Un Fondo per capire la Cina
Silvia Pozzi

Occorre una voce vera per vivere al mondo insieme con tutti gli uomini.

Lu Xun, La Cina muta, 1927

Partirei dal fondo Masi, che è l’occasione per cui oggi ci troviamo qui a parlare di Edoarda. Questi 2500 volumi, 2527 per la precisione, dalla Cina e sulla Cina, in cinese, italiano, francese, inglese e russo erano la sua casa, l’anima della sua casa. Ricoprivano le pareti dello studio, e non solo, disposti su una teoria di scaffali, che Edoarda si era per buona parte montata da sé, da terra fino al soffitto. I libri erano spesso in doppia fila, se non in tripla.

Prenderli e riporli negli infiniti scatoloni è stata un’operazione straziante, poi sono rimasti solo i ripiani, imbarcati dal peso che avevano sopportato per anni. La casa era come sventrata. Ma ora i volumi sono tutti qui, ordinati e catalogati dal lavoro paziente e accurato del catalogatore, il signor Cinotto, sono qui in questo luogo prezioso e ovattato, dove Edoarda ha lavorato come bibliotecaria per anni. Come da sue disposizioni sono stati raccolti in questo fondo importante che porta il suo nome, accolto dalla Biblioteca Nazionale Braidense. E rivederli pochi giorni fa in bell’ordine, in una stanza tutta per loro, è stata un’emozione forte: abbiamo ritrovato la casa di Edoarda, il vago sentore di naftalina e la sua anima pulsante.

Il fondo è aperto alla consultazione, tutti i libri sono schedati e reperibili nel catalogo informatizzato accessibile via rete (OPAC). La Biblioteca ha oggi gentilmente messo a disposizione delle postazioni per vedere come funziona il sistema. Non solo, le bibliotecarie hanno iniziato un lavoro impegnativo di scansione del frontespizio e, ove possibile, dell’indice dei volumi in cinese, che comparirà in un link apposito a lato della scheda ISBN, di modo che la consultazione online sia oltremodo agile per chi conosce il cinese. A questo proposito bisogna ringraziare la dott. Laura Zumkeller e i suoi solerti collaboratori.

Il settore disciplinare più rappresentato nel fondo è quello letterario: si va dai classici della letteratura cinese alla narrativa contemporanea, passando per numerosi studi dedicati a vari autori e generi letterari. L’opera sulla quale è disponibile il maggior numero di documenti è lo Honglou meng (Il sogno della camera rossa), mentre Lu Xun, il padre della letteratura cinese moderna – tradotto, studiato e amato da Edoarda – domina su tutti gli autori, con circa ottanta titoli inseriti nel catalogo, senza contare gli studi a lui dedicati. L’opera completa di Lu Xun compare in almeno due edizioni.

Sono presenti le opere di numerosi altri scrittori del secolo scorso, tra cui Mao Dun, Guo Moruo, Lao She, Ba Jin, Lin Yutang, Wang Guowei; tra quelli contemporanei si possono citare, tra i tanti, Mo Yan e Bei Dao. Per quanto riguarda la letteratura cinese, esiste nel fondo una bibliografia molto ricca delle traduzioni in italiano (ma anche in inglese e francese).

Ben rappresentati sono il pensiero cinese antico, la filosofia e la storia; soprattutto per quanto riguarda quest’ultima, i testi abbracciano un arco temporale estremamente ampio, dalla più remota antichità a oggi.

Una parte cospicua del fondo è costituita da libri pubblicati nella Repubblica popolare cinese tra l’inizio degli anni cinquanta e la metà degli anni settanta: tra questi anche alcune edizioni degli scritti di Mao Zedong, oltre ad altri testi dedicati alle vicende politiche della Cina, ad esempio alcuni documenti del periodo della Rivoluzione culturale. Una sezione cospicua è dedicata alla linguistica, che comprende manuali e dizionari di vario genere, ma anche testi di carattere più specialistico.

La maggior parte dei volumi è stata pubblicata nella Repubblica popolare cinese, ma sono in buon numero quelli pubblicati a Hong Kong e a Taiwan.

Nelle teche di questa sala sono esposti alcuni esemplari che raccontano la ricchezza e la varietà del catalogo: un’edizione de Il sogno della camera rossa in russo; immancabili: un’edizione in cinese dello stesso romanzo e l’opera completa di Lu Xun (sedici volumi), le poesie manoscritte di Lu Xun; la collezione di incisioni cinesi moderne su legno di Lu Xun, ma anche libri per bambini, raccolte di scritti di Mao, una raccolta di testi del periodo della campagna “Critichiamo Lin Biao, critichiamo Confucio” (pi Lin pi Kong, che dal 1973 si protrasse fino al 1976), come pure libri rari e curiosi, almeno nel panorama italiano, come un’edizione in cinese del romanzo neorealista del 1949 L’Agnese va a morire scritto da Renata Viganò (poi filmato da Montaldo nel 1976) oppure un testo sulla comunità ebraica di Harbin. Come forse è già emerso, il fondo è un tesoro prezioso anche per i non-sinologi, per chi ha sete di sapere o curiosità sulla Cina, sulla sua cultura, letteratura, storia, filosofia. Un esempio: la collezione dei volumi di Scienza e civiltà in Cina di Joseph Needham (1900-1995) in lingua originale.

E poi ci sono tutte le opere di Edoarda. Prima di soffermarci brevemente su questo punto, mi preme ricordare gli altri fondi in Italia che ospitano parte della biblioteca cinese di Edoarda, che vantava anche una collezione ampia di riviste cinesi e non solo (penso ad esempio a Jintian/Today pubblicata in Europa). Le riviste sono state distribuite, sempre per volontà di Edoarda, tra le Università di Milano Statale (Polo di mediazione interculturale e comunicazione di Sesto San Giovanni), l’Università di Torino (Dipartimento di orientalistica) e l’Università di Bologna. Inoltre, il Centro Studi Franco Fortini di Siena ha un archivio con parte del carteggio tra Masi e Fortini e altro materiale (manoscritti delle traduzioni e delle opere, appunti ecc.).

Dicevamo delle opere di Edoarda. Alcune le trovate esposte nelle teche oggi, soprattutto quelle che oramai sono difficilmente reperibili, come Il libro da nascondere del 1985 di Marietti, che nel 1986 le valse il premio speciale della Giuria nella seconda edizione del Premio letterario nazionale Rapallo per la donna scrittrice. Il titolo è stato preso a prestito dal letterato di epoca Ming Li Zhi, autore anche di un Libro da Bruciare, il libro è «la rappresentazione di un’esperienza mentale», in base ai criteri interpretativi dello stesso «soggetto» che scrive. Una parola questa, fondamentale nel mio vocabolario per provare a dire di Edoarda, che è stata sempre un “soggetto”, per l’appunto. Si tratta di una raccolta di saggi – quasi alla cinese – di argomento vario; affrontano la “plebeizzazione della piccola borghesia e del proletariato, lo pseudo-progressismo, i miti e la realtà dell’esperienza cinese, il terrorismo, la condizione della donna ecc., in una «lotta contro la coazione alla menzogna». E ci sono squarci di vita quotidiana, ad esempio Edoarda che, nel tempo dedicato alle faccende domestiche o alla toilette, ascolta una trasmissione mattutina dedicata alle casalinghe su Radio Rai e che, nella casualità dell’ascolto, riflette sui modi «di intendere l’educazione di massa».

O ancora Ritorno a Pechino (Feltrinelli, 1993) e Per la Cina (Mondadori, 1978), a cui ha fatto cenno Liliana Lanzardo, e le edizioni americane e tedesche delle sue opere, ad esempio China Winter (Per la Cina) uscita per Dutton (New York) nel 1982 o Die chinesische Herausforderung (La contestazione cinese) pubblicato da Rotbuch/Wagenbach (Berlino) nel 1972.

È il caso di ricordare che le colleghe dell’Orientale di Napoli (Lucia Caterina, Annamaria Palermo, Paola Paderni, Sandra Marina Carletti), che hanno omaggiato Edoarda in una giornata di studio il 14 e 15 maggio 2012, stanno costruendo una bibliografia completa delle sue opere, ivi compresi anche i numerosissimi articoli e saggi comparsi su riviste non solo nazionali, ma anche francesi, tedesche, inglesi e persino giapponesi.

Da questo primo accenno all’opera di Edoarda Masi emerge chiaramente la sua statura internazionale, rinsaldata dalla corrispondenza e dal dialogo assiduo con sinologi, studiosi e intellettuali europei e non solo. A tale proposito, do lettura del messaggio ricevuto pochi giorni fa del prof. emerito di filosofia all’Università del Sussex, Istvan Meszaros, e indirizzato a tutti i presenti. Meszaros è un filosofo marxista di origine ungherese, che ha lasciato il suo paese dopo la rivoluzione dell’ottobre del 1956, vivendo per un periodo a Torino; questo signore, che Chávez ha definito «señalador de caminos», scrive:

A causa delle mie precarie condizioni di salute, purtroppo non potrò essere tra voi a Milano in occasione dell’evento che avete organizzato per la mia Grande Amica Edoarda Masi. La prego di voler portare ai presenti la mia sconfinata ammirazione per il lavoro di Edoarda, per la sua integrità umana e per la coerenza delle sue posizioni politiche.

Auguro a voi tutti di portare avanti grandiosamente ciò a cui lei si dedicava con passione, in modo da preservare per le giovani generazioni l’eredità del vero spirito di Edoarda Masi.

I miei migliori saluti, Istvan Meszaros.

E poi ci sono i libri che, per fortuna, si possono facilmente recuperare nelle nostre librerie e biblioteche, come Cento capolavori della letteratura cinese, che Quodlibet farà uscire in una nuova edizione a maggio 2014. Questo testo, adottato da numerosi corsi di laurea nelle università italiane, testimonia a pieno la vastità del sapere e il rigore dell’approccio metodologico di Edoarda, che ha selezionato (la prima edizione è di Rizzoli nel 1991), con un monumentale lavoro di lettura e di rigoroso studio critico, cento opere del patrimonio letterario cinese, contestualizzandole, presentandole, analizzando i tratti stilistici e contenutistici principali e dando traduzione di passi salienti delle stesse. La prima opera è il Libro della poesia, una raccolta di ballate di origine popolare e odi, fondamento imprescindibile della cultura cinese, composizioni che risalgono fino al IX secolo a.C. Il volume si chiude, quasi a cerchio, con una poesia di Bei Dao (1949), dal titolo Risposta, in cui «il lontano passato illumina l’avvenire»:

Sono i pittogrammi di cinquemila anni – gli occhi degli uomini futuri che ci guardano fissi.

Il libro deve essere letto tutto difilato come una brillante, e illuminante, storia della letteratura cinese, a tutt’oggi la più ricca in lingua italiana, assaporando uno a uno questi cento piccoli capolavori di prosa in lingua italiana che entrano nel fitto della trama di una letteratura e una cultura altra. «Perché la Cina è un’alterità», come è scritto nella prefazione di Ritorno a Pechino.

Dai Cento capolavori di Edoarda Masi senz’altro possiamo apprendere «una lezione di rigore e semplicità, pur nel possesso e nell’uso di un’eredità culturale ricchissima», come lei diceva a proposito di Lu Xun.

Aspettando questa giornata, mi sono messa a rileggere quasi compulsivamente le cose di Edoarda, cercavo cosa fosse fondamentale dire.

E queste letture sollecitano il pensiero, lo mettono al lavoro. Edoarda Masi scrive cose difficili, cose importanti, cose belle. In uno stile denso, eppure rarefatto. Ho riletto, riassaporato, riscoperto, e, soprattutto, grande meraviglia (!), scoperto. Ne è scaturita una commozione vera, e non per il rimpianto di ciò che è passato, per l’assenza, al contrario, per la gioia manifesta della presenza, di ciò che ancora c’è da imparare da lei. Qui c’è il nocciolo di quello che vorrei veramente dire: leggere e studiare il suo lavoro conduce all’inevitabilità della trasmissione, perché si entra in un mondo complesso, indenne dalle facili semplificazioni, dove lo studio rigoroso e appassionato della Cina e della sua cultura – attraverso le epoche e i generi letterari – è veicolato da una lingua pregna e ricca di echi allusivi. Questa rinnovata scoperta non può non essere condivisa, perché ciò che Edoarda ha scritto non si può spiegare, né ha senso tentare di riassumerlo, si può solo e necessariamente suggerire a chi non l’avesse già fatto di andarle incontro, di entrare in quel mondo e goderne.

Nei suoi scritti, c’è un uso meticoloso della parola che si esprime a pieno nel suo lavoro di traduttrice: qui si mette in luce la conoscenza esatta dei confini delle parole, come delle loro possibili sfumature, e quella libertà vincolata del traduttore di forzare la propria lingua, di piegarla per ridare una patria alla lingua dell’altro.

Questa sapienza della lingua e delle sue possibilità si ritrova anche nella prosa asciutta e intensa di Ritorno a Pechino, ad esempio, che a tratti si sottrae al racconto intenso della prima esperienza cinese (che per lei trentenne segnò una svolta, l’inizio del “cambiamento”), per abbandonarsi a descrizioni solo in apparenza marginali. Come i gesti sapienti del prof. Zhou – sottoposto a critica per via delle sue frequentazioni vivaci con gli stranieri –, che prepara il tè a Edoarda Masi, Filippo Coccia e Renata Pisu: «Versava prima l’acqua bollente in un grande bicchiere di vetro, e si vedevano le foglioline verdi levarsi dal fondo e rimescolarsi fino all’orlo, in una nuvola di vapore profumato, e poi lentamente ridiscendere, portate da un’onda invisibile, come se l’acqua fosse uno spazio aereo. Mentre ciò avveniva, Zhou guardava il bicchiere con un interesse assorto», lo stesso sguardo assorto che Edoarda dice di aver ritrovato in ogni cinese che eseguiva quell’operazione. Oppure l’immagine di una sera di autunno inoltrato a Pechino nel 1957, quando le vie del campus dell’Università di Pechino si rallegrano del viavai della gente e che lei così tratteggiava: «L’ora animata che a Roma precede la cena, e a Pechino la segue», o il richiamo all’abitudine di buttare acqua sulla strada per «smorzare» la polvere.

Questo libro, come tutti gli altri di Edoarda, sono scritti con l’arte di dosare le parole e il coraggio di non tacere.

Non ho intenzione di indugiare nei ricordi personali, io ho conosciuto Edoarda tardi, nei suoi ultimi anni. Molti dei presenti ne hanno moltissimi di ricordi di e con Edoarda, e i miei non sono importanti se non per me. Mi viene solo da raccontare una sensazione, meglio un tempo, il sapore del tempo con Edoarda Masi, e lo faccio espressamente per i ragazzi più giovani, per gli studenti di cinese che magari oggi sono qui. Dirò qualcosa che mi è già capitato di dire, ma mi ripeterò, perché mi preme.

Il tempo con lei era al netto del superfluo, anche durante la malattia: c’era il sapere, l’impegno, e il gusto per la risata. In sostanza, nel tempo con Edoarda si condensava ciò che conta nella vita. Erano un tempo e uno spazio essenziali, e perfetti. Ed essere qui a parlare di lei oggi, a presentare il suo fondo cinese, quei 2500 libri che lei ha raccolto, letto e studiato, ha il senso di trasmettere questo, la sua vita e la vitalità del suo lavoro. Bisogna darsi la possibilità dell’incontro con una ricchezza che dà gioia e voglia di crescere e curiosità di sapere.

Dedico la manciata di minuti che mi restano al lavoro di traduttrice di Edoarda Masi, che è tutt’uno con quello della sinologa. Edoarda ha tradotto magistralmente alcune tra i più grandi capolavori della letteratura cinese, che come tutte le grandi opere di questo immenso patrimonio sono opere di opposizione, più o meno velata. Sono testi scritti, per lo più, in epoche di grande cambiamento: i Dialoghi di Confucio, testo che raccoglie aneddoti della vita del maestro che visse tra il V e il VI secolo a.C. e massime a lui ascritte e che è stato compilato intorno al II secolo a.C.; una raccolta di chuanqi (storie “fantastiche” in cinese letterario) di epoca Tang (618-907 d.C.); il Sogno della camera rossa, scritto in epoca Qing, è l’unico dei grandi romanzi cinesi che abbiamo in italiano a essere stato tradotto direttamente dalla lingua originale; due raccolte di “saggi” (riflessioni sulla società, sulla politica, sulla vita, sulla letteratura) di Lu Xun (1881-1936), La falsa libertà e Erbe selvatiche. Edoarda ha anche tradotto opere minori, spesso dimenticate da noi come in Cina, come il romanzo Città di gatti di Lao She, del 1932, un insolito esperimento di narrativa di fantascienza che si innesta con la satira a colpire il torpore intellettuale della Cina dei primi del Novecento; il protagonista del romanzo atterra su un pianeta popolato da un antica e gloriosa civiltà di uomini-gatto che, dimentichi dello splendore del loro passato, vivono nella dipendenza da un’erba che molto richiama l’oppio.

Anche chi non conosce il cinese né sa di cose di Cina intuisce facilmente il viaggio culturale e linguistico compiuto per tradurre opere tanto lontane nel tempo, tanto diverse nel genere.

Alle volte c’è un legame sotterraneo e sottile tra traduttore e opera, l’opera dice qualcosa del suo traduttore. Parlare di Lu Xun è un buon modo per parlare in controluce di Edoarda. Questo grande autore, che ha inaugurato la letteratura moderna cinese con il primo racconto in cinese “parlato” (1918), ossia nella lingua in uso all’epoca e non in quella letteraria, e che è considerato il più grande scrittore cinese moderno, criticato e osteggiato in vita e “adoperato” per i fini più diversi dagli orientamenti più differenti poi, nel nostro paese è sostanzialmente ignorato.

A noi può sembrare strano, ma Lu Xun non ha scritto romanzi, ma racconti brevi, riscritture di leggende, traduzioni e, soprattutto, saggi.

Lu Xun vive in un periodo di grandi tensioni: il crollo dell’impero, l’epoca dei signori della guerra, una Cina arretrata, tutto d’un tratto, periferia del mondo. Giovani intellettuali, tra impegno politico e creazione letteraria, assumono la missione del rinnovamento del paese, con esiti vari. Lu Xun studia in Giappone per diventare medico, ma decide che il suo destino non è salvare i corpi dai danni di pratiche superstiziose, ma di salvare le anime. Si dedica quindi alla letteratura. Sempre in bilico tra la simpatia per gli entusiasti e la disillusione amara, Lu Xun, «nell’imputridimento del vecchio sistema che continua sotto nuovi nomi e senza più significato nemmeno apparente vede disfarsi le proposte illusorie di riforma democratica, non vede una via d’uscita e non trova compagni». Nota a molti è la metafora della casa di ferro senza porte né finestre nella prefazione a una sua raccolta di racconti: ci sono alcune persone addormentate in una casa di ferro, che moriranno presto asfissiate. Che fare? Svegliarle al loro tragico destino o lasciarle morire nell’inconsapevolezza? La scelta, dolorosa, è quella di svegliarli, perché la speranza non si può uccidere, la speranza fa parte del futuro. Lu Xun attrae l’attenzione sulla malattia (dell’anima), perché sia curata.

Mi viene in mente una descrizione che Edoarda fa di Lu Xun che ho appuntato su un foglietto tanti anni fa, prima di conoscerla, e rileggerla mi colpisce sempre: «Un popolo amato e analfabeta fuori dalla stanzetta zeppa di libri, un sentimento intenso di morte e la nozione del futuro».

Di Lu Xun si potrebbero dire tante cose, mi limito qui a ricordare la sua lucida e puntuta ironia e, soprattutto, la sua grande attività di sostegno dei giovani. A questo proposito, mi sento di fare un parallelo con Edoarda che ha sempre letto e commentato i lavori che i giovani sinologi sottoponevano alla sua attenzione e al suo giudizio. Ricordo, infine, oltre alle sue docenze all’Orientale di Napoli e alla Statale di Milano, le tante conferenze ecc., il corso da lei tenuto da febbraio a giugno 1996 a Torino per la Scuola europea di traduttore letterario. Un’esperienza rimasta centrale per un’intera generazione di sinologi provenienti da tutta Italia, allora giovanissimi, che hanno avuto la fortuna di prendervi parte – tra gli altri Alessandra Brezzi, Paola Iovene, Barbara Leonesi, Nicoletta Pesaro, Luca Stirpe, Valeria Varriano –, ma anche per i più giovani, tra cui io, che hanno sempre vagheggiato quel seminario, intuendo precisamente quanto eccezionale, formativa e entusiasmante avesse potuto essere ragionare di traduzione e lavorare alla traduzione con Edoarda.

E proprio a Torino, due anni più tardi, Edoarda conobbe lo scrittore cinese Yu Hua, il quale in occasione della Giornata di studio in onore di Edoarda a Napoli due anni fa, ha scritto un breve messaggio in suo ricordo che vorrei riproporre qui oggi, per la tenerezza del pensiero:

Molti anni fa, amici italiani mi parlarono di Edoarda Masi, dicendomi che era una grande studiosa e traduttrice. Nel 1998, quando mi trovavo a Torino, Stefania Stafutti me la presentò, era una persona placida, colta e modesta. Allora stava lavorando alla traduzione dei chuanqi (storie fantastiche) di epoca Tang. Dal tono con cui ne parlava e dall’espressione che aveva, si capiva che era completamente immersa nella bellezza della letteratura di epoca Tang e Song. Forse ora se ne è andata nella Cina dei Tang, e io le auguro buon viaggio.

Yu Hua (10 aprile 2012)