In mani fidate: il titolo del libro pubblicato per cura di Caterina Graziadei1 insieme al nome dell’autore, Evgenij Solonovič, formano una specie di endiadi, essendo il poeta anche il maggior traduttore russo di poesia italiana, da Dante e Petrarca a Zanzotto e Caproni (passando per Ariosto e Belli e tralasciandone la foltissima bibliografia); e quanto al trio di traduttrici italiane delle poesie (la stessa Graziadei, Bianca Maria Balestra e Claudia Scandura), si può dire che rappresenta al meglio la tradizione della nostra slavistica: ed il loro è qui un concerto cordiale e di alta scuola, secondo si addice ad un lavoro ricco di echi poetici e d’intarsi di largo spettro stilistico e altrettanto ampio orizzonte culturale. Non si aspetti tuttavia il lettore una raccolta di esercizi metapoetici o di letteratura al cubo: se di metapoesia si può parlare, infatti – e sarà giusto farlo, per chi commenti per esempio Considerando le metamorfosi – questa nel libro è sempre radicata nel vissuto, ancorata alla stagione e all’ora: «la notte era un verso improvviso / non di quelli che indugiano, / ma di quelli, come dire? / che schioccano sulla lingua» (La notte), o come in Traducendo Montale piuttosto il resoconto di una quest che non un ossequioso omaggio: «Mentre un altro si morderebbe le labbra, / io borbotto un ta-ta-ta, ta-ta-ta, /seguo spesso una falsa pista / oppure remo controcorrente, / goffo scassinatore di metafore, / trasgressore di magici tabù» – poetica traslatoria che parla molto di mestiere e d’avventura, e poco di estasi o magiche epifanie semiotiche. Dunque e invece, sono l’abbreviarsi o l’allungarsi delle giornate, l’alterna vicenda della notte e del giorno, il declinare dell’estate e la «doratura delle chiome autunnali» che «aumenta la calvizie» (La luce del giorno volge all’inverno), come in un calendario illustrato delle ere pre-digitali che accolga miniature di interni e paesaggi innevati «dietro i vetri» (Neve di maggio) o disgeli di «gemme pazzesche» (Disgelo in gennaio), a scandire lo spartito della raccolta, conferendole un carattere organico di tono oraziano (Carm. II, 14 è richiamato nell’epigrafe del bel saggio introduttivo di Graziadei) che, per così dire, soprintende alla varietà dei metri e delle occasioni. A far da padroni sulla pagina sono il tempo e la memoria, non senza una certa loro capricciosa prepotenza:
cerca di non lasciare spazi vuoti,
mentre com’è suo solito ti burla:
ora perde una cosa, ora la trova,
con un flash di cui faresti a meno
ti ricorda ciò che vuoi scordare,
salta una casella, una la riempie,
senza sosta, finché la vita dura.
perché in notti come quelle
facile sarebbe spaventare la gioia,
e tacciono le labbra infiammate,
solo canne d’organo respirano,
col respiro lacerando il petto.
È la tersa lezione di un maestro: non importa se il nostro, di certo, rifiuterebbe l’appellativo, che però voglia o no, gli appartiene. Lo sapevamo da tempo e siamo felici che sia di casa tra noi, ora, con questi versi.
1 Il video della presentazione del libro, presente l’autore e le traduttrici, è visibile sul canale YouTube dell’Istituto di cultura e lingua russa.