
Claud Cockburn1
Qui nescit dissumulare, nescit regnare
Louis XI le Prudent, re di Francia (1461-1483)2
Il che suggerisce la domanda contraria: come mai solo nel 2017 l’umanità attonita ha scoperto che in guerra e in politica si dicono bugie?
La figura della “spia sacrificata” era già delineata in L’arte della guerra attribuita al cinese Sun Tzu e redatta al più tardi nel IV secolo a.C. Nel capitolo 13 («Sull’uso degli agenti segreti»), Sun Tzu distingue cinque tipi di spie: indigene, infiltrate, agenti doppi, sacrificati e sopravvissuti. Gli agenti sacrificati «sono le nostre spie a cui diamo deliberatamente informazioni fabbricate di sana pianta». La frase è così commentata, più di mille anni dopo, da Tu Yu, morto nell’812 d.C.:
Quindi questo primo tipo di fake news, la menzogna di guerra, anzi la guerra come arte della menzogna, risale alla notte dei tempi: non per nulla i latini dicevano «timeo Danaos dona ferentes», pensando al cavallo in legno donato dagli achei ai troiani: questo inganno costituisce l’atto conclusivo della guerra che fonda la cultura occidentale.
Vi è un secondo tipo di fake news, di carattere più “sociale”, più da guerra civile che da guerra fra stati, e può essere catalogato sotto la voce «calunnia». Le calunnie e le denunce anonime non hanno aspettato i social media per provocare sciagure: dalla cassetta (“tamburo”) del duomo di Firenze in cui nel 1476 fu depositata la denuncia di sodomia contro Leonardo da Vinci, fino alle innumerevoli denunce anonime di stregoneria nella Germania e nella Scozia del ‘600, che portarono ad altrettanto innumerevoli roghi: come si vede, il tam-tam “virale” per cui Barack Obama non sarebbe stato cittadino americano (come ha varie volte insinuato sui mass nel media Donald Trump) e avrebbe studiato in una madrassa islamica, ha precedenti se non illustri, almeno antichi e più letali.
Ma è nel XVII secolo che si moltiplicano i trattati sull’arte del mentire, o del non dire: e si capisce, se a dire quel che uno pensava rischiava il rogo o la decapitazione. È in quel secolo che fu stabilita la definizione canonica: «si simula quel che non è, si dissimula quel che è» scrive l’italiano Torquato Accetto (ca. 1590- 1640) in Della onesta dissimulazione, pubblicato postumo.6 Definizione condivisa da Francis Bacon nel saggio Of simulation and dissimulation (1625): «Dissimulation, […] when a man lets fall Signes and Arguments, that he is not, that he is. And Simulation, […] when a Man industriously, and expressly, faigns and pretends to be, that he is not».
Saltiamo tre secoli e troviamo il grande storico francese Marc Bloch che nel 1921 si volge a guardare tutte le falsità che sono state usate durante la Prima guerra mondiale, finita solo tre anni prima: Réflexions d’un historien sur les fausses nouvelles de la guerre.7 Ricordiamo che con la Prima guerra mondiale si diffonde la radio e con essa la propaganda di massa. E nella neolingua Orwelliana di 1984, il ministero della propaganda è il Ministero della verità (Minitrue).
Perciò oggi non ci stupisce affatto un testo come questo:
Perciò non c’è dubbio: la scoperta improvvisa delle fake news non può essere stata che totalmente strumentale. Ma a che serviva? E perché proprio in quel momento? Perché mentitori incalliti s’indignano perché altri mentono? Vi è una sola spiegazione. Se per Max Weber lo stato è l’entità che detiene il monopolio della violenza legittima (monopoly on violence, or monopoly of the legitimate use of physical force), nel mondo moderno della comunicazione, in cui le tv contano più delle divisioni corazzate, lo stato, o più esattamente l’establishment, è colui che detiene il monopolio della menzogna legittima. L’unico ad avere il diritto di mentire e di imporre le proprie menzogne come verità. Si può quindi ipotizzare che l’indignazione quasi isterica contro le fake news sia stata causata dal timore dei gruppi dominanti di avere perso il monopolio della menzogna legittima.
Sono stati i social media a mettere in pericolo il monopolio. Ricordiamo che Facebook è nato nel 2004, QZone (Cina) nel 2005, Twitter e VKontakt (Russia) nel 2006, Instagram nel 2010. C’è voluto qualche anno perché la loro diffusione dispiegasse appieno la loro potenza nel riconfigurare il mercato della verità e della menzogna. Ed è stato nel 2015 con la Brexit e nel 2016 con l’elezione di Donald Trump negli Stati uniti che l’establishment si è sentito franare la terra sotto i piedi quando ha visto trionfare menzogne che non erano le proprie. La campagna contro le fake news si è perciò subito riconfigurata come una campagna per riprendere il controllo dei social media, per introdurvi una sorta di censura o di autocensura: per definizione la censura consiste nell’attribuirsi il diritto di decidere ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che può essere detto e ciò che è vietato dire, ciò che i cittadini possono conoscere e ciò che non devono sapere. Da come si sono comportati i social media durante le elezioni Usa di novembre, almeno in parte l’obiettivo di riprendere il controllo del flusso di notizie sembra essere stato raggiunto. La categoria di fake news può quindi andare in letargo, può essere riposta in magazzino, sempre pronta a essere tirata fuori in caso di necessità, quando un mentitore migliore del potere verrà a incrinare il potere dei mentitori.
1 Claud Cockburn (1904-1981), giornalista comunista e anticonformista, fu padre di una tribù di noti giornalisti britannici: Andrew e Patrick, e il caro, beffardo, compianto Alexander Cockburn (1941-2012), cofondatore del sito «Counterpunch», che mi riferì questo aforisma paterno.
2 «Chi non sa mentire, non sa governare», citato da Gabriel Naudé (1600-1653) in Considérations politiques sur les Coups d’État (1639).
3 Vd. Fake news. Written evidence submitted by K.P.E.Lasok QC, in «data.parliament.uk», february 2017.
4 Nelle varie traduzioni le spie «sacrificate», diventano «liquidabili» o «condannate», e simili. Uso la traduzione francese, perché il testo riporta i vari commenti successivi alle varie affermazioni apodittiche di Sun Tzu: L’art de la guerre, Paris, Flammarion, 1972. Il conclusivo capitolo XIII sulle spie va da p. 194 a p. 200, la citazione è a p. 196.
5 «Among the calamities of war, may be justly numbered the diminution of the love of truth, by the falsehoods which interest dictates, and credulity encourages», S. Johnson, The Idler, in «The Universal Chronicle», 11 novembre 1758.
6 T. Accetto, Della dissimulazione onesta [1641], Rizzoli, Milano, 2012, cap. VIII, p. 31.
7 M. Bloch, Réflexions d’un historien sur les fausses nouvelles de la guerre, Paris, Éditions Allia, 2012.
8 A. Koyré, Réflexions sur le mensonge, Paris, Éditions Allia, 1996, pp. 9-11. Il testo originario era apparso in «Renaissance», rivista trimestrale pubblicata dall’École libre des Hautes Études, 1, I, gennaio-marzo 1943.