Italo Svevo,
Lettere
Stefania La Bionda

Italo Svevo, Lettere, a cura di Simone Ticciati, Milano, il Saggiatore, 2021.

In una lettera indirizzata alla moglie Livia Veneziani da Charlton, il 5 dicembre 1903, Ettore Schmitz si abbandona a una confidenza inaspettata: «Il mio costume di sognatore in fondo è quello che fa la mia serenità quasi continua; altrimenti vivrei anch’io come il nostro Marco [il marito di una sorella di Livia] nelle asprezze continue della realtà che gli tolgono il sonno e la voglia di vivere» (1903.49, p. 516). Sono parole indubbiamente rivelatrici della necessità dell’industriale di vestire i panni dello scrittore, per quanto allusive, cariche di sottintesi e venate di una sottilissima ambiguità. Animate da un duplice e ambivalente movimento, che a un tempo chiarisce e “obnubila” l’identità prismatica dell’autore della Coscienza di Zeno, le Lettere di Ettore Schmitz, in questa nuova e aggiornata edizione a cura di Simone Ticciati, continuano a gettare luce sugli angoli più in ombra della proteiforme ispirazione letteraria di Italo Svevo.

Il corpus epistolare sveviano riunisce, allo stato attuale, 901 organismi testuali dal carattere eterogeneo, per quanto attiene al campionario tematico e ai registri stilistici, e abbraccia un arco cronologico molto ampio, che dal 1885 giunge sino al 1928.

Va rivolto a Simone Ticciati un sentito plauso per l’indubbio valore dell’opera di “ricostruzione” dell’epistolario da lui compiuta. Parlare di ricostruzione, in questo caso, è ragionevole dal momento che, come del resto è noto agli addetti del settore da moltissimi anni, sino al mese di ottobre 2021 l’epistolario era sì in buona parte edito nel volume della Dall’Oglio (1966) affidato alle cure di Bruno Maier, ma parzialmente disperso, o meglio “parcellizzato” – nella forma di frammenti riconducibili a svariati carteggi –, in una caterva di volumi e riviste. Questo stato di cose, unitamente ai non pochi problemi di matrice filologica posti dalla precedente edizione,1 ha reso necessario – e con una certa urgenza2 – approntarne una nuova, che in un organismo unitario e di facile consultazione rendesse conto, con sistematicità, della stratificazione delle acquisizioni di nuove lettere registratesi in così tanti decenni: si contano addirittura 55 anni dalla prima edizione.

Occorre innanzitutto segnalare l’imponente lavoro di ricerca archivistica e bibliografica condotto da Simone Ticciati. La nuova edizione dell’epistolario, mentre espunge tipologie testuali difficilmente classificabili ma certamente non ascrivibili alla lettera stricto sensu – pure accolte nella precedente edizione – accoglie tutte le minute conservate e si arricchisce di quattro lettere finora inedite indirizzate a James Joyce, di alcune lettere indirizzate ad Ario Tribel e Marino Szombathely e di una lettera avente come destinataria Adrienne Monnier, del 14 giugno 1926.

Alcuni testimoni, in forma manoscritta e dattiloscritta, sono stati rinvenuti presso fondi archivistici italiani ed esteri; mentre altre lettere sono state riunite mediante l’apporto, irrinunciabile, di una nutrita moltitudine di edizioni a stampa, in volume e in rivista, delle quali puntualmente la Nota al testo reca traccia (pp. 76-79). Rimangono escluse solamente due lettere del 1926 indirizzate a Bino Binazzi scoperte da Beatrice Stasi, ancora in corso di stampa sul «Giornale Storico della Letteratura Italiana» al momento della chiusura dell’edizione.

A orientare i passi di Ticciati nell’allestimento di quella che, ad oggi, si configura come la più completa edizione dell’epistolario mai pubblicata, è un principio metodologico che opera nel massimo rispetto dei testimoni autografi, anche in quei casi in cui il dettato appare raffazzonato. La ratio correttoria di Ticciati si limita infatti – laddove opportuno – ad addolcire alcune asperità proprie dell’idioletto sveviano, con lo scopo primario di scongiurare il palesarsi di ambiguità in grado di oscurare la comprensione dei testi. Più precisamente, nella ricca Nota premessa all’epistolario, egli dichiara di essere intervenuto laddove abbia riscontrato degli errori di ripetizione, mantenendo tuttavia alcuni anacoluti; e correggendo evidenti «scorsi di penna», senza però sopprimere le forme desuete di termini che trovano attestazione nella nostra tradizione letteraria. Altri interventi segnalati nelle note di servizio riguardano: gli scempiamenti che produrrebbero quasi inevitabilmente delle ambiguità interpretative (a titolo d’esempio: dati per datti, saremo per saremmo, fumo per fummo), la grafia corretta di parole straniere e l’inserzione di informazioni sintetiche – pure presenti nell’edizione Dall’Oglio – atte a chiarire gli episodi e l’identità dei personaggi citati nelle lettere.

In seno alla restituzione delle esatte coordinate cronotopiche, nel tentativo di porre rimedio ad alcune dislocazioni erronee del materiale conservato presso il Fondo Svevo, il curatore è intervenuto stabilendo caso per caso, basandosi sugli elementi a propria disposizione, dunque rifuggendo da ogni arbitrarietà, «una possibile data topica e cronologica» (p. 92), ponendola, in corsivo, sotto l’indicazione del destinatario di ciascuna lettera.

A corredare la meritoria fatica compiuta da Simone Ticciati è un agile saggio di Federico Bertoni collocato ad apertura del volume, dal titolo evocativo Letteratura contro letteratura: le «Lettere» di Svevo, che non tarda a rivelare la raffinata intelligenza critica dell’autore, mentre funge da preziosa cornice teorica dei contenuti dell’epistolario. Federico Bertoni, già attento curatore del «Meridiano» Teatro e Saggi dato alle stampe in occasione dell’allestimento dell’edizione in tre volumi di Tutte le opere di Italo Svevo (2004), sin dalle prime battute si interroga su una vexata quaestio che accompagna tenacemente il dibattito sullo scrittore triestino, proiettando un voluminoso cono d’ombra sulla ormai centennale storia della critica sveviana: chi era Italo Svevo? Ma soprattutto: chi era Ettore Schmitz?

Difficile resistere alla tentazione di provare a fornire delle risposte puntuali a questo e altri interrogativi. Tuttavia – e anche Bertoni lo sottolinea – il profilo umano di Ettore Schmitz rimane tutt’oggi ambiguo e sfuggente a ogni tentativo di classificazione; e continua a suggerire sempre nuove domande.

Resta da chiarire quali sono le peculiarità fondamentali delle Lettere di Italo Svevo. Se volessimo addentrarci nei sinuosi anfratti dell’epistolario per scorgerne la struttura, noteremo che essa ha un «impianto bipartito» (p. 50), e che la cifra che la caratterizza, per dirla con Bruno Maier, è la presenza di «due centri gravitazionali».3 Le lettere che nella prima parte del volume (1885-1922) aprono uno squarcio sull’orizzonte esperienziale privato di Ettore Schmitz, attardandosi in minute e contraddittorie eppure appassionanti vicissitudini matrimoniali e familiari, nella seconda parte (1923-1928), corrispondente al secondo centro gravitazionale della raccolta, recedono a favore di un dialogo “nuovo” con interlocutori nuovi. Si tratta degli intellettuali che a vario titolo hanno contribuito alla tardiva scoperta dell’opera di Italo Svevo e al suo contrastato successo: Eugenio Montale, James Joyce, Giuseppe Prezzolini, Valery Larbaud, Benjamin Crémieux, Marie-Anne Comnène, Licinio Cappelli, Attilio Frescura, Silvio Benco, Ferdinando Pasini, Enzo Ferrieri, Valerio Jahier e tanti altri. È soltanto a partire dal 1923 che la letteratura conquista finalmente protagonismo testuale nelle lettere: ed ecco fare capolino un vivace affastellarsi di riferimenti ad articoli, recensioni, alle traduzioni della Coscienza di Zeno, alla seconda edizione di Senilità, al corpus novellistico dell’ultima stagione creativa, al progetto del Vegliardo mai portato a compimento; ancora, ecco porsi in primo piano le allusioni a sostenitori e detrattori, gli inviti a varie iniziative culturali, i libri letti, gli autori amati e odiati. Insomma, la letteratura e, più in generale, la cultura acquisiscono un valore dominante, delineando un carteggio dal profilo spiccatamente intellettuale, che conferisce alle missive un carattere polifonico, grazie anche al definitivo abbandono dell’esclusivo «duetto epistolare con Livia» (p. 50).

Il panorama tematico dominante nelle Lettere di Svevo si coagula attorno ad alcuni motivi ricorrenti (pp. 51-67): famiglia, lavoro, viaggio, salute, letteratura, vecchiaia. Grazie a un’«iniezione di ilare leggerezza nella gravitas delle incombenze casalinghe»,4 che dà il ritmo della musica, questo campionario si vivacizza, e con l’inserzione di «pensieri, umori, scatti emotivi, osservazioni su di sé e sul mondo» (p. 51), dà forma a uno stile a dir poco originale o, per meglio dire, unico. A questo punto è lecito chiedersi: forse le lettere sono firmate da Ettore Schmitz ma sono scritte da Italo Svevo? Rimane una questione di difficile risoluzione stabilire in quale misura la scrittura epistolare assolvesse, per Ettore Schmitz, a una funzione meramente e strumentalmente comunicativa; altrettanto arduo risulta stabilire in quale misura l’epistolografia in special modo familiare rappresentasse per l’autore un esercizio creativo e di terapeutica autoconoscenza. Un dato ormai acquisito è che l’epistolario è «come un ricco e fecondo “serbatoio” tematico per lo scrittore, come una prima, iniziale maniera di dissodare e disciplinare una materia psicologica oltremodo viva e incandescente»,5 che potrà poi riversarsi nella scrittura narrativa di Italo Svevo opportunamente filtrata.

Probabilmente, alla luce di tali premesse, pensare di risolvere il mistero che avvolge il bifrontismo Schmitz-Svevo ricorrendo a formulazioni assiomatiche dall’esibita pretesa di affrancarsi da ogni forma di genericità, si rivelerebbe ben presto una strada impraticabile, se non una vera e propria delusione. Ha forse ragione Bertoni quando, in una significativa pagina del suo saggio introduttivo, ammette che è: «Difficile identificare il suo vero volto in questo gioco di pseudonimi e travestimenti, e difficile soprattutto capire se esiste, un vero volto» (p. 42).

E tuttavia il critico di professione e il lettore animato dalla curiositas potranno certamente ricostruire, attraverso le pagine dell’epistolario, il profilo biografico e la fisionomia di un uomo dall’«insopprimibile indole di sognatore»,6 consapevole, come egli stesso ebbe a scrivere in un frammento, che «un letterato sa sempre di essere composto di due persone». Oppure, nella “peggiore” delle ipotesi, scorgere tra le sue pagine semplicemente «il solito centauro beffardo e imprendibile che abita tutta la sua opera, una creatura ibrida in cui convergono diverse lingue, origini, identità, culture, visioni del mondo, che non cessa di fingersi e travestirsi» (p. 46); in fondo non è semplice farsi largo tra le contraddizioni di una personalità polivalente: Aron Hector Schmitz, Ettore Samigli, Erode, E. Muranese… Italo Svevo.

Preso atto del suo indubbio valore documentario e testimoniale, in questa aggiornatissima edizione, che a ragione è stato detto colmare «grandi attese» (p. 47) grazie all’acribia filologica e all’attenta cura di Simone Ticciati, l’epistolario si presenta nella duplice veste di duttile strumento di lavoro per lo specialista e come indispensabile viatico per chiunque voglia muoversi più agevolmente lungo le “vie traverse” che contrassegnano la singolare esperienza umana e letteraria di Schmitz/Svevo.

Note

1 G. Tellini, Svevo, Roma, Salerno Editrice, 2013, p. 257.

2 M. Tortora, Il punto su Svevo: 1994-2004, in «Moderna», VI, 2, 2004, pp. 176-177..

3 I. Svevo, Epistolario, a cura di Bruno Maier, Milano, Dall’Oglio, 1966, p. 18.

4 G. Tellini, Svevo cit., p. 236.

5B. Maier, Epistolario cit., p. 19.

6C. Serafini, Introduzione, in I. Svevo, Quanto necessaria mi sei. Lettere alla moglie, Roma, L’orma editore, 2014, p. 9.