
Odessa, d’altronde, era ben diversa dalla grigia e provinciale Kisinev, capoluogo della Bessarabia, precedente tappa del suo esilio, e le strofe dell’Evgenij Onegin1 ne restituiscono in toni sognanti l’atmosfera cosmopolita e vivacissima:
Là tutto respira a un vento d’Europa,
Tutto risplende meridione e si variopinge
Di una viva molteplicità.
La lingua dell’Italia d’oro
Risuona per le vie allegra,
Dove passano lo slavo altero,
Il francese, lo spagnolo, l’armeno,
E il greco, e il greve moldavo,
E il figlio della terra egiziana,
Moro Alì, corsaro a riposo.
Tanto più se si pensi che il vino
Senza dazio viene importato.
Ma il sole del Sud, ma il mare…
Amici, cosa volete di più?
Oh paesi benedetti!
Tuonava il cannone all’alba,
Dalla riva scoscesa, correndo,
Io mi avviavo già verso il mare.
Poi, con la pipa arroventata,
Ristorato dalla salsedine,
Come un musulmano nel suo paradiso,
Bevevo il caffè col fondo alla turca.
Andavo a passeggio.
Incamminandosi lungo il boulevard alberato di via Derybasivska e scendendo verso il porto, Puškin non poteva imbattersi in quello che sarebbe diventato il monumento più iconico di Odessa, ossia la scalinata neoclassica lunga duecento gradini eternata da Sergej Ejzenstein nella sua Corazzata Potëmkin – l’architetto italiano Francesco Boffo l’avrebbe progettata solo un decennio più tardi, nel 1835.
In compenso, uscendo dall’Hotel Rainaud dove risiedeva (provvidenzialmente situato nelle immediate vicinanze del ristorante Automne, sempre lungo via Derybasivska), e percorrendo la via intitolata al duca di Richelieu, governatore della città all’inizio del secolo, il poeta raggiungeva in quattro e quattr’otto uno dei suoi luoghi preferiti: il teatro dell’Opera, inaugurato nel 1810, distrutto completamente da un incendio nel 1873, e poi ricostruito nello stile neobarocco viennese.
Di certo già ai tempi di Puškin doveva essere il fulcro della vita sociale della città:
Dobbiamo andare all’opera in fretta:
Dànno l’inebriante Rossini,
D’Europa il beniamino – l’Orfeo […]
E spande suoni – che ribollono,
Scorrono, ardono
[…] Come del frizzante Ay
Lo zampillo e gli spruzzi d’oro…
Ma, signori, è lecito forse
Al vino paragonare il do-re-mi-sol?
L’Opera, ma anche l’imponente ensemble architettonico neoclassico della piazza intitolata al Duca di Richelieu, così come il viale non meno grandioso che conduce al mare, e ovviamente la scalinata di Potemkin – tutti questi monumenti della città fondata da Caterina II nel 1794 rientrano in una lista che già dal 2009 è al vaglio dell’Unesco per l’inserimento fra i beni dell’umanità. Di fronte alla minaccia di ulteriori bombardamenti da parte delle forze armate russe, il sindaco di Odessa Gennadij Trukhanov ha chiesto di recente al governo ucraino di fare pressione sull’Unesco affinché il processo di riconoscimento acceleri, e sarebbe bello che una decisione in tal senso giungesse a breve, magari per il 10 aprile, giorno in cui la città commemora la fine dell’occupazione tedesco-rumena durante la seconda guerra mondiale. Davvero i russi possono bombardare una città così amata dal loro stesso poeta nazionale?
[«il manifesto», 5 aprile 2022]
1 Le citazioni sono tratte dall’edizione Garzanti dell’Evgenij Onegin, nella traduzione di Giovanni Giudici (19751), di recente riproposta da Scalpendi: Eugenio Onieghin nei versi italiani di Giovanni Giudici (2021).