito a tale aspetto: «Parlammo del Troppo, del / Troppo-poco. Di Tu / e non – Tu, del torbido / che viene dal chiaro, di quanto / è giudeo, del / tuo Dio» (P. Celan, Poesie cit., p. 357).
24 P. Celan, Microliti cit., p. 163.
25 P. Celan, Poesie cit., p. 185.
26 Si pensi in merito all’eco dell’Ulisse di Joyce, Circe: «don’fall upstairs!» e del Nibelungenlied.
27 P. Celan, Poesie cit., p. 927.
28 P. Celan, Sotto il tiro di presagi. Poesie inedite 1948-1969, trad. it. a cura di M. Ranchetti e J. Leskien, Torino, Einaudi, 2001, p. 187.