Tana libera Tutti
Per una scuola senza distanze
Anna Frau

Nelle prime settimane di luglio la scrittura di questo articolo è stata l’occasione per riattraversare l’esperienza dei mesi precedenti e riflettere ancora sui processi di destrutturazione in atto da anni nella scuola e dall’emergenza accelerati.

Oggi, dopo mesi vissuti in classe e con l’intera classe, appare quanto mai ampia e profonda la trasformazione subita, nonostante l’essere in costante presenza, anzi proprio a partire da questa, dalla sua drastica rimodulazione che ne ha mortificato e depotenziato l’essenza. Una consapevolezza dalla quale la nostra attenzione critica non può prescindere.

Rientro da scuola con l’auto carica dopo mesi di assenza forzata, sono i giorni di inizio luglio, le classi vuote non proprio come le avevamo lasciate, sono i giorni delle “grandi pulizie” durante i quali siamo stati impegnati a fare spazio, liberare scaffali e armadietti in gran parte da eliminare, o comunque da ridurre, per consentire il distanziamento tra i banchi indicato nelle direttive ministeriali di fine giugno. Mi assorbono i tanti scatoloni che ho portato via e non so proprio dove sistemare, non solo fisicamente. Il materiale scolastico che ingombra il mio spazio domestico è la rappresentazione concreta del processo di smaterializzazione, già in atto da tempo nella scuola, che la contingenza accelera e rende più brutale nella sua evidenza.

Non ho davanti scartoffie e vecchi ricordi – chi come me insegna nella scuola primaria sa di cosa parlo – sono libri, strumenti, oggetti di quello che in una prospettiva laboratoriale e partecipata costituisce un armamentario vivo. Sono le armi improprie di un sapere che si costruisce nella materialità dei corpi che insieme scoprono, manipolano, modificano, rompono e ricompongono. Tutto. Certo, si è disposti a rinunciare quasi a tutto pur di riavere indietro almeno il luogo fisico e umano della classe, ma resta la consapevolezza che la scuola nella quale torneremo non sarà più la stessa, di un vuoto fisico e simbolico che continua a farsi spazio intorno ai corpi e ne depotenzia le voci.

Nella scatola più grande c’è la tana di Ciocco, lo scoiattolo di peluche che da quasi due cicli scolastici vive nella scuola, un nido nel nido, parte di quella grande quercia che è il mondo. Ciocco è un viaggiatore, meglio un caminante, visita paesi talvolta molto lontani per farcene racconto, inviandoci resoconti, foto e filmati, raggiungendoci attraverso le voci di chi lo ospita. Viene anche a farci visita nelle nostre rispettive case il nostro peluche, ospite per un giorno o un fine settimana, avvicina il suo orecchio alle nostre bocche, prova a rompere le distanze tra il dentro e il fuori, tra l’affermare il mio e riconoscere il tutti. In questi anni sul cammino di Ciocco si sono aperti e intrecciati molteplici sentieri, tante esperienze umane e didattiche profonde e coinvolgenti.

Da marzo la sua tana si si è dovuta spostare su un blog, “Gli Amici di Ciocco”, fino a quel momento solo un abbozzo pensato per essere il diario delle attività e dei percorsi svolti negli anni all’interno del progetto, ma che la crisi sanitaria con la chiusura improvvisa della scuola ha spinto a trasformare in un possibile spazio di resistenza. Chi meglio di uno scoiattolo un po’ spelacchiato dalle nostre ripetute carezze, custode dei segreti personali di ciascuno e testimone della vita collettiva, poteva provare a rompere le distanze e salvaguardare la bellezza e la gioia del respiro comune che si crea stando insieme in classe.

Nella destrutturazione generale della sospensione forzata, intanto, giungevano Linee Guida, sotto forma di curricoli preimpostati che imponevano un modello didattico unico, definito nel quanto mai triste acronimo di DAD, attraverso cui si cercava di far passare una normalità apparente basata su procedure e modalità ben distanti da ogni buona pratica educativo/pedagogica, a partire dalle videolezioni, vivamente caldeggiate in ogni ordine scolastico, tanto da essere proposte anche a bambine e bambini dell’infanzia.

Mettersi in ricerca in condizioni precarie – rischiando un viaggio in solitaria, tra mille avversità istituzionali – è impresa dura, tanto più ardua nello smarrimento generale che inevitabilmente amplifica le paure e le fragilità personali, sottraendo riferimenti e prassi consolidate, eppure proprio nella pretesa mancanza di alternative si rende necessario organizzare risposte efficaci tenendo viva la riflessione su ciò che facciamo e sulle sue ricadute. Nello stravolgimento senza precedenti, il blog ha rappresentato una possibile risposta, uno spazio per proseguire il compito educativo senza rinunciare alla ricerca, alla pluralità degli interventi, al mobilitare pensiero, andando oltre l’annosa questione che ci appiattisce tra fautori tecnologici e refrattari, “apocalittici e integrati”. Tesa in realtà a mettere in ombra, soprattutto nel confronto tra colleghi, il punto di vista pedagogico, l’orizzonte di pensiero che sostiene le nostre scelte metodologiche, solo all’interno del quale assumono senso le risorse e gli strumenti che andiamo ad attivare. Una ricerca per cui serve tempo, servono sensibilità, conoscenze e attenzione, tanto più complessa e faticosa nello straripare di piattaforme, di proposte digitali rivolte al mondo della scuola, spesso scatole vuote ben impacchettate, poco adeguate e non significative di per sé.

Più che compiti e lezioni il blog ha voluto offrire la possibilità di continuare a fare racconto di noi stessi e del nostro essere comunità, per questo si è reso necessario arricchirlo con delle bacheche condivise di facile gestione anche per dei bambini di una classe terza della scuola primaria, in modo da consentire loro maggiore indipendenza nell’interazione e nella partecipazione, evitando di gravare eccessivamente sulle famiglie. Si sono sviluppate così, nell’intreccio di voci, immagini, pensieri, tante opportunità di apprendimento con al centro la relazione, via via sempre più strutturate e meglio organizzate, in una vicinanza meno fittizia per quanto mediata, nutrita dagli stimoli e dall’affiatamento reciproco, sostenute dai molteplici rimandi della nostra quotidianità limitata, senza far finta di essere a scuola ma provando a fare per vero prossimità. Anche in questo caso è stato un mettersi in cammino, non i contenitori ma i contenuti a guidare il percorso, a caratterizzare l’individuazione delle stesse risorse tecniche adatte alle diverse esigenze sul piano didattico e non solo.

Nei bei giorni di primavera, ai più preclusi dalle pareti dei propri appartamenti, Giorgio ci ha inviato una sua foto dal giardino di casa con una farfalla posata sul dito, un’immagine delicata e potente che ha toccato tutti, è stato come se quella farfalla nella sua impalpabile essenza passasse di dito in dito, di mano in mano, messaggera di bellezza e libertà. Un’emozione vera, carica di risonanze che hanno dato vita alla creazione di origami, sono diventate scrittura personale e poesia collettiva, attività di scienze sul ciclo di vita delle farfalle. Sono nate in questo modo molte delle attività sperimentate e sviluppate nei mesi di isolamento, nei giorni dell’assenza della mano nella mano in cui si rendeva ancora più necessaria un’autentica prossimità, fare tana libera tutti.

Tutt’altro da quanto la didattica istituzionalizzata nella dad si proponeva, a colpi di sincrono e di asincrono, intessuta di precise indicazioni sui supporti, i modi e i tempi di somministrazione, il tutto camuffato da false prerogative di inclusione, sotto il controllo stringente del dirigente per verificarne l’attuazione, eseguita in una sorta di accomodamento acritico da numerosi colleghi.

Come poteva la valutazione, uno degli aspetti più delicati e da sempre dibattuti, non essere investito dall’emergenza didattica, non coinvolgerne profondamente il senso e le finalità? Infatti, mai come in questa situazione è stata così lontana dalla quantificazione e dalla misurabilità, dal poter essere espressa in un voto, scollegata da parole vere, capaci di farsi carico degli interrogativi sulle modalità attuate, sui loro limiti e la loro efficacia, sul senso della nostra azione. Senza chiederci se fosse davvero giusto dare una valutazione sulle competenze digitali di bambine e bambini della primaria, sono state attribuite loro responsabilità persino sulla restituzione dei materiali, atto che investe principalmente le famiglie e richiede almeno la conoscenza delle loro numerose problematiche. Anche questo è andato ad aggravare le tante criticità che hanno fatto emergere ulteriori divari materiali e sociali, nuove condizioni di svantaggio e di esclusione, spesso aggiunte a quelle già da tempo preesistenti ma volutamente sottovalutate. Digitalizzazione non è detto che faccia sempre rima con partecipazione e ancora meno con democrazia, a scuola come altrove. Piuttosto con disgregazione, quella inflitta alla scuola pubblica da decenni di politiche distruttive e riforme aziendalizzanti.

Un processo che sulla scorta della contingenza subisce ora nuove spinte e senza alcuna riforma democraticamente discussa sta facendo passare come inevitabili trasformazioni altrimenti inaccettabili, uniformando contenuti e modelli, metodi e strategie, dove la didattica digitale, binomio pervasivo e per niente fantastico, viene posta a caposaldo del progetto complessivo di rimodulazione dell’insegnamento, presentato sotto mal celate spoglie integrative.

Gli scatoloni più ostici da preservare in questo ambiente ostile, insieme alla salvaguardia della pluralità degli interventi didattico/educativi, sono gli spazi di espressione della propria coscienza civile e critica, la libertà intellettuale, il vero materiale ingombrante dei tempi di crisi, difficile da praticare nell’obbedienza diffusa di chi non discute ma esegue, nell’indifferenza crescente che rende corpo estraneo il sollevare dubbi, avanzare domande. Un’esperienza spero non generalizzabile, presente purtroppo nel mio vissuto come in quello di molti altri insegnanti, relegati nella cornice neutralizzante di polemici all’interno dei propri contesti di lavoro, isolati nella lettura critica dei processi in atto, resi poco incisivi, quando non penalizzati, nella costruzione di azioni di resistenza e di opposizione.

Nell’allestimento di una scuola svuotata, avvilita nella sua funzione sociale, sempre meno comunità vitale e sempre più irreggimentata, ci aspettano bambine e bambini con i loro reali bisogni di conoscenza e di relazione con il mondo, nelle concrete fasi del loro sviluppo a cui dare accoglienza, espressione e strumenti. Per loro e con loro dovremo continuare a intrecciare pensieri, azioni e voci che dicano e costruiscano altro rispetto a quanto l’esistente ci propone come unico racconto, malgrado e a partire dagli scenari preoccupanti che tra norme, nuove regole e dispositivi, peseranno ancora al rientro sulla vita delle classi, dei singoli e della collettività. Penso alle bambine e i bambini dell’infanzia e della primaria che fanno catene per starci dietro, ai loro bisogni di movimento e socializzazione, di coinvolgimento fisico e di contatto. Penso al fidarsi e affidarsi l’uno con l’altro, un bene prezioso che va custodito e protetto, come la libertà, la bellezza e la gioia in una scuola solida e solidale. Sono questi i rami della grande quercia che Ciocco da sempre ci indica e ci invita a percorrere, sapendo bene che c’è anche il rischio di una bella sbucciatura, di qualche ruzzolone. Ma che scoiattolo ambasciatore dei bambini sarebbe se si accontentasse di un’apparente esistenza tranquilla, costretto dietro al vetro di uno schermo?