Roberto Finelli,
Filosofia e tecnologia. Una vita di uscita dalla mente digitale, Torino, Rosemberg e Sellier, 2022.
La tecnologia di per sé non ci può salvare e la pandemia, come cesura della storia, sta ben a dimostrare a cosa conduca uno sviluppo tecnico intenzionato e governato solo da interessi e profitti economici. L’epidemia «ci ha condotto a un evento globale di verso solo drammaticamente negativo che inaugura, come sembra, proprio per il suo essere un evento totale, una nuova fase della storia umana» (p. 13). Finelli così descrive l’orizzonte storico-culturale entro cui le sue riflessioni acquistano senso. Con queste parole l’autore apre il suo scritto Filosofia e tecnologia, dedicato al complesso e irrisolto rapporto tra tecnica e disciplina filosofica. Ma, nello stesso tempo, rapporto paradossale, poiché da più parti si invoca la tecnica affinché ponga rimedio a ciò che essa stessa ha contribuito a produrre. Il testo di Finelli rappresenta un nuovo capitolo della ricerca avviata dall’autore: ricerca che ha al suo centro la critica della modernità, senza, però, che sia restituito fiato a concezioni irrazionalistiche che abbiano la pretesa «di celebrare la forza e la verità dell’immediatezza, del sentire di contro alla supposta sterilità e falsità di una ragione persa in concettualità e universalità disincarnate» (p. 22). Finelli, come i suoi libri ampiamente testimoniano, mantiene della modernità la tensione emancipatrice che, pur faticosamente e contraddittoriamente, attraversa il nostro presente. I recenti tragici eventi, inoltre, hanno aiutato a svelare la vera essenza della società contemporanea, pervasa da molteplici scissioni che irrimediabilmente frantumano i soggetti destinati a vite spezzate, svuotate di senso. Più precisamente costituiscono la prova – se ve ne fosse ancora bisogno – che il capitalismo risolve le sue crisi solo attraverso la guerra. Da questa constatazione prende forza il rigore etico-politico dell’autore, che fecondamente intreccia psicoanalisi, discipline scientifiche e filosofia. Ne deriva ulteriormente l’esigenza di una teoria della soggettività che non ripropone però pedissequamente il soggetto della metafisica moderna ma, piuttosto, sia un individuo aperto alle molteplici sollecitazioni che pervengono sia dal mondo esterno che da quello interiore. In particolare, l’autore chiama in causa il pensiero nomade francese, «dove è venuto meno ogni possibile fondamento e ogni pretesa di una soggettività […] dalla quale è scomparsa l’eterogeneità tra corpo e mente perché il vitale è già di per sé produzione inesausta di differenze, di eventi pieni e densi di senso ma del tutto contingenti perché non riconducibili a una unità» (p. 55).1 Il libro muove dalla domanda se e come «le nuove tecnologie del digitale possano o meno modificare la struttura interiore della natura umana» (p. 11), sottraendola a un’algida autonomia. Si tratta, pertanto, di comprendere in qual misura si è perfezionata la colonizzazione dell’immaginario, realizzando così l’utopia capitalistica di soggetti a sé consoni. Appare evidente che la crescente potenza e pervasività dei dispositivi informatici è pervenuta a un grado elevato di commistione con la mente tanto da modificarla e riconfigurarla secondo «una plasticità che vieterebbe ormai di estrarne varietà e fissità di natura». La mente, lungi dal proporsi come statica e predeterminata struttura, oppure potenzialità chiusa in sé stessa, si scopre felicemente incompleta, legata all’ambiente storico-naturale di cui è parte ma non padrona. È innegabile che molteplici segni deflagrino in una catastrofe del senso, a cui concorrono l’impoverimento dell’esperienza, la smaterializzazione delle esistenze, lo scarto tra vita organica e «macchinica processualità».
Lo scopo primario della psiche è quindi quello di mantenere l’organismo corporeo in vita, rendendo compatibile il suo mondo fisico-chimico, i suoi bisogni e le sue pulsioni, con il mondo esterno, attraverso il conoscere rappresentativo, linguistico e concettuale. Sentire e conoscere sono dunque intrinsecamente connessi per cui le emozioni, anziché cadere fuori dal pensiero o esserne tenute lontane, sono la fonte medesima della funzione della capacità di pensare, ne costituiscono la più vera radice che deve essere interpretata, riconosciuta e messa in relazione con la possibilità reale. (p. 51)
Finelli al formalismo astratto del digitale oppone una soggettività ambivalente, ricca di sensazioni ed emotività. Sottolinea che il programma di un computer non ci dice nulla su ciò che conosciamo, perché le regole del tutto formali non devono far riferimento ad alcun significato. La psiche umana è abitata da tendenze opposte: le une dirette alla costruzione di legami, l’altra caratterizzata dalla distruzione. Un’ombra di ostilità e invidia minaccia la consistenza stessa del soggetto, ne è esito «l’impasto pulsionale» che mescola gli opposti. Rimane ferma, però, la constatazione del fallimento di rendere la mente indipendente dal corpo, ovvero di farla funzionare nell’elaborazione di una percezione affettiva e sentimentale. L’individuo è posto al centro tra «la complessa dinamica del mondo interno con la multiforme complessità del mondo esterno».
L’ipotesi da cui muove la nostra critica dell’ideologia dell’infosfera è che l’attività della mente umana realizzi operazioni pensanti, autenticamente tali, solo se esse muovono da sensazioni–emozioni di origine corporea e che la psiche sia propriamente in attività solo quando riesce a trasformare le proprie emozioni in pensieri: in un transito che va costantemente dal corporeo emozionale al concettuale-rappresentativo e viceversa. (p. 21)
È evidente che riecheggia la lezione freudiana della pulsione di morte. Ne deriva la necessità di tenere a freno l’invasività e la necessità che accompagnano il passaggio dalla dinamica corporea a quella psichica. La conoscenza stessa è così assegnazione di un senso a un reale che, altrimenti, permarrebbe in una condizione di frammentazione e aporeticità. L’interlocutore filosofico di Finelli è Spinoza, dal quale riprende la determinata proporzione compositiva, unica e dunque irripetibile per altri, nei suoi vari e molteplici componenti. «Questa è la cosiddetta regola aurea, cui ogni corpo deve attenersi per garantire durata all’intero corso della sua esistenza: giacché il fuoriuscire da quella proporzione costitutiva e costituzionale significa giungere a morte o il trapassare in una condizione o stato di alterità radicale senza continuità con il precedente» (p. 27). Inizia a delinearsi il nuovo soggetto a cui più volte nel testo si è fatto riferimento. Ancora una volta è Spinoza a suggerire delle ipotesi di costruzione di una nuova società interiore e una nuova società esteriore che «coesistono, si confrontano e si riflettono l’una nell’altra». Spinoza rimane fedele alla concezione della filosofia come meditatio vitae.
Affinché non vi sia tristitia, atrofia di componenti vitali, dispotismi e asimmetrie, nella società interiore della corporeità è necessario che quel corpo complesso viva in un ambiente esterno, in una societas esteriore che non sia univoca e monocorde, ovvero che non sia bloccata in forme e pratiche di vita, reiterativamente identitaria, ma che sia multiversa e multiculturale, valida per la sua differenziazione ad alimentare le molteplici differenze della societas interiore. (p. 30)
La riflessione di Spinoza si fonda sulla «valorizzazione di ogni corporeità come modalità in atto del divino e sulla sua concezione antisostanzialistica di ogni corpo come individuo di molti individui ovvero una concezione del corpo […] come societas, come relazione e integrazione di molte individualità che devono mantenere tra loro pari dignità e simmetria, pena la disgregazione e la morte della sua unitaria organicità» (p. 29). Soggetto, quello evocato da Finelli, ricco di molteplici determinazioni che valorizzano i rapporti di sé con sé e di sé con l’altro: rapporti inter e intra individuali, fondati sul riconoscimento, che ciascuno esige da noi e che noi dobbiamo agli altri, dove il sé e l’altro si implicano reciprocamente.
Note
1 «È dunque la relazione dinamica tra corpo e mente, tra sentire e conoscere, la sua eterogeneità strutturale che ci fa esseri umani e che ci fa funzionare, nella nostra specificità di specie» (p. 52).