L’inchiesta nella fabbrica
e nella società
Vittorio Rieser

Con la morte di Vittorio Rieser (Torino, 15 febbraio 1939 – 21 maggio 2014) scompare un altro protagonista di quella feconda stagione che prese avvio a Torino nei primi anni ’60, quando ricerca teorica, inchiesta operaia e intervento politico trovarono una sintesi virtuosa intorno ai «Quaderni rossi» di Raniero Panzieri. Vittorio era figlio di Henek Rieser (un ingegnere polacco emigrato a Torino) e di Tina Pizzardo (allieva di Giuseppe Peano e poi insegnante di matematica), due intellettuali che negli anni ’20 del Novecento avevano militato nel movimento comunista. Grazie ai suoi precoci e straordinari talenti – per la musica, la storia, le lingue straniere – Vittorio avrebbe potuto eccellere in ognuno di questi campi: a detta di Massimo Mila, ad esempio, sarebbe potuto diventare un ottimo pianista; e Franco Venturi rimpiangeva il fatto che non avesse continuato e coltivato con lui gli studi storici. Vittorio scelse invece la sociologia industriale, e in primo luogo l’attività di analisi, di studio e di ricerca per le organizzazioni del movimento operaio – i partiti della sinistra e soprattutto il sindacato –, praticandola con rigore, disinteresse e fedeltà fino ai suoi ultimi giorni.

Per i lettori dell’Ospite ingrato riproponiamo un suo scritto compreso nel libro curato da Enrico Pugliese, L’inchiesta sociale in Italia, Roma, Carocci, 2009.

A Vittorio Rieser Franco Fortini ha dedicato una poesia che si legge in Paesaggio con serpente (Torino, Einaudi, 1984): A Vittorio Rieser.

L’inchiesta nella fabbrica e nella società

1. Alcune premesse

Mi discosterò dal tema ufficialmente annunciato, “l’inchiesta operaia”. Anzitutto, ho qualche obiezione sull’uso di questo termine, che è restrittivo (se assunto letteralmente) o ideologico (se ipostatizza il “ruolo universale” della classe operaia o – peggio – di una sua componente, tipo “l’operaio-massa”). Se vogliamo raccogliere la ricchissima esperienza sviluppata in Italia, di inchieste finalizzate a un uso politico, potremmo piuttosto parlare di rapporto tra inchiesta e lavoro politico di massa.

Ma, al di là di questo, il tema del mio intervento è più ristretto e delimitato nel tempo. Io parlerò di come il “metodo dell’inchiesta” si è sviluppato in un gruppo di compagni di Torino (di cui Giovanni Mottura era parte importante) tra la seconda metà degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, quindi “da prima dei «Quaderni rossi»”, che posero l’inchiesta come strumento fondamentale dell’azione del movimento operaio.

Potrebbe essere un tema di storia “micro”, e di tipo erudito. Tuttavia, io non farò un esercizio di “storia delle idee” filologicamente fondata, ma mi baserò solo sui ricordi, con tutti i rischi relativi, incluso quello di distorsioni soggettive. Oscillerò quindi tra ricordi autobiografici, che non sono solo “auto”, data la simbiosi dell’esperienza di formazione politica mia e di Mottura, e una sorta di “Bildungsroman sul giovane Mottura” (su cui peraltro ometterò aspetti più “privati” che pure sarebbero interessanti…). Sono due i filoni di “formazione all’inchiesta” nella nostra comune esperienza degli ultimi anni ’50. Il primo nasce dal lavoro con il sindacato torinese (la Cgil, e in particolare la Fiom), che parte dalle prime iniziative di solidarietà tra studenti e operai (dal ’57 in poi: solidarietà con i lavoratori colpiti dalle rappresaglie padronali – ad es. quelli della Fiat Osr [Officina sussidiaria ricambi] – fino alla partecipazione ai picchetti negli scioperi contrattuali dei metalmeccanici nel ’59) e sfocia in una più diretta partecipazione al lavoro sindacale, di cui l’inchiesta diviene una caratteristica centrale. Il secondo è il lavoro in Sicilia con Danilo Dolci: un’esperienza ricca di contraddizioni, e poi abbastanza rapidamente interrotta (sia pure in tempi diversi), che però allarga “l’orizzonte di inchiesta”, a temi centrali per la situazione del Mezzogiorno, come la disoccupazione o le questioni dell’agricoltura e dell’irrigazione – che non a caso assumeranno poi un ruolo centrale nel lavoro di Giovanni. Partirò da questo secondo “filone”, perché parte prima e si interrompe prima rispetto a quello legato al rapporto con il sindacato.

2. Il lavoro con Danilo Dolci

Comincia nel 1956, in seguito agli incontri con Danilo, avuti prima per il tramite di Gigliola Venturi e poi ad Agape. Ne sono coinvolti, a Torino, alcuni dei futuri appartenenti ai «Quaderni rossi», come appunto Mottura, Soave ed io. Nel corso del lavoro con Dolci, incontreremo compagni, come Goffredo Fofi, che a loro volta lavoreranno poi coi «Quaderni rossi».

2.1. L’Inchiesta a Palermo nel 1956

L’inchiesta si svolge non solo nella città di Palermo, ma nelle cittadine e paesi della provincia. Mottura vi si impegna sia in Palermo città che a Bisacquino (noto centro mafioso).

L’impostazione ci lascia subito un po’ perplessi: ad esempio, la domanda “Dio vuole che tu sia disoccupato?” crea imbarazzo sia in noi che la dobbiamo porre, sia in molti dei nostri interlocutori, che non ne capiscono il senso. Ma Danilo sostiene che è quella a cui sono state date «alcune delle più belle risposte» – e questo rivela il criterio che influirà anche sulla presentazione dei risultati: selezionare le risposte “più belle” letterariamente, più che analizzare/organizzare le risposte in modo da costruire un’analisi di come era vissuto il problema della disoccupazione (tema centrale dell’inchiesta). Malgrado questo, si tratta per noi di un’esperienza importante, di confronto con una realtà ben diversa da quella torinese (in particolare per Giovanni, che vedrà da vicino cos’è una cittadina della “provincia mafiosa”). Il lavoro di inchiesta si accompagna ad altre esperienze importanti di “lavoro sociale” (il doposcuola per i bambini). L’anno successivo, collaboriamo all’organizzazione del convegno, promosso da Dolci, sulla piena occupazione; qui, i nostri compiti sono essenzialmente organizzativo-burocratici, ma anche questa esperienza contribuisce ad allargare la nostra conoscenza della realtà sociale.

2.2. Una seconda fase

Per alcuni di noi, l’esperienza con Dolci si ferma qui: le differenze di impostazione, dal modo di vedere l’inchiesta fino all’ideologia “non-violenta” che si traduce in ripetute iniziative di digiuno (che ci sembravano ormai “rituali”) portano a un distacco. Mottura però continua più a lungo a cercare di lavorare con Dolci: partecipa (di nuovo a Bisacquino) a un digiuno di una settimana, e nel 1959 lavora a un nuovo progetto di inchiesta promosso da Dolci, centrato sui problemi dell’agricoltura e dell’irrigazione. Mottura svolge un’inchiesta a Menfi, nell’agrigentino, volta a capire perché le infrastrutture di irrigazione ivi realizzate non vengono utilizzate dai contadini: E scopre che, dopo aver realizzato la rete “primaria”, non sono state realizzate le reti di canali secondari necessarie perché l’acqua potesse concretamente arrivare nei campi. Ma il risultato non corrisponde agli schemi di Danilo, tutti imperniati sugli “ostacoli culturali” che caratterizzerebbero il mondo contadino: L’inchiesta di Mottura viene così “censurata” (Mottura ne darà poi uno stringato resoconto sull’«Avanti!»).

Con questa esperienza si conclude definitivamente il rapporto con Dolci. Ma tutto questo lascia una traccia, nella formazione di Giovanni più ancora che di altri di noi: è una delle radici dell’interesse di Giovanni per i problemi dell’agricoltura e del Mezzogiorno – che lo distinguerà anche dagli interessi prevalenti del lavoro dei «Quaderni rossi» (solo nel n. 4 dei Qr ci sarà un momento di attenzione per questi problemi, ad opera dello stesso Mottura e di Mario Miegge).

3. Il lavoro col sindacato e l’inchiesta operaia

3.1. Le origini e lo sviluppo

Il lavoro col sindacato torinese (la Cgil, e la Fiom in particolare) ha le sue origini nel 1957, con le iniziative di solidarietà tra studenti e operai, centrate soprattutto sulla solidarietà con gli operai colpiti dalla rappresaglia padronale (in primo luogo gli operai dell’Osr della Fiat). In questo quadro, tra l’altro, si colloca il contributo determinante di Mottura all’inchiesta su questo tema promossa da Giovanni Carocci per «Nuovi Argomenti». Il nucleo promotore di queste iniziative (composto da giovani di varia appartenenza politica: Mottura e io venivamo dall’Usi [Unione socialista indipendente] di Valdo Magnani, e confluimmo con questa nel Psi; altri erano iscritti al Pci – ci accomunava, tra le altre cose, l’opposizione allo stalinismo, che si coagulò attorno alla protesta contro l’intervento dell’Urss in Ungheria) si “consolidò” nei mesi seguenti attorno a un’attività di studio, che si svolgeva nei locali della Camera del lavoro: da un lato, uno studio di storia del movimento operaio, centrato in particolare sulla rivoluzione russa (e largamente ispirato – e direttamente guidato – da un’impostazione “eterodossa”, trozkista o anarchica); dall’altro, da uno studio dei problemi sindacali, in cui i dirigenti della Cgil torinese, da Garavini ad Alasia a Pugno a Fernex, ci spiegavano i principali elementi della contrattazione e la situazione delle fabbriche. Questo iniziale rapporto col sindacato porterà a un rapporto molto più concreto e operativo, in cui il lavoro di inchiesta avrà un ruolo centrale, e che continuerà anche al di là della nascita dei «Quaderni rossi», interrompendosi solo con la “rottura politica” avvenuta nell’autunno 1961.

3.2. Gli inizi del lavoro diretto col sindacato

Il “salto di qualità” avviene con gli scioperi contrattuali dei metalmeccanici del 1959. In quell’occasione, si ha una massiccia partecipazione di studenti ai picchetti sindacali (contro cui si eserciterà in modo “mirato” la repressione poliziesca). Ma, per il piccolo nucleo a cui ho accennato, essi segnano l’avvio di un lavoro più costante e diretto con il sindacato. In alcuni casi, il sindacato – che in molte fabbriche non aveva una presenza strutturata e il cui apparato era numericamente esiguo – ci affida la “gestione” della lotta. È il caso dell’Altissimo (importante fabbrica di fanali per la Fiat), che viene “affidata” a Mottura e a me (lo sciopero riuscirà – con nostra grande fierezza).

Mi sia consentita qui una digressione, per alleggerire un racconto un po’ troppo minuzioso e noioso. Possiedo ancora uno scherzoso schema di questionario per un’ipotetica “inchiesta sull’Altissimo” – in cui confluivano ironicamente la nostra esperienza col sindacato, quella con Dolci e le nostre comuni “frequentazione teologiche” di Agape (Mottura come credente e io come non-credente). Giocando sull’omonimia tra l’azienda e Dio, il questionario partiva dalla domanda “da quanto tempo è?” (risposte possibili: 1. da… anni (precisare quanti); 2. da sempre; 3. non ricordo), per concludersi con la domanda “Lei vuole che io sia disoccupato?”. Tornando alle questioni serie, da allora si avviò una collaborazione costante a livello di leghe Fiom (la IV lega di Barriera di Nizza e la I lega di Borgo San Paolo) e a livello più generale con la Cgil. Partecipiamo quindi all’organizzazione e ai picchetti delle più importanti esperienze di lotta degli anni ’60-61: gli elettromeccanici (Magnadyne) e i Cotonifici Valle di Susa. Mottura, in particolare, seguì quest’ultima, e ne diede un efficace resoconto/analisi nel primo numero dei «Quaderni rossi». Forse non a caso, anche in questa occasione, la sua attenzione si concentrava su una realtà che non era quella della grande fabbrica cittadina, ma di una realtà industriale sparpagliata nelle “valli”.

3.3. L’inchiesta alla Fiat

Nel frattempo, arriva a Torino Raniero Panzieri – con cui eravamo già in rapporto quando dirigeva «Mondo Operaio» – e si comincia a parlare del progetto di «Quaderni rossi». Raniero vede nel nostro lavoro col sindacato un elemento importante come base di partenza, ma pone subito il problema della Fiat. Noi gli ribattiamo che, nelle fabbriche dove operiamo col sindacato, ci sono spunti ed elementi di lotta, ma alla Fiat no – non sapremmo da dove partire. “Con un’inchiesta”, è l’immediata risposta di Raniero.

L’impostazione di questo lavoro di inchiesta, nel gruppo “torinese” dei futuri «Quaderni rossi», darà vita a interminabili dibattiti e divergenze, ruotanti attorno al tema della “conricerca”, che si traduceva spesso nell’alternativa schematica “inchiesta dall’alto o inchiesta dal basso?”. Sono divergenze che in qualche modo prefigurano quelle che, alcuni anni dopo, porteranno alla rottura dei Qr e alla nascita di «Classe operaia». Ma ora sono in qualche modo “premature”, e infatti non impediscono che alla fine si giunga a un’impostazione comune del lavoro di inchiesta. A questo contribuiranno sia interventi teorici (come quello di Luciano Gallino, che in un nostro seminario ci diede una “lezione di marxismo”), sia l’iniziativa concreta di Beppe Della Rocca, allora impiegato Fiat, che ci pose davanti al fatto compiuto: “vi ho combinato una serie di interviste”. Ma, ancor prima dell’avvio della “inchiesta Quaderni rossi”, tra il ’60 e il ’61 un lavoro di inchiesta inizia di fatto nel quadro del nostro lavoro col sindacato – che si sposta sulle “leghe Fiat”, la V lega (Mirafiori) e la II (Ferriere). E questo lavoro si intreccia a sua volta con le iniziative della Federazione torinese del Psi, diretta da compagni di sinistra molto aperti sia all’elaborazione innovatrice del sindacato torinese che alle posizioni di Panzieri.

Due esempi in proposito.

Le elezioni di Commissione Interna del 1961, a Mirafiori, vengono preparate dalla Fiom in modo innovativo. Anziché fare i soliti volantini “general-politici” di propaganda, si fanno – officina per officina – “volantini di inchiesta”, in cui si individuano i problemi della condizione di lavoro nell’officina, si indicano le relative rivendicazioni, e si dice che per questo bisogna organizzarsi nel sindacato. Firmato “Fiom”, ma senza neanche dire “votate Fiom”. Questi volantini sono costruiti da interviste che facciamo con i (pochi, ma ben informati) compagni che la Fiom ha in fabbrica.

Nello stesso periodo, la federazione del Psi organizza un convegno, accompagnato da un opuscolo, dal titolo significativo “qualcosa si muove alla Fiat”, basato appunto sui “segnali” che arrivavano attraverso il lavoro del sindacato torinese (e, a quel punto, non era più solo la Fiom ma anche la Fim) e attraverso il lavoro di inchiesta. Non a caso, la relazione centrale di quel convegno la terrà Romano Alquati.

Ma, al di là di questa cronistoria, quali erano le ipotesi e i risultati di questo lavoro di inchiesta?

L’ipotesi di partenza era quella di indagare le contraddizioni e i problemi legati alla condizione e alla organizzazione del lavoro, parlando non solo con la “minoranza organizzata”, ma con i “lavoratori normali”, quindi – in Fiat – non certo organizzati in Fiom o Fim, ma anzi – come molti teorizzavano – “integrati al padrone”. E quello che emergeva, dai molteplici filoni di inchiesta, erano contraddizioni acutissime su questo terreno (a partire dal problema dei tempi di lavoro e da quello di come operava la gerarchia aziendale), con una forte spinta potenzialmente conflittuale, e un bassissimo grado di consenso verso l’azienda: altro che “integrazione”! Gli sviluppi successivi della lotta alla Fiat confermeranno questi risultati.

4. Epilogo

L’intreccio tra il lavoro di inchiesta dei «Quaderni rossi» e il lavoro con il sindacato si interrompe, almeno a Torino, nell’autunno del ’61. C’è una rottura politica, che in piccola parte è un “prezzo” che il sindacato torinese deve pagare per difendersi dalle accuse di estremismo provenienti dal Pci e da una parte del centro confederale; ma che in larga misura è legata a nostre posizioni di “estremismo infantile”: ideologizzazione di alcune spinte di lotta spontanea come indicatrici di una “organizzazione autonoma dei lavoratori”, e teorizzazione della necessità, per la Cgil – data l’impostazione “opportunista” dei partiti politici del movimento operaio – di fungere da surrogato del partito rivoluzionario.

La rottura a questo punto è inevitabile. Ma la vicenda dell’inchiesta operaia, avviata in quegli anni a Torino, non cessa né nel sindacato né nei «Quaderni rossi».

Nei Qr, l’ipotesi strategica fondata sull’inchiesta diverrà anzi una sorta di “discriminante politica”, nel processo di rottura da cui nascerà – nel 1964 – «Classe operaia». E sarà appunto allora che i Qr formuleranno in modo più esplicito ed organico un’ipotesi di lavoro politico basato sull’inchiesta – i cui elementi si trovano nel n. 5 dei Qr, uscito dopo la morte di Panzieri e che contiene il suo ultimo intervento, dedicato appunto all’Uso socialista dell’inchiesta operaia. In quello stesso numero, Mottura scrive un articolo su quello stesso tema, dove – cosa rara allora tra di noi – vi sono molteplici rimandi a Lenin.

Paradossalmente ma non tanto, il progetto più ambizioso di inchiesta operaia, elaborato allora dai Qr, non si realizzerà. Ma il lavoro di inchiesta, sia pure più circoscritto ed “immediato” sarà alla base delle più importanti esperienze di lavoro politico di fabbrica sviluppate dai Qr nei due anni successivi (dal ’65 al ’67), alla Fiat (col giornale «La voce operaia») e alla Olivetti (col gruppo di “lotta di classe”).

Ma anche nel sindacato torinese il ruolo politico del lavoro di inchiesta non cesserà, anzi assumerà un’importanza ancora più centrale. Già dall’inizio degli anni ’60, si avvia un lavoro di inchiesta sull’ambiente di lavoro, per impulso di Ivar Oddone, che troverà un primo esempio alla Farmitalia (con l’apporto decisivo di Gisella di Juvalta – anch’essa proveniente dal nostro iniziale “gruppetto”): è di qui che, progressivamente, si svilupperà quell’elaborazione sul rapporto tra organizzazione del lavoro e salute, sulla centralità del “gruppo omogeneo”, da cui nascerà poi l’esperienza fondamentale dei delegati. C’è forse una ragione di fondo in questa peculiare sensibilità del sindacato torinese alla tematica dell’inchiesta: a Torino, diversamente da altre situazioni come l’Emilia o la stessa Lombardia, l’organizzazione sindacale di classe e il suo rapporto con la classe operaia vanno ricostruite quasi “da zero”, e l’inchiesta è un tramite indispensabile in questa ricostruzione.

Naturalmente, questo “epilogo” riguarda quel filone “torinese” di lavoro di inchiesta di cui ho esaminato le origini, i primordi e gli sviluppi iniziali. La questione dell’inchiesta rimarrà, e rimane tuttora, all’ordine del giorno nel movimento operaio, sia pure con alterne fortune. E gli sviluppi successivi del rapporto tra lavoro di inchiesta e azione politico-sindacale del movimento operaio vedranno impegnate molte delle persone di cui ho parlato, a partire da Giovanni Mottura. Ma con questo si aprirebbe un altro discorso – per cui mi fermo a questo epilogo provvisorio, senza trarne improvvisate “conclusioni politiche”.