Luca Mozzachiodi,
Preparando il Sessantotto
Giuseppe Muraca

Luca Mozzachiodi, Preparando il Sessantotto: saggisti e scrittori nelle riviste della nuova sinistra (1956-1967), Pisa, Pacini Editore, 2024.

La crisi del marxismo e della sinistra avvenuta a partire dalla fine degli anni settanta hanno reso ormai lontana la stagione della Nuova sinistra, che dopo le opere di Giovanni Bechelloni (a c. di), Cultura e ideologia della nuova sinistra (1973), e di Attilio Mangano, Le culture del ’68 (1989) e L’altra linea (1992) negli ultimi trent’anni nella sua totalità e complessità raramente è stata oggetto dell’indagine storiografica. A rompere questo lungo silenzio ci ha pensato il giovane studioso Luca Mozzachiodi che ad essa ha da poco dedicato un libro molto importante, frutto di anni di lavoro, Preparando il Sessantotto: saggisti e scrittori nelle riviste della nuova sinistra (1956-1967). Le speranze, i drammi e le delusioni del 1956, «Ragionamenti» e la crisi dello stalinismo, «Officina» una rivista di transizione, il boom economico e le prime lotte operaie, Franco Fortini da Dieci inverni a Verifica dei poteri, Raniero Panzieri organizzatore politico e culturale e teorico marxista, il rinnovamento del marxismo e la nascita e il percorso delle riviste «Quaderni Rossi» e «Classe operaia», la fase pre-sessantottina dei «Quaderni piacentini», Cesare Cases allievo di Lukács, Renato Solmi studioso della Scuola di Francoforte e della nuova sinistra americana, Mario Tronti e l’operaismo, Alberto Asor Rosa e la critica al populismo: questi sono alcuni dei principali argomenti del libro, e tanto altro ancora. Un libro compatto, ricco di spunti e di riflessioni e rigoroso come pochi, che ricostruisce l’attività di quei piccoli gruppi di intellettuali militanti e organizzatori politici e culturali che dagli anni più duri dello stalinismo e della guerra fredda fino all’avvento del neocapitalismo e nel corso degli anni sessanta hanno speso le loro energie per affermare una linea politica e culturale diversa da quella della sinistra ufficiale, e che alla critica dello stalinismo, dello zdanovismo, del togliattismo e del marxismo nazional-popolare hanno unito l’impegno per una nuova cultura e un nuovo pensiero marxista basato sull’unità tra teoria e prassi, tra politica e cultura. Diversi per formazione e per interessi e spesso in disaccordo tra di loro, ciò che li univa era la creazione di nuovi metodi e strumenti di ricerca e di analisi e di spazi autonomi di elaborazione teorica e culturale liberi dai condizionamenti imposti dalle dirigenze politiche della sinistra, l’opera di sprovincializzazione della cultura italiana e l’attenzione verso quelle esperienze teoriche e politiche che si ponevano su un nuovo versante e che venivano trascurate, criticate o rimosse dal marxismo ortodosso. Pur riconoscendo in parte il ruolo dei partiti tradizionali, essi hanno privilegiato l’iniziativa dal basso, il primato e l’autonomia della classe e la democrazia diretta, costituendo delle piccole minoranze che hanno promosso dei progetti e delle iniziative (riviste ciclostilate e diffuse in poche centinaia di copie, attività editoriali, convegni, istituti di ricerca e di organizzazione politica e culturale) che erano in conflitto coi dogmi e le istituzioni burocratiche della sinistra e del socialismo sovietico. Proprio per questo motivo la loro attività venne ostacolata ed emarginata dall’atteggiamento di chiusura ideologica del PCI, che mal tollerava la critica e la polemica.

La data di partenza del discorso di Mozzachiodi è ovviamente il 1956, un anno che per molti versi ha chiuso un ciclo e al tempo stesso un anno di rottura e di svolta da cui ha origine una nuova stagione politica e culturale. Il XX Congresso del PCUS, con la denuncia dei crimini di Stalin e il culto della personalità da parte di Kruscev, l’VIII congresso del PCI e la rivolta polacca e ungherese e l’occupazione dei carri armati sovietici aprono una nuova fase politica, quella della destalinizzazione e della fine del frontismo, segnata da polemiche e lacerazioni sul fronte della sinistra. Emblematica da questo punto di vista è stata l’esperienza della rivista milanese «Ragionamenti» (e in parte delle bolognesi «Opinione» e «Officina») che dopo un inizio in sordina si scontra con gli intellettuali del PCI e critica duramente l’invasione sovietica e il socialismo burocratico. Coloro che negli anni precedenti avevano criticato da sinistra la linea politica e culturale dominante uscirono allo scoperto partecipando all’intenso e serrato dibattito che ha interessato e coinvolto tutta la stampa della sinistra, e non solo. Negli anni seguenti molti intellettuali abbandonarono il PCI (tra cui Antonio Giolitti e Italo Calvino), Fortini nel 1958 ruppe con il PSI, mentre il fronte dei marxisti critici ed eterodossi incomincerà a dividersi e a seguire direzioni diverse: tra chi, come i Guiducci, Momigliano e Pizzorno, lavorerà per superare Marx e la dittatura del proletariato, e chi invece, come Bosio, Panzieri, Montaldi, Cases, Luciano Della Mea e lo stesso Fortini, procederà verso un’uscita a sinistra dallo stalinismo e dallo storicismo. Si concluse così un sodalizio politico e culturale durato quasi dieci anni. Con la fine degli anni Cinquanta il graduale avvicinamento dei socialisti all’area di governo ha segnato di fatto la sconfitta e l’emarginazione politica di Panzieri, di Bosio, di Fortini e di Luciano Della Mea che nutrivano la convinzione di un necessario ripensamento e di una rifondazione del marxismo, in netta contrapposizione alle ideologie tecnocratiche e modernizzanti del neocapitalismo, della coesistenza pacifica e alla politica di “programmazione democratica” del nascente centrosinistra.

Infatti, proprio all’inizio degli anni sessanta, nel pieno del boom economico e del risveglio operaio, nacquero le prime riviste e i piccoli gruppi della nuova sinistra, che contribuirono a creare un nuovo pensiero marxista, in alternativa sia alla sinistra ufficiale che all’industria culturale e al sistema neocapitalistico, tra cui i «Quaderni Rossi», fondati a Torino nel 1961 da Raniero Panzieri, e i «Quaderni piacentini», fondati nel 1962 da Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi: mentre i redattori della prima applicano le teorie di Marx allo sviluppo neocapitalistico e s’incontrano con gli operai davanti ai cancelli della Fiat e delle altre industrie per condurre le loro inchieste con il metodo della con-ricerca, gli animatori della seconda, ispirandosi inizialmente alle posizioni di Franco Fortini, conducono una battaglia culturale contro il sistema e la vecchia sinistra. Nel ’64, dopo la rottura fra Mario Tronti e il direttore dei «Quaderni Rossi» nasce «Classe operaia», che porta ad un’idealizzazione e mitizzazione della classe operaia. Queste sono le riviste su cui si sofferma in particolare l’attenzione di Mozzachiodi e che in vario modo gettano le basi di un nuovo discorso teorico, politico, culturale e letterario. Si afferma così una nuova generazione di giovani intellettuali militanti che, dopo la lacerante crisi del 1956, tra il luglio sessanta, la formazione del centro-sinistra e la rivolta di piazza Statuto a Torino aveva maturato, in opposizione ai miti e ai valori della società neocapitalistica e alla linea politica riformista e moderata del movimento operaio tradizionale, le proprie scelte ideologiche e che aveva fatto proprio della rivista lo strumento privilegiato di ricerca, d’intervento e di dibattilo teorico, politico e culturale. Ed è così che proprio nella prima metà degli anni sessanta si verificò l’incontro e la collaborazione tra due generazioni di intellettuali della nuova sinistra, tra quella dei “dieci inverni” (dei vari Fortini, Panzieri, Montaldi, Bosio, Giovanni Pirelli, Luciano della Mea, Roversi, Cases, ecc.) e quella del 1956 (dei vari Asor Rosa, Tronti, Rieser, Piergiorgio Bellocchio, Grazia Cherchi, Fofi, Mottura, Negri, Alquati, Lanzardo, Bologna, Luperini, ecc.). Al di là delle differenze, obbiettivo comune di quei piccoli gruppi d’intellettuali era la critica del neocapitalismo, la creazione di una nuova cultura e il rinnovamento del marxismo in senso classista e rivoluzionario e la fondazione di un nuovo internazionalismo, nella prospettiva di un radicale mutamento della società contemporanea, perseguendo un’idea di un “comunismo diverso” che poi alimenterà l’attività politica della generazione sessantottina e dei gruppi rivoluzionari. Perciò essi s’impegnarono con dedizione ed entusiasmo gobettiani, improvvisandosi editori, per creare nuove forme e strumenti diversi di comunicazione, di ricerca e di dibattito politico-culturale, in netto contrasto sia alla moderna industria culturale che alla sinistra “ufficiale”. Tutte le riviste della nuova sinistra furono infatti prodotte e autogestite dai principali animatori e questo permise loro una quasi totale indipendenza dal contesto politico e culturale, diventando col tempo dei punti di riferimento per un pubblico sempre più ampio di intellettuali e militanti collocati a sinistra delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio. Nel 1965 uscirono Verifica dei poteri e l’antologia Profezie e realtà del nostro secolo di Franco Fortini, Scrittori e popolo di Alberto Asor Rosa e l’anno seguente Operai e capitale di Mario Tronti, quattro libri di rottura che influenzeranno profondamente la generazione del sessantotto suscitando discussioni e polemiche tra i gruppi e la stampa della nuova sinistra. Bisogna però considerare che nella prima metà degli anni sessanta le riviste della nuova sinistra circolarono quasi clandestinamente e raramente superarono il migliaio di copie, e soltanto nella seconda metà del decennio, con il radicalizzarsi della situazione politica mondiale (le lotte civili e antirazziali in USA, la nascita della nuova sinistra americana, la guerra del Vietnam, le lotte antiimperialistiche in America Latina e nei paesi del terzo mondo, la Rivoluzione culturale cinese, ecc.), esse riuscirono ad interessare e ad influenzare progressivamente un giovane ceto intellettuale sempre più massificato e politicizzato che si poneva appunto alla sinistra del PCI e del PSI. Tuttavia, l’improvvisa esplosione della contestazione studentesca colse in gran parte di sorpresa anche i gruppi minoritari della nuova sinistra, che avevano pensato e lavorato per una sollevazione della classe operaia, anche se non c’è dubbio che la loro ricerca teorica, politica e culturale sia da considerare una delle matrici del movimento studentesco, dell’autunno caldo e della sinistra extraparlamentare. Quello è stato il periodo della massima espansione e del successo delle riviste (del n. 33 dei «Quaderni piacentini» si vendettero quindicimila copie), ma anche della loro trasformazione in quanto i grandi movimenti di massa hanno posto delle problematiche e innescato dei processi sociali e politici di vasta portata, tanto è vero che persino le più spregiudicate sono state costrette a modificare la loro precedente impostazione («Classe operaia» concluse la sua pubblicazione nel 1967, mentre «Classe e Stato» addirittura chiuse in pieno 1968): non a caso il discorso specificatamente culturale e letterario venne quasi del tutto abbandonato e furono privilegiate la ricerca teorica e la riflessione politica: infatti da quel momento «Quaderni piacentini» e «Rendiconti» smisero di pubblicare poesie e testi letterari. Insomma, venne avvertita di colpo l’urgenza di mettersi al passo col movimento, pubblicando saggi interpretativi e documenti della rivolta universitaria e dell’autunno caldo, molti dei quali sono ancora indispensabili per capire il movimento sessantottino. E proprio nel corso del 1968 uscirono sui «Quaderni piacentini» i celebri saggi Contro l’università di Guido Viale, Il dissenso e l’autorità di Franco Fortini, La politica ridefinita di Carlo Donolo e Il desiderio dissidente di Elvio Fachinelli che hanno contribuito a fare della rivista di Piacenza il più autorevole e il più letto periodico della nuova sinistra.

Luca Mozzachiodi conclude giustamente il suo discorso nel 1967 perché il 1968 rappresenta per molti versi una nuova data periodizzante e una nuova rottura, tra primato della politica, critica antiautoritaria e radicale del sistema universitario e scolastico e dell’autonomia e della separatezza della cultura e dell’intellettuale. I gruppi del movimento studentesco hanno raccolto i messaggi politici dei protagonisti e delle riviste della nuova sinistra, ma al tempo stesso hanno attuato una ridefinizione della cultura e della politica. Si afferma insomma un nuovo clima politico, un nuovo modo di intendere la politica e il ruolo dell’intellettuale. Cioè, con le lotte studentesche e operaie è iniziato un nuovo periodo politico che porterà alla nascita dei partiti e dei giornali della sinistra rivoluzionaria (Servire il Popolo, Avanguardia operaia, Lotta continua, Il Manifesto, Potere operaio, ecc. ecc.), che segneranno l’affermazione di vecchie e nuove ortodossie e la storia italiana degli anni settanta.