Il primo merito di Amianto, tuttavia, non consiste tanto nella scelta del tema, quanto nella sua messa in forma, vale a dire nella soluzione originale dei problemi di distanza e di inquadratura connessi alla costruzione e alla composizione del contenuto. Il romanzo, infatti, non svolge una vicenda eroico-sovversiva proveniente da lontano, come nei lavori precedenti di Prunetti (Potassa, 2003; L’arte della fuga, 2005; e Il fioraio di Perón, 2009), ma affronta una situazione tra le più vicine e più intime da narrare. Amianto è la storia di un figlio che racconta la storia vera del padre: Renato, classe 1945, saldatore tubista per le raffinerie di tutta Italia e che, a forza di lavorare respirando fibre nocive, è stato ucciso da un tumore a poco più di sessant’anni.
Raccontare la malattia e la morte di un genitore costa molto, sia in senso emotivo che tecnico-formale, e molte volte si fallisce, perché si appiattisce l’esperienza di perdita su una narrazione sentimentale incapace di funzionare e resistere oltre la durata della lettura o il perimetro della sofferenza personale. In Amianto, invece, l’impietosimento è quasi sempre lasciato da parte – non è lì che converge l’energia del racconto; di conseguenza, la vicenda di Renato “resta” e acquista una verità emblematica extraindividuale: è uguale a tante altre, ma nel medesimo tempo diventa unica, perché non si riduce al tempo di un sentimento scontato.
L’uso non ingenuo del pathos non è, tuttavia, il motivo più importante per cui Amianto è un libro riuscito, anche nel senso che si legge volentieri. Le ragioni sono altre, principalmente due: l’argomento affrontato, ovvero il rimosso storico della vita operaia italiana; e la capacità, in senso tecnico, di trattare la storia. Dal punto di vista etico e politico la questione seria certamente è la prima; tuttavia qui si darà spazio critico alla seconda. Al contrario del romanzo Acciaio e dell’ancor più brutto film che ne è stato tratto, Amianto è un libro all’altezza delle proprie intenzioni perché l’autore ha saputo scrivere una biografia operaia. Riassumerò cosa voglio dire in tre punti, in ciascuno dei quali si lascerà voce al testo.
La biografia è la scrittura di una vita che dura fino al suo termine. Il destino di morte che la attende – e di cui il lettore è informato subito – è il punto di tensione di tutto il racconto. Ma l’aggettivo che accompagna il sottotitolo del libro («una storia operaia») non è accessorio, perché Amianto è la storia di un individuo che in ogni punto della sua vita è un operaio. Ciò significa, in primo luogo, che la voce narrante sceglie di dare e riesce a dare la parola al padre, che ha voce davvero: non è una figura usata per riflettere, dalla prospettiva esterna di chi narra, intorno a una generica condizione di alienazione, né è pretesto di costruzione di una situazione narrativa metaforica. Stavolta l’operaio c’è e vive davvero, e muore da operaio, con il suo linguaggio, con l’ordine delle parole che nomina l’ordine delle cose che danno sostanza alla sua esistenza. Riprendiamo un passaggio dal primo estratto pubblicato sull’«Ospite ingrato»:
Un lavoro pericoloso, saldare a pochi centimetri da una cisterna di petrolio. Una sola scintilla è in grado di innescare una bomba che può portarsi via una raffineria. Per questo ti dicono di utilizzare quel telone grigio sporco, che è resistente alle alte temperature perché prodotto con una sostanza leggera e indistruttibile: l’amianto. Con quello le scintille rimangono prigioniere e tu rimani prigioniero con loro e sotto il telone d’amianto respiri le sostanze liberate dalla fusione di un elettrodo. Una sola fibra d’amianto e tra vent’anni sei morto (p. 13).
Proprio perché non è un personaggio allegorico, né l’oggetto di uno sguardo estraneo, l’operaio Prunetti è una figura incarnata: da un lato nei disastri che un giorno dopo l’altro lo aggrediscono, scrivendo sul suo corpo la storia di una persona distrutta dalla fabbrica («1985, Renato ha quarant’anni, quanti ne ho io adesso. È ancora magro e muscoloso, apparentemente in ottima forma. Ma già ha bisogno di una serie di protesi per connettersi al mondo: occhiali, dentiera, apparecchio acustico»: p. 45); e dall’altro lato incarnata nel senso che è identificata pienamente nell’immaginario legato alla forma di vita operaia, che non è soltanto alienazione, tragedia, ma anche identificazione vitale in un mondo raccontato con partecipazione piuttosto che osservato:
E, purtroppo, amianto da respirare (pp. 37-38).