Una testimonianza su Raniero Panzieri
Nicolao Merker

I miei ricordi di Raniero Panzieri risalgono agli anni del mio apprendistato all’università di Messina. Mi iscrissi nell’autunno del 1949 al corso di laurea in filosofia della facoltà di Lettere e Filosofia di quell’università. Ero ivi ospite dei miei zii – Carlo Jülg e la moglie Valeria Wachenhusen – membri del Pci clandestino fin dagli anni Trenta, arrestati nel 1937 e in prigione fino all’agosto del 1943, poi nelle file della Resistenza nel Ravennate fino al 1945, infine finiti a Messina. La cattedra di docente di tedesco tenuta da Carlo in un ginnasio di Brescia e persa con l’arresto gli fu infatti “restituita” sì, ma in Sicilia onde punire un bieco comunista. Gli zii continuarono ivi la loro attività nel Pci e diventarono amici di Panzieri socialista di sinistra. Venni così a conoscerlo anch’io.

Lo incontrai pure nella sua veste di professore incaricato presso la facoltà di Lettere e Filosofia. Vi insegnava infatti Storia delle dottrine politiche ed ero uno dei suoi studenti. Il suo corso per l’anno accademico 1949-50 verteva sugli inizi e gli sviluppi del giusnaturalismo nel Seicento e Settecento.

A quell’insegnamento era stato chiamato da Galvano della Volpe, ordinario dal 1938 di Storia della filosofia alla Facoltà di Magistero di Messina, e incaricato nel dopoguerra della medesima disciplina anche alla facoltà di Lettere. Su iniziativa di della Volpe ebbero in quest’ultima facoltà un incarico di Economia politica anche il valente economista Giulio Pietranera, dal 1949, e vi si aggiunsero altri studiosi di sinistra, sia locali sia venuti da fuori. Tanto che la facoltà acquistò presto la nomea di essere “un covo di comunisti”. Girava voce che il ministro dell’interno Mario Scelba reclamasse personalmente che quel “covo” dovesse venir chiuso. Sta di fatto che per l’anno accademico 1952-53 la Facoltà di Lettere non rinnovò più gli incarichi né a della Volpe (che fino al pensionamento rimase titolare della sua cattedra al Magistero) né agli studiosi da lui fatti venire. A sostituirlo all’insegnamento di Storia della filosofia alla Facoltà di Lettere venne il padre gesuita padovano Carlo Giacon che vi portò gli assiomi della scuola tomista.

La mia tesi di laurea, su Hegel e lo scetticismo, presa con della Volpe, dovetti perciò discuterla nel luglio 1953 con Giacon. Non capiva nulla di quel tema e fu molto corretto. Ebbi il massimo dei voti e la lode.

In Panzieri gli studenti trovarono un ottimo consigliere. Non appena arrivava a conoscere un po’ meglio gli studenti che venivano ai suoi corsi, cercava di elaborare con loro un piano di studio e di ricerche personalizzato secondo le aspirazioni e le capacità. A me suggerì di dedicarmi anzitutto come primari libri di studio alla Critica della ragion pura di Kant e al primo libro del Capitale di Marx appena uscito nella traduzione di Delio Cantimori. A giudicare dal mio successivo itinerario intellettuale devo credere che quell’indicazione sia stata assai valida, in molti sensi. Altri suggerimenti di metodo e di filologia mi vennero da lui quando lo andavo a trovare qualche volta nella sua casa d’affitto, sulla collina messinese sopra la città. Mi ricordo un grande stanzone aperto su una terrazza da cui si vedevano, sotto, la città e il mare. Nello stanzone due grandi tavoli da lavoro ingombri di libri e carte dove lui e la moglie, Pucci Panzieri Saija, traducevano il secondo libro del Capitale; e lì trovava posto anche una culla con una bimba piccola ancora in fase di allattamento. In quegli anni messinesi Panzieri si divideva tra lo stanzone, l’università e frequenti puntate nei Nebrodi siciliani a organizzare il movimento contadino dell’occupazione delle terre incolte.

Di Giacomo Debenedetti, altra illustre figura chiamata da della Volpe a insegnare a Lettere, ricordo poco. Non era nel mio corso di laurea, bensì in quello di Lettere appunto. Sicché mi capitava solo di incontrarlo, talvolta, quando ci si vedeva tutti nell’albergo dove della Volpe alloggiava.

Ma un tentativo di cronaca della vita messinese quotidiana di della Volpe costituirebbe un tutt’altro capitolo, tutto a sé e abbastanza multiforme.

[testimonianza concessa a Luca Baranelli, ottobre 2014]