Leggendo La gronda
di Franco Fortini
Alberto Olivetti

«Scopro dalla mia finestra lo spigolo d’una gronda, / in una casa invecchiata, ch’è / di legno corroso / e piegato da strati di tegoli». Dalla mia finestra: vale: a partire dal punto mio di vista. Ovvero: per quanto mi è dato poter constatare alla stregua degli strumenti di conoscenza che posseggo. E poi, ancora: dalla mia finestra, ossia da qui dove, al momento mi trovo, per quello che fin qui sono, ovvero per quanto fino ad oggi, nella situazione storica determinata, ho inteso. Una casa invecchiata, di legno corroso: come a dire: rilevo che un lungo arco di tempo ha agito a consumare, a infragilire, a render precaria la consistenza dell’edificato, ovvero ha implacabilmente operato a rendere consunti i legami e ad allentare i vincoli dello stabile che ne garantivano la tenuta. Il sostegno della travatura è indebolito, e tanto più appare malsicuro dacché è messo alla prova da strati di tegoli, ovvero si dica le ricognizioni, le verifiche e gli accertamenti, le obiezioni e i rilievi, le messe in discussione che, nel corso dei lunghi anni passati, hanno animato una critica forte ai principi costruttivi che han presieduto, a suo tempo, alla edificazione della casa, ed hanno sollecitato nutrite contestazioni degli inquilini. Quei tegoli dunque sono un carico che, a lungo andare, par destinato a compromette vieppiù la stabilità dell’edificio, pur se i vecchi coppi non mancano, anno dopo anno, nel regolare volgere delle stagioni, di accogliere e «Rondini vi sostano / qualche volta».

«Qua e là, sul tetto, sui giunti / e lungo i tubi, gore di catrame, calcine / di misere riparazioni». Gli interventi di manutenzione si mostrano assai al di sotto della bisogna. La costruzione, così, ancora regge, ma grazie piuttosto ad espedienti che, ad insorgenze più o meno regolari, sono consapevolmente intrapresi quali rimedi provvisori. Mostrano d’esser tentativi per differire una acclarata situazione di definitiva emergenza che è costantemente indotta dal permanere d’una condizione di usura e di costante logorio. Essa porterà ad una inevitabile consunzione della tenuta di quei rapporti costruttivi. E tuttavia, fin qui, per quello che posso intendere osservando dal mio punto di vista, il cedimento non si determina: «Ma vento e neve, / se stancano il piombo delle docce, la trave marcita / non la spezzano ancora». Dunque parrebbe che quel crollo atteso non avverrà per un collasso generale delle strutture portanti. La casa vetusta e pericolante che «scopro dalla mia finestra» non consente allora di ipotizzare un imminente suo crollo automatico. Per quel che ho modo di constatare, ipotizzo che qualcuno dovrà operare, dovrà intervenire affinché esso si determini. «Penso con qualche gioia / che un giorno, e non importa / se non ci sarò io, basterà che una rondine / si posi un attimo lì perché tutto nel vuoto precipiti / irreparabilmente, quella volando via». La leggerezza, sia pure la leggerezza d’una rondine, scioglierà quell’insieme. Non il piccone, non una carica di tritolo, non un assalto demolitore. La leggerezza che resta, «volando via» libera, immaginiamo, in un cielo terso di primavera.

Avvertiva Lucio Colletti che «l’opera di Marx è un intreccio di motivi assai complesso È una critica del capitalismo, un’analisi delle contraddizioni interne che lo minano; ma è anche, al tempo stesso, l’esposizione e la ricostruzione del modo in cui, malgrado tutto, il sistema esiste e funziona». Rosa Luxemburg riteneva che quelle interne contraddizioni dell’edificio capitalista si sarebbero coagulate in un blocco del suo funzionamento e tutto insieme il complesso sarebbe scardinato crollando.

Così Franco Fortini apre La posizione, una delle poesie raccolte nel 1973 in Questo muro: «Noi ci troviamo in questo momento in corsa / in una lunghissima curva della pista». E in un altro componimento di quel volume, Gli ospiti, pare a me si ritrovi la «rondine», quando Fortini trascrive le seguenti, celebri, parole di Marx: «I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari. / La sola cosa che importa è / il movimento reale che abolisce / lo stato di cose presente».