
Quei due ritratti di Angelini si debbono l’uno a Eugenio Montale, l’altro a Ottone Rosai. Sotto la firma, Rosai ha scritto «prova», a revocarne, forse, in dubbio la riuscita. E si può esser d’accordo se è vero, come a me pare, che il volto del giovane è, per dir così, immesso, ed a forza, nei moduli espressivi del pittore, quasi in essi egli abbia tradotte le linee di quel profilo. Quel profilo Montale, all’opposto, delinea nella sua purezza. L’onda dell’alta fronte che procede a segnare il naso, a descrivere la bocca e il mento eseguita come in un unico tratto. Il risultato è di franca somiglianza e spinge Montale a siglare con piena convinzione: «Ritratto di Alceste da Montalcino Eugenio Montale 1943». E, mentre Rosai non lo coglie, Montale fissa lo sguardo di Alceste e forse il pudore, in un appena accennato sorriso a fior di labbra, dello studente in posa sotto lo sguardo di un poeta che, per consuetudine, con le forme della poesia in parallelo sonda, se non quelle del dipingere, le forme del disegno. Del resto, in quello stesso anno 1943 Montale pubblica in Finisterre poesie composte nei due anni precedenti e una, Il ventaglio, eloquentemente recita: «Ut pictura… Le labbra che confondono, /gli sguardi, i segni, i giorni ormai caduti / provo a figgerli là come in un tondo / di cannocchiale arrovesciato, muti / e immoti, ma più vivi».
E vivo sta, in quello schizzo a penna di Montale, dinnanzi a noi Angelini. E più ancora è vivo in noi per le ragioni della poesia e per chi vi si applichi con rigore, lontano dalla pletora dei troppi praticanti. A ben vedere non è senza significato che Prime poesie rechi in esergo un verso di Persio dove il giovanissimo poeta latino (destinato a una morte precoce) rivendica il privilegio di presentarsi ai pochi cultori di poesia che apprezzano opere nate, come la sua, lontano dalle mode dominanti.
Angelini dopo Prime poesie pubblica, nell’arco di cinquanta anni, tre sorvegliatissime e perfette raccolte: Altri versi nel 1962; Parole dall’esilio nel 1984 (che ripropone, per la maggior parte dei trentuno qui raccolti, i componimenti già stampati in Altri versi) e Album nel 1993. Mario Luzi scrive Per il ritorno di Alceste, una pagina stilata a corredo di Parole dall’esilio ove si legge: «La gentilezza copre in Alceste Angelini la dura costanza interiore; la timidezza e il riserbo possono ugualmente traviare il giudizio e occultare il suo ascetico rigore». Luzi parla di «fervido ritiro» e, continua, «le rare poesie di un’intera vita raccolte oggi in questo volume lo attestano limpidamente; i loro lettori lo avvertiranno e avvertiranno insieme come esse sempre più decisamente si temprano a liberare tutta la loro purissima quintessenza di lirismo sobrio e vibrante». E conclude: «non c’è sacrificio a nessun idolo o topos della vicenda letteraria. Il rapporto tra obbedienza e libertà è possibile osservarlo qui a un grado splendido di nitidezza».
È il nitore e lo splendore dell’italiano in cui Angelini volge il greco dei suoi antichi autori anno dopo anno. Da Einaudi stampa l’Eracle di Euripide (1965), gli Epigrammi di Asclepiade (1970) e gli Epigrammi di Callimaco (1990). E Mimnermo ed altri poeti greci nella collana «Chirografie» curata da Antonio Prete.
[articolo uscito su «il manifesto», 27 settembre 2024]