Spigolature steinbeckiane*
Stefano Moscadelli

Il «decennio dal ’30 al ’40, che passerà nella storia della nostra cultura come quello delle traduzioni»1 – vero e proprio «spartiacque quantitativo e qualitativo della stagione di scoperta della letteratura americana in Italia»2 – ebbe, com’è noto, tra i suoi protagonisti John Steinbeck, il celebre scrittore californiano nato a Salinas nel 1902.3 I suoi romanzi di maggior successo, editi negli Stati Uniti nel corso degli anni Trenta, furono infatti presto tradotti in lingua italiana,4 ottenendo un buon successo di vendite nonostante gli ostacoli posti dal regime fascista alla circolazione di testi di autori americani,5 di cui il caso più eclatante fu il noto sequestro dell’antologia Americana curata per Bompiani da Elio Vittorini (1942).6 Al successo editoriale delle traduzioni delle opere di Steinbeck contribuì senz’altro la qualità dei traduttori:7 Cesare Pavese per Uomini e topi,8 lo stesso Vittorini per Pian della Tortilla9 e I pascoli del cielo,10 Eugenio Montale per La battaglia11 e Al Dio sconosciuto12 ed Eugenio Giovannetti per La lunga vallata,13 mentre il romanzo, celeberrimo, Furore fu tradotto dal meno noto Carlo Coardi.14 Al successo contribuirono, però, soprattutto lo stile asciutto di Steinbeck e la qualità delle storie, centrate su un’umanità anti-eroica, semplice e desiderosa di libertà, che rivelavano l’attenzione dell’autore «per i diseredati della vita collettiva» e «per gli aspetti più segretamente drammatici della società nord-americana».15 Si trattava di aspetti che non potevano non attrarre quella parte della gioventù italiana insofferente verso i modelli culturali del regime fascista, come ha ricordato Fernanda Pivano, per la quale Uomini e topi e Pian della Tortilla furono

come un modello di scrittura comprensibile alle masse e come una scelta di tematiche ispirate alla tragedia economica degli anni Trenta e alla sua umanità disperata. Proprio il contrario dell’umanità proposta dal trionfalismo fascista, con diffidenza di chi a quel trionfalismo non credeva. I due libri erano arrivati in un’Italia dominata dalla prosa d’arte di allora, totalmente ignara della narrativa proletaria, e avevano accostato alcuni di noi a quelle tematiche e soprattutto a quel linguaggio. Era prevedibile che venissero disprezzati dai nostri critici come “picareschi e folkloristici” e che le nostre autorità governative li permettessero perché davano dell’America un ritratto di devastazione utile per la loro propaganda […]. Gli scrittori americani del clima di Roosevelt costituivano dunque l’antitesi alla nostra autarchia culturale e alla nostra cultura ufficiale; a volte i nostri giovani cercavano ingenuamente in quegli scrittori gli aspetti di un’energia “primitiva” tale da evadere da una civiltà corrotta, tale da proporre un ritorno all’innocenza.16

Al riguardo è interessante notare come Cesare Pavese abbia sottolineato la rilevanza delle «voci straniere» che «sorressero» i giovani intellettuali italiani e il fatto che il fascismo non poteva «ammettere che noi cercassimo in America […] un calore umano che l’Italia ufficiale non ci dava. Meno ancora che cercassimo semplicemente noi stessi. Invece fu proprio così. Laggiù noi cercammo e trovammo noi stessi».17 Ed è altresì significativo che lo stesso Pavese, ripensando alla diffusione della letteratura americana in Italia a fine anni Trenta, abbia scritto: «Per molta gente l’incontro con Caldwell, Steinbeck, Saroyan, e perfino con il vecchio Lewis, aperse il primo spiraglio di libertà, il primo sospetto che non tutto nella cultura del mondo finisse coi fasci».18

Non sorprende quindi scoprire che in quel torno di tempo abbiano guardato a Steinbeck con interesse intellettuali antifascisti – del rilievo di Vittorio Foa,19 Massimo Mila20 e Filippo Valenti21 –, così come personalità attive nella resistenza in ambito “provinciale”22 o partigiani combattenti,23 e persino ufficiali internati nei lager tedeschi dopo l’8 settembre 1943.24

Di questo interesse verso Steinbeck è significativa una testimonianza di Franco Fortini risalente al dicembre 1943, scritta durante l’esilio in Svizzera, a commento della lettura della traduzione in francese Nuits sans lune,25 ove, accanto ad una presa di distanza da quel romanzo, si nota la contestuale attenzione rivolta ad un’altra opera steinbeckiana degli anni Trenta, La battaglia, evidentemente conosciuta nella ricordata traduzione montaliana del 1940:26

JOHN STEINBECK: Nuits sans lune – Die [sic, per: Der] Mond ging unter.

Estremamente propagandistico. Alcuni passaggi buoni, i più secchi. Il resto, molto corrente.

p. 169: “Tom s’essuie le front. – Si nous réussirons à passer, nous leur transmettons votre message, monsieur le maire: mais… c’est que soi entendu dire qu’il y avant, chez nous amis, des hommes au pouvoir qui craignent de confier des armes aux du peuple.

Orden le regarde longuement. – Oh! Je n’y avais pas pensé! Enfin, nous verrons bien. Si de tels hommes gouvernent encore leur pays,27 le monde est perdu de toute façon”.28

Il libro è propagandistico nel modo minore [sic]. Si spiega il successo solo mediante il momento politico. Per comprenderlo bisognerebbe avere sottocchio il milieu nord-americano nel quale è nato. C’è una eccessiva semplificazione delle faccende. Non c’è confronto con “La battaglia” anch’esso propagandistico ma forte di stile e ben altrimenti umano.

14 dicembre 1943

Aldilà della posizione di Fortini, The Moon is down / Nuit sans lune / Der Mond ging unter / La luna è tramontata può considerarsi un testo di particolare significato in quel drammatico contesto storico.29 «Dalla Norvegia alla Danimarca e dalla Svezia alla Francia», ha spiegato Luigi Sampietro, «in inglese o in traduzione, a stampa o in ciclostile, La luna è tramontata è stato il libro di propaganda di gran lunga più diffuso e influente nel corso della Seconda guerra mondiale […]. Travisato dai primi recensori americani come invito a un lassismo politico dettato dalla convinzione che le cose possano sempre alla fine aggiustarsi da sole, il messaggio del libro di Steinbeck è in realtà servito da guida e confronto a chi, prima nei territori occupati dalla Germania, e, in seguito, nel mondo intero, si è dato da fare per opporsi alla forza bruta in nome della libertà di coscienza».30

Il romanzo – ispirato dall’occupazione tedesca della Norvegia narra della conquista di una cittadina del nord Europa da parte di un esercito straniero invasore – consolidò infatti la figura di Steinbeck nell’ambito dei movimenti resistenziali europei,31 per i quali era stato concepito,32 e ciò avvenne anche in Italia. Si consideri infatti che, durante l’avanzata alleata nella penisola, esso fu diffuso in una prima traduzione dal titolo Notte senza luna grazie a un’apposita edizione londinese.33 E la nota di possesso sull’esemplare che personalmente conservo («Alberto Pozzetti / Roma – ott. 1944») – oltre a far ipotizzare che lo stesso sia venuto nelle mani del regista e sceneggiatore Alberto Pozzetti (1914-2002), allievo del Centro sperimentale di cinematografia – attesta quanto meno la sua circolazione già all’indomani della liberazione di Roma (4-5 giugno 1944). Inoltre, il significato resistenziale di quest’opera, anche nella sua riduzione teatrale,34 emerge dal fatto che il 25 aprile 1946 – prima ricorrenza della celebrazione della resistenza, a poche settimane dal voto referendario del 2 giugno – la RAI trasmise alla radio in prima serata, alle 21:15, un atto del dramma steinbeckiano interpretato addirittura da Ruggero Ruggeri.35 «Al termine della pièce, che si era già affermata come un classico del teatro alleato di propaganda, un testo ambizioso, per di più interpretato da una stella di prima grandezza», sarebbero andati in onda alle 21:45 il discorso commemorativo della liberazione e un’ora di «Canti della liberazione».36 Così Renzo Laguzzi presentava l’evento nel popolarissimo «Radiocorriere»:37

Da noi in Italia giunse prima il romanzo già celebre in tutto il mondo con lo stesso titolo del dramma, poiché il dramma […] fu portato alla ribalta soltanto recentemente da Ruggero Ruggeri. L’opera di Steinbeck fu una delle preferite dalla propaganda teatrale alleata presso le truppe combattenti […]. La commedia è in sostanza una cronaca di fatti che le nostre città hanno purtroppo quasi tutte tragicamente conosciuta […]. Una domanda viene spontanea allo spettatore: perché quel colonnello e quel tenente, se comprendevano la ferocia umana delle loro azioni e soprattutto la loro inutilità non si sono ribellati agli ordini dei capi ma hanno continuato a commettere inutili prepotenze e inutili stragi? Per noi la vera importanza del lavoro è data dall’interpretazione che ne ha fatta Ruggero Ruggeri che nel personaggio del sindaco Orden ci ha dimostrato come un grandissimo attore che appartiene al teatro del passato può interpretare i lavori degli autori modernissimi. Ruggeri nella sua parte ha la voce, lo stile, la dignità di quei vecchi campioni della libertà che tennero in vita questo ideale che sta riaccendendo le speranze e i fervori delle nuove generazioni. La sera del 25 aprile Ruggero Ruggeri interpreterà appunto alla radio un atto del dramma di Steinbeck. E Ruggeri alla radio è sempre il dono migliore per i radioascoltatori. Maggiormente gradito sarà poterlo ascoltare nella parte del sindaco Orden che è la sua più recente ed ammirata interpretazione.

Del resto il successo, in quella primavera 1946, del testo steinbeckiano si coglie anche in una lunga recensione che il critico teatrale fiorentino Celso Salvini38 dedicò, sulle pagine della prestigiosa rivista «Il dramma», alla rappresentazione di La luna è tramontata fatta al Teatro della Pergola il 2 marzo, sempre dalla compagnia di Ruggero Ruggeri, con la regia di Vito Pandolfi,39 personalità peraltro di spicco della resistenza romana:40

Il romanzo è tra i più noti e popolari apparsi in questi ultimi anni; famoso in America e in tutta Europa, The Moon is down fu talvolta destinato a seguire le truppe alleate avanzanti, e da queste distribuito alle popolazioni appena liberate. Ebbe, in certo modo, un compito di propaganda; e divenne un po’ il commento – e il canto – della resistenza partigiana. Forse per questo carattere propagandistico, qualcuno lo giudica inferiore in sede artistica alle altre opere dello Steinbeck; noi lo riteniamo fra le creazioni più equilibrate dello scrittore americano, perché la propaganda, se c’è, non vi appare fine a sé stessa, ma nasce dal contenuto, dal respiro – si vorrebbe dire – della vicenda […]. Vito Pandolfi, che aveva già messo in scena La luna è tramontata in un’altra edizione, a Roma,41 ci offrì una regia ricca di accorgimenti intelligenti, anche se sobriamente contenuta. Seppe dar valore ai personaggi e alle cose: il battere ritmico dell’antico orologio di casa Orden accompagnò l’azione, talvolta serrata e realistica, talvolta sentita come in clima di leggenda. E che adorabile sindaco fu Ruggero Ruggeri! Colla semplicità del suo gesto, con pacate tenui accentuazioni, egli dette alla figura di Orden un candore, e insieme una commozione intensa, profonda, inarrivabili. Un nuovo attore, Giovanni Hinrich,42 si mise simpaticamente in luce accanto a lui, nel disegno netto, rilevantissimo e non privo di chiaroscuri, del colonnello Lanser […]. Successo completo e calorosissimo. Una quindicina di chiamate agli attori e al regista.

Né è da trascurare il fatto che la sigla «r. s.» a indicare il celebre scrittore e critico teatrale Renato Simoni, già accademico d’Italia – dal 1914 firma autorevole del «Corriere della sera», epurato nell’aprile 1945 pur in assenza di un’effettiva connivenza col regime43 –, sia ricomparsa nel «Corriere d’informazione» il 4 aprile 1946 a identificare l’autore di una lunga e partecipata recensione a La luna è tramontata, così che, grazie all’analisi di un’opera che toccava questioni di stringente attualità, Simoni poté rivendicare il proprio ruolo al centro dell’influentissima cronaca teatrale milanese:44

Derivata dal notissimo romanzo di Steinbeck del quale ripete il titolo, la commedia di ieri sera rappresenta soprattutto l’oscuro crescente terrore che ossessiona gli invasori nel Paese ingiustamente invaso […]. Nei loro piani tutto è previsto; per ogni eventualità i capi della guerra hanno prescritto reazioni rigide e precise; l’occupazione e la dominazione sono movimenti e ritmi d’una macchina centrale impassibile e immutabile e, ove occorra, stritolatrice, costruita preventivamente per la vittoria ad ogni costo. Ma ben presto gli invasori sentono dilatarsi il gelo di una solitudine più paurosa dell’insurrezione […]. Poi cominciano le uccisioni episodiche provocate dalla dura prepotenza dei vincitori; e son seguite da fucilazioni che quei soldati stranieri credono esemplari e invece armano mani invisibili, moltiplicano gli attentati, le insidie, le imboscate, le trappole e i misteriosi omicidi. Questa è la parte più bella di La luna è tramontata: l’aura di tragedia che s’addensa intorno agli oppressori, che incrina e corrode la loro armatura ferrea, che denuda la loro sofferente umanità, dà ad essi la vertigine d’un abisso arcano […]. Il successo della Luna è tramontata è stato caldissimo. Continui applausi dopo ogni quadro, lunghi e prolungati e ripetuti. Dopo l’ultimo le chiamate raggiunsero la quindicina. Interpretazione eccellente. La regia di Vito Pandolfi viva, intensa, quasi sempre concisa, mirabilmente attenta a esprimere ogni intenzione dell’autore e tutto il valore artistico dell’opera; la recitazione degli attori assai buona sempre: particolarmente forte quella di Giovanni Hinrick […]. Ruggero Ruggeri compose intorno alla semplice umanità del sindaco Orden un sempre più puro alone di poesia. La potenza di questo nostro grande attore si manifesta con una limpidezza ogni giorno più profonda. La sua arte è in continua vittoriosa ricerca. Egli non si appaga mai di sé e della perfezione raggiunta. Esempio stupendo e non frequente nella storia del teatro.

Ma le voci di Laguzzi, Salvini e Simoni non furono le sole nel 1946 a recensire con parole di elogio la rappresentazione teatrale del testo steinbeckiano. Anche il critico e drammaturgo Giuseppe Lanza, questa volta nell’elegante rivista «L’illustrazione italiana», esaltò la qualità della interpretazione di Ruggeri e i meriti della regia di Pandolfi:45

Portare sul teatro episodi della recente guerra, e in modo da riassumervi validamente qualche suo aspetto essenziale, non è impresa da poco. L’importanza dell’evento, l’elementare evidenza della sua dialettica più scoperta e la facilità dell’ultimo giudizio implicito nella sua natura determinano insidie pericolose […]. Un dramma ispirato dalla guerra può correre insomma il pericolo di somigliare a un processo dove si oda soltanto la voce dell’accusato, e la difesa sia assente. Con ciò non si vuol dire che un approdo poetico sia a priori negato a consimili figurazioni. Ma per poter giungere onorevolmente a tale approdo occorre che il drammaturgo non si affidi del tutto alla suggestione dei fatti, che subordini i fatti all’essenza dei personaggi e li risolva in lievito di coscienza. In parole povere, occorre che i personaggi siano individualmente vivi e complessi, non generici portavoce di sentimenti e motivi appartenenti oramai a popoli interi. È appunto quello che ha fatto, in limiti modesti ma degni e legittimi, Steinbeck nel dramma La luna è tramontata, che Ruggero Ruggeri ha fatto applaudire con tanto calore all’Odeon […]. La regia di Vito Pandolfi fu davvero rivelatrice: diede vistosità a tutti gli effetti teatrali più esteriori, ma rese evidenti anche ogni più riposto motivo e le più segrete vibrazioni. Compito, del resto, agevole quando un regista può valersi di un attore come Ruggero Ruggeri. Che fu anche questa volta interprete di stupenda semplicità e vigoria […]. Ebbe un antagonista degno nell’interprete del colonnello Lanser, Giovanni Hinrich, attore di forte tempra e controllatissimo.

Per quanto gli scritti degli anni Trenta-Quaranta rappresentino l’apice della qualità letteraria di Steinbeck,46 la sua ampia produzione successiva, sulla quale la critica ha espresso valutazioni controverse,47 non è stata comunque del tutto minore né meno fortunata sul piano editoriale,48 accompagnandosi a una popolarità incrementata dalla trasposizione cinematografica di alcune opere – si pensi a The Grapes of Wrath/Furore, diretto da John Ford,49 che lanciò il giovane Henry Fonda, o a Viva Zapata!50 e ad East of Eden/La valle dell’Eden,51 entrambi diretti da Elia Kazan, rispettivamente con Marlon Brando e James Dean nel ruolo dei personaggi protagonisti52 – e dall’aver ispirato canzoni celebri come The Ballad of Tom Joad di Woody Guthrie53 o ancora, in tempi più recenti, The Ghost of Tom Joad54 di Bruce Springsteen, entrambe centrate sul protagonista di Furore. La grande popolarità e una valutazione nel complesso positiva da parte della critica hanno quindi contribuito a far ottenere allo scrittore californiano il Nobel per la letteratura, in una fase di diffuso apprezzamento verso la letteratura americana: nel giro di pochi anni il premio venne infatti assegnato a William Faulkner nel 1949, a Ernest Hemingway nel 1954 e appunto a John Steinbeck nel 1962.55

Anche in Italia il successo editoriale di Steinbeck nel dopoguerra è stato notevole,56 accompagnandosi a una grande popolarità. Nel 1952, 1954, 1957 e 1961 John Steinbeck e la terza moglie Elaine Anderson57 furono insieme nel nostro paese, soggiornando a Firenze, Roma, Napoli e Milano e ricevendo l’attenzione di rotocalchi e giornali,58 così come dei cinegiornali dell’Istituto Luce – che nel 1952 lo mostrano, quale «ospite d’eccezione», a Roma nel contesto di un reportage relativo all’assegnazione del premio Strega assieme al vincitore Alberto Moravia – e dei servizi fotografici dell’Agenzia Dial-Press ove Steinbeck compare, sempre a Roma, nel 1957 all’inaugurazione di una mostra di Toti Scialoja.59

In quel lasso di anni, tracce del passaggio in Italia di Steinbeck non mancano neppure negli archivi, che rivelano frequentazioni, iniziative e incontri. L’intreccio delle relazioni è, ad esempio, ben documentato per il viaggio italiano del 1957, quando Steinbeck, soggiornando nei mesi di aprile e maggio a Firenze, ricevette una lettera di saluto dal sindaco Giorgio La Pira,60 assisté in piazza del duomo allo scoppio del carro nel giorno di Pasqua61 e incontrò lo storico Armando Sapori, rettore a Milano dell’Università Bocconi, nel suo appartamento in Piazza S. Maria Novella.62 E di quel soggiorno è testimonianza interessante anche un piccolo nucleo di documenti conservati nell’archivio personale di Steinbeck, ora in California alla San Jose State University, che fanno tra l’altro riferimento a un cocktail organizzato il 17 aprile in onore dello scrittore – alloggiato presso la rinomata Pensione Beacci di Via Tornabuoni63 – dall’agenzia fiorentina dell’USIS («United States Information Service»),64 avente sede nella stessa celebre via.65 La lista degli invitati permette di comprendere i contatti che l’agenzia voleva garantire a Steinbeck in quella occasione e, al contempo, di valutare quale fosse il gotha intellettuale fiorentino cui l’agenzia stessa intendeva riservare la conoscenza diretta del noto scrittore. La lista preparata appositamente per Steinbeck contiene 17 nomi di invitati (in alcuni casi l’invito era esteso alla signora). A fianco di ogni invitato vennero specificate l’attività professionale, la conoscenza della lingua inglese e altre indicazioni ritenute utili.66

Cocktail April 17, 1957 at 7.00 p.m.
Dr. Ardengo Soffici – Famous writer and poet.
Prof. Salvatore Saladino – Professor of American History at the University of Naples. American citizen.
Prof. James Vitelli – Professor of English and American Literature at the University of Trieste. American citizen.
Prof. Mauro Calamandrei – Professor of American History at the University of Florence.
Prof. Giuliano Pellegrini – Professor of English Literature at the University of Pisa. Interested in American Literature. Speaks English.
Dr. Anna Banti (Longhi) – Writer. Director or review “Paragone.” President of Pen Club, Florence. Winner of Premium Viareggio (1952). Speaks English.
Prof. Roberto Longhi – Professor of Art History at the University of Florence. Art critic. Writer.
Dr. Giulio Caprin – Journalist and writer. President of Ass. Stampa Toscana 1955/56. Former director of the daily “La Nazione.” Speaks English.
Dr. Alessandro Bonsanti – Writer, director of Gabinetto Vieusseux and of the review “Letteratura.” Speaks English.
Prof. Sergio Baldi – Professor of English Literature at the University of Florence. Interested in English medieval literature.
Prof. Nemi D’Agostino – Professor of American Literature at the University of Florence. Conducts general survey in conjunction with Prof. Hayford’s seminar. Speaks English.
Prof. Harrison Hayford & Mrs. – Professor of American Literature at the University of Florence. American citizen.
Prof. Gianfranco Contini – Professor of “Filologia romanza” at the University of Florence. Literary critic. Speaks fluently English. One of the best philologists in the world.
Miss Naomi Huber – Cultural Affairs Officer at USIS, Florence.
John Stoddard & Mrs – Cultural Affairs Officer at USIS, Florence.
Dr. Bruno Cicognani – Writer, author of short stories, novels ant poetries. Winner of the prize of literature of the Italian Academy in 1941.
Prof. Ettore Allodoli – Professor of Italian Literature at the University of Florence, literary critic for “La Nazione.” Interested in English Literature. Speaks English.

Altri materiali di provenienza archivistica testimoniano gli incontri avuti da Steinbeck a Firenze in quella primavera 1957. Già ho ricordato il colloquio che lo scrittore ebbe a casa di Armando Sapori, ma vale la pena soffermarsi brevemente su un altro illustre “fiorentino d’adozione” cui Steinbeck non mancò di far visita: Bernard Berenson. Da un appunto vergato nella propria agendina dall’illustre storico dell’arte, ormai molto anziano – era nato in Lituania nel 1865 –, veniamo a sapere che i coniugi Steinbeck furono accolti a pranzo a Villa «I Tatti» il 6 maggio. E accanto al cognome dello scrittore Berenson significativamente annotava: «author of “Grapes of Wrath”».67 Il giorno seguente, per ringraziare dell’ospitalità ricevuta, Steinbeck inviava a Berenson un biglietto di saluto, ove esprimeva la propria gratitudine:68

May 7, 1957
Dear Berenson:
At lunch on yesterday you gave me food I had almost forgotten. A man perishes not by shocks and cuts but by erosion. In our time, perhaps in all times, the country phrase “nibbled to death by ducks” describes the process.
By some magical formula compounded of example and clear clean clinking plus the jeweler’s words, you made for me at one a medicine and a cloak of fine mail. One does not thank the doctor who saves one’s life, but it is natural to be grateful that he exists and practices. I take strength from you and take it gladly and perhaps may distribute the loaves and fishes thereof among the poor.
I hope we may see you again before our migration.
Your patient –
John Steinbeck

Note

*Viene qui riedito, con gli opportuni adattamenti e ampliamenti bibliografici, l’articolo già uscito in Ci vuole passione… Vita avventurosa e grandi imprese di mr. Guido gentiluomo, (pubblicazione fuori commercio in occasione del pensionamento del dott. Guido Badalamenti, Firenze-Siena, Firenze University Press-USiena Press, 2024), pp. 43-62. Per i consigli e la collaborazione ringrazio: Gianfranca Balestra; Peter Van Coutren, archivista del «Martha Heasley Cox Center for Steinbeck Studies» della San Jose State University, California; Ilaria Della Monica, archivista de «I Tatti», The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, Firenze; Elisabetta Nencini, archivista della Biblioteca d’Area umanistica dell’Università di Siena; e mia figlia Elena. La pubblicazione dei documenti d’archivio, finora inediti, è stata autorizzata dagli aventi diritto. I siti citati sono stati controllati l’8 settembre 2024.

1 C. Pavese, La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1951, p. 233, da un testo datato 5 febbraio 1946.

2 C. Scarpino, Dear Mr. Mondadori. La narrativa americana nel catalogo Mondadori, 1939-1968, Milano, Fondazione Mondadori, 2022, pp. 13-14. Per una ricognizione delle opere di autori americani uscite in Italia in traduzione fino al 1950 si veda D. Fernandez, Il mito dell’America negli intellettuali italiani dal 1930 al 1950, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1969, pp. 115-205.

3 J. Steinbeck, Sempre qualcosa da fare a Salinas [1955], in Id., L’America e gli americani e altri scritti, a cura di B. Osimo, Padova, Alet, 2008, pp. 25-35.

4 E. Vittorini, Il caso Steinbeck, in «Oggi», 1, n. 2, 10 giugno 1939, p. 10.

5 M. Nacci, L’antiamericanismo in Italia negli anni Trenta, Torino, Bollati Boringhieri, 1989; G. Bonsaver, Mussolini censore. Storie di letteratura, dissenso e ipocrisia, Roma-Bari, Laterza, 2013; G. Fabre, Il censore e l’editore. Mussolini, i libri, Mondadori, Milano, Fondazione Mondadori, 2018; C. Rundle, Il vizio dell’esterofilia. Editoria e traduzioni nell’Italia fascista [2010], Roma, Carocci, 2019.

6 Americana. Raccolta di narratori dalle origini ai nostri giorni, a cura di E. Vittorini, introduzione di E. Cecchi, Milano, Bompiani, 1942, su cui si vedano G. Nocera, Le complesse vicende editoriali di «Americana» di Elio Vittorini, in «Letture critiche», 10, 2009, pp. 51-90 e C. Pavese, L’avventura di «Americana». Elio Vittorini e la storia travagliata di una mitica antologia, Milano, Unicopli, 2018.

7 S. Bozzola, Note su Pavese e Vittorini traduttori di Steinbeck, e Id., Steinbeck, Rodocanachi, Montale. Tra traduzione e revisione, in «Studi novecenteschi», 18, 1991, n. 41, pp. 63-101 e n. 42, pp. 317-355; S. Guslandi, Portare Steinbeck agli italiani. La traduzione vittoriniana di The Pastures of Heaven, in «Tradurre. Pratiche, teorie, strumenti», 2012, n. 3; P. Del Zoppo, La letteratura tedesca tradotta in Italia tra il 1925 e il 1950, in «Studi germanici», 3-4, 2013, pp. 373-443: p. 383; M. Colella, Il lavoro e «La battaglia». Montale traduttore di Steinbeck, in Lavoro! Storia, organizzazione e narrazione del lavoro nel XX secolo, a cura di N. Di Nunzio e M. Troilo, Canterano (RM), Aracne, 2016, pp. 271-292; C. Scarpino, Dear Mr. Mondadori cit., p. 157.

8 Milano, Bompiani, 1938 [ed. orig. Of Mice and Men, New York, Covici-Friede, 1937].

9 Milano, Bompiani, 1939 [ed. orig. Tortilla Flat, New York, Covici-Friede, 1935].

10 Milano, Mondadori, 1940 [ed. orig. The pastures of heaven, New York, Brewer, Warren & Putnam, 1932].

11 Milano, Bompiani, 1940 [ed. orig. In Dubious Battle, New York, Covici-Friede, 1936].

12 Milano, Mondadori 1946 [ed. orig. To a God unknown, New York, Robert O. Ballou, 1933].

13 Milano-Roma, Jandi Sapi, 1944 [ed. orig. The Long Valley, New York, The Viking Press, 1938].

14 Milano, Bompiani, 1940 [ed. orig. The Grapes on Wrath, New York, The Viking Press, 1939]. Sui limiti di questa traduzione si veda A. Tagliavini, Il fantasma italiano di Tom Joad. Settant’anni e li dimostra tutti, in «Tradurre. Pratiche, teorie, strumenti», 2012, n. 2; per una nuova recente traduzione si veda J. Steinbeck, Furore, trad. di S.C. Perroni, introduzione di L. Sampietro, postfazione di M. Andreose, Milano, Bompiani, 2013, su cui L. Briasco, Gli amari frutti del «Furore», in «il manifesto», 17 novembre 2013, e C. Scarpino, «Furore» di Steinbeck: la perdurante fortuna del romanzo di un popolo in fuga, in «L’Indice dei libri del mese», 34, 2017, n. 11. Sull’opportunità di procedere a nuove traduzioni di tutte le opere di Steinbeck si veda D. Saini, Steinbeck e le riedizioni Bompiani, in «La Balena Bianca», 30 agosto 2012.

15 M. Materassi, [Premessa], in W. French, John Steinbeck [1961], Firenze, La Nuova Italia, 1972, pp. 1-3: p. 1.

16 F. Pivano, Steinbeck, ora l’America riabilita i suoi vinti, in «Corriere della sera», 24 febbraio 2002. Più in generale, Dominique Fernandez (Il mito dell’America cit., p. 65) sintetizza: «Mentre la letteratura, durante il fascismo, si rinchiude in una atmosfera accademica, il romanzo americano dà esempio di una fusione organica tra il mondo del lavoro e quello della cultura. L’eroe dei romanzi americani non è più l’uomo dei salotti, ma l’uomo della strada». E ancora, Nicola Carducci (Gli intellettuali e l’ideologia americana nell’Italia letteraria degli anni Trenta, Manduria, Lacaita, 1973, pp. 89 e 164-165): «L’escursione entusiastica del nuovo continente finisce per apparire – ed essere – una sfida alle gerarchie, rappresenta per la più giovane intellettualità insofferente un bastione di lotta culturale e ideale. Tramite la letteratura, in America si cerca e si trova ciò che manca in Italia […]. La letteratura transoceanica, nell’offrire lo stimolo autorevole a tentare in proprio un “colloquio” con gli strati sociali in disgregazione […] prestava anche un modello, del tutto carente in Europa, di rinnovamento di coscienza artistica e di impegno intellettuale».

17 C. Pavese, Ritorno all’uomo, in «L’Unità», edizione di Torino, 20 maggio 1945, testo richiamato di recente da M. Crosetti, Tutti i segreti di Pavese, in «la Repubblica», 30 agosto 2023, articolo dedicato alle carte di Cesare Pavese.

18 C. Pavese, Ieri e oggi, in «L’Unità», 3 agosto 1947, testo più volte citato dalla critica, ad esempio da N. Carducci, Gli intellettuali e l’ideologia americana cit., p. 90; P. Albonetti, Trafile di romanzi, in Non c’è tutto nei romanzi. Leggere romanzi stranieri in una casa editrice negli anni ’30, a cura di Id., Milano, Fondazione Mondadori, 1994, pp. 7-117: p. 40; A. Vittoria, Editoria e traduzione nella Milano degli anni Venti e Trenta, in Stranieri all’ombra del duce. Le traduzioni durante il fascismo, a cura di A. Ferrando, Milano, Angeli, 2019, pp. 13-26: p. 18; C. Scarpino, Dear Mr. Mondadori cit., p. 219. Sull’influenza degli scrittori americani degli anni Trenta nella coeva letteratura francese, ed anche sull’apprezzamento tra gli altri verso Steinbeck, si vedano ad esempio i contributi, ancora degli anni Quaranta, di J.-P. Sartre, American Novelists in French eyes, in «The Atlantic Montlhy», 178, n. 2, August 1946, pp. 114-118 e di H. Peyre, American literature through French eyes, in «The Virginia Quarterly Review», 23, 1947, n. 3, pp. 421-438.

19 V. Foa, Lettere della giovinezza. Dal carcere, 1935-1943, a cura di F. Montevecchi, Torino, Einaudi, 1998, pp. 825-826, 936-938 e 954-955, Foa ai genitori, 19 maggio 1940, 3 giugno e 11 agosto 1941, con richiami peraltro critici sia nei confronti di Furore – «L’ultimo romanzo notevole che ho letto è stato Furore di Steinbeck che ha avuto l’anno scorso in America un successo iperbolico, ciò che non mi stupisce data la mediocrità e banalità dell’opera […]. Il socialismo di Steinbeck, nonostante la sua tronfia truculenza, mi ricorda il superficiale socialismo di De Amicis» – che de La battaglia: «L’ultimo romanzo americano che ho letto, e finito ieri sera, è La battaglia di Steinbeck. Non ve lo consiglio». Da parte di Foa, Steinbeck era anche oggetto di confronto in considerazioni letterarie di carattere generale: «Ho letto io pure ed ho sentito dire cose entusiastiche sul libro Paesi tuoi di Pavese. Forse lo leggerò. Leggetelo. Pare che non sia semplicemente un’imitazione di certe mode letterarie americane, ma un’opera originale e profonda sulla vita piemontese, anche se improntata a quei modi espressivi spicci e vigorosi a cui ci hanno ormai abituati Dos Passos e Steinbeck».

20 M. Mila, Argomenti strettamente famigliari. Lettere dal carcere, 1935-1940, a cura di P. Soddu, introduzione di C. Pavone, Torino, Einaudi, 1999, pp. 747-749 e 749-752, Mila alla madre, 14 e 21 gennaio 1940, con citazione di Uomini e topi (segnalatogli da Vittorio Foa: «mi pare che possa essere davvero un bellissimo romanzo») e di Furore («Hai visto che è uscito Furore di Steinbeck? 550 pagine, 18 £»).

21 F. Valenti, Lettera indirizzata a Claudio Pavone, con cenni autobiografici (24 febbraio 1994), in Filippo Valenti. Un intellettuale in archivio: le parole, le carte, i libri, a cura di A. Mulè, A. Spaggiari e G. Zacchè, inventario a cura di E. Manenti, con la collaborazione di S. Alongi e S. Olivieri, Roma, Ministero della Cultura-Direzione Generale Archivi, 2022, pp. 115-118: p. 116. «Personalmente mi unii […] al gruppo comandato dal […] cattosocialista [Ermanno] Gorrieri. Se leggerai (posto che non le abbia già lette) le pp. 70-71 del suo La Repubblica di Montefiorino, ti renderai conto di come e quanto il suddetto “foglio” fosse ispirato […], come del resto poco appresso certe posizioni di Vittorini, dalla lettura soprattutto di certa narrativa americana sul tipo di quella di uno Steinbeck e di un Saroyan, nonché dalla apologia del man of the street di Dewey».

22 G. Bettalli, La letteratura americana contemporanea, in «Il Campo» – periodico senese d’area azionista –, 30 maggio, 6 e 13 giugno 1945; Id., recensione a J. Steinbeck, La lunga vallata, ivi, 11 luglio 1945. Più in generale si veda anche Id., Le traduzioni degli ultimi venti anni, in «Belfagor», 1, 1946, n. 2, pp. 169-179.

23 N. Augeri, Trasportare una radio, in ANPI 25 aprile Milano, a cura della sezione «25 aprile» di Milano Città Studi, 2020; G. Carrara, Savona. Dall’antifascismo alla nascita della Resistenza, 2020.

24 G. Prunai, La sboba. Diario dell’internato militare n. 30067 dall’8 settembre 1943 al 5 settembre 1945, 3 voll., Firenze, Polistampa, 2020, I, p. 210 e III, p. 657, con richiami alla lettura di Furore (lager di Deblin) e I pascoli del cielo (lager di Wietzendorf).

25 J. Steinbeck, Nuits sans lune, version française de Mathilde Marvède-Fischer, Lausanne, Marguerat, 1943 [ed. orig. The Moon is down, New York-London, The Viking Press-Heinemann, 1942], sulla quale si veda J.-M. Gouanvic, John Steinbeck et la censure: le cas de «The Moon is Down» traduit en français pendant la Seconde Guerre mondiale, in «TTR. Traduction, terminologie, rédaction», 15, n. 2, II sem. 2002, pp. 191-202. Altre traduzioni coeve: J. Steinbeck, Der Mond ging unter, Übersetzung von Anna Katharina Rehmann-Salten, Zürich, Humanitas Verlag, 1943; Id., La luna è tramontata, trad. di L. Peverelli, Roma, Editoriale Romana, 1944. Si veda anche Id., Notte senza luna, Londra, Heinemann & Zsolnay, 1944 e Id., La luna è tramontata, trad. di G. Monicelli, a cura di L. Sampietro, Firenze-Milano, Giunti-Bompiani, 2017.

26 Università degli studi di Siena, Biblioteca d’Area umanistica, Archivio Franco Fortini 17, n. 12: «Prosa e appunti». Il riferimento, contenuto nella nota di Fortini, sia al titolo francese che a quello tedesco fa pensare che egli possa avere avuto sottomano le due traduzioni, edite entrambe per la prima volta in Svizzera (Losanna e Zurigo) proprio nel 1943. Dal testo appare comunque evidente che Fortini lesse la traduzione francese.

27 Con riferimento alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti d’America.

28 Il passo si inserisce in un colloquio in cui viene sottolineata la necessità del sostegno anglo-americano nell’armare la resistenza contro l’esercito di occupazione. Per la traduzione italiana cfr. l’edizione Giunti-Bompiani, citata alla nota 25, pp. 111-112.

29 D.V. Coers, John Steinbeck as propagandist. «The Moon is down» goes to war, Tuscaloosa, University Alabama Press, 1991. Steinbeck «gave immense aid and comfort to his readers in the occupied or fearful countries of Europe, where men and women risked imprisonment and death to secretly print, distribute, read and even perform The Moon is down» (D.R. Noble, [Recensione] a D.V. Coers, John Steinbeck cit. e a T. Hayashi, Steinbeck’s World War II fiction, «The Moon is down». Three explications, Muncie (IN), Ball State University-Steinbeck Research Institute, 1986, in «South Atlantic Review», 61, 1996, n. 1, pp. 152-156: p. 154).

30 L. Sampietro, Presentazione, in J. Steinbeck, La luna è tramontata [edizione Giunti-Bompiani, 2017] cit., pp. 5-11: pp. 8-10. Sulla fortuna editoriale dell’opera, che in Italia contò anche numerose traduzioni pirata, si vedano A. Amelio, Bibliographia Dystopia. 1: John Steinbeck’s «The Moon is down», Atlanta, Primedia, 2020 e C. Scarpino, Dear Mr. Mondadori cit., pp. 159-160.

31 «It is true that the Germans tried to use the “pessimistic” works of your [Americans] authors for propaganda purposes – particularly Steinbeck, because Steinbeck was the most severe critic of the capitalistic form of production in the United States. […] But at the same time, the clandestine Editions de Minuit […] began to circulate The Moon is down by the same Steinbeck, which seemed to us all like a message from fighting America to the European underground. Thus the most rebellious, perhaps, of your writers held the ambiguous position of being acclaimed at the same time by the collaborationists and by the underground» (J.-P. Sartre, American novelists in French eyes cit.). Sull’influenza di La luna è tramontata e, più ampiamente di Steinbeck, su Beppe Fenoglio e in particolare su I ventitré giorni di Alba (Torino, Einaudi, 1952), si vedano tra gli altri i riferimenti in V. Pesce, Beppe Fenoglio e la vera patria del partigiano, in La Letteratura degli Italiani. Rotte Confini Paesaggi, a cura A. Beniscelli, Q. Marini e L. Surdich, Genova, Università degli studi di Genova, 2012; I. Duretto, «La paga del sabato» e Steinbeck, in «Italianistica», 42, 2013, n. 1, pp. 141-143; V. Pesce, «Nel ghiaccio e nella tenebra». Paesaggio, corpo e identità nella narrativa di Beppe Fenoglio, Ravenna, Pozzi, 2015. Ricordo che lo stesso Steinbeck fu testimone della guerra in Italia come corrispondente del «New York Herald Tribune» dal settembre al dicembre 1943 (J. Steinbeck, C’era una volta una guerra. Cronache della seconda guerra mondiale, trad. di S.C. Perroni, Milano, Bompiani [ed. orig. Once there was a war, New York, Viking Press, 1958], pp. 181-287).

32 Sulla genesi dell’opera commissionata a Steinbeck dall’agenzia di propaganda «Foreign Information Service» si veda J.S. Benson, The true adventures of John Steinbeck writer. A Biograpy, London, Heinemann, 1984, pp. 486-492.

33 Si veda sopra la nota 25 e A. Faeti, << href=”https://www.youtube.com/watch?v=PLb5hV4z3vI” target=”_blank”>John Steinbeck 1902-1968. «I pascoli del cielo» 1932, in Fondazione Cassa di risparmio di Bologna-Genus Bononiae Musei della Città, XII Corso di Pedagogia della Lettura, anno scolastico 2018-2019.

34 La prima rappresentazione teatrale dell’opera, prodotta da Oscar Serlin e adattata dallo stesso Steinbeck, regia di Chester Erskine, avvenne il 7 aprile 1942 – a soli 4 mesi dall’attacco giapponese a Pearl Harbor – al Martin Beck Theatre di Broadway dove fu messa in scena fino al 6 giugno seguente, per un totale di ben 71 performances in appena due mesi (Internet Broadway Database, The Moon in down). Ancora a guerra in corso fu approntata negli Stati Uniti anche una versione cinematografica, regia di Irving Pichel (The Moon is down, 20th Century-Fox 1943). La “prima” londinese, alla presenza del re di Norvegia in esilio, fu eseguita al Whitehall Theatre l’8 giugno 1943 dalla compagnia di Bernard Delfont (J.P. Wearing, The London Stage 1940-1949. A calendar of productions, performers and personnel. Second Edition, New York-Toronto-Plymouth UK, Rowman & Littlefield, 2014, p. 114); risale ancora al 1943 la messa in scena in Svizzera, dove si conoscono «due recite semiclandestine a Basilea» e ben «settanta repliche» a Zurigo (L. Mazzucchetti, Teatro europeo a Zurigo, in «L’illustrazione italiana», n.s., 37, 15 settembre 1946, pp. 162-163), mentre è del 1944 la traduzione dell’opera in rumeno, dal testo francese, e il suo adattamento teatrale in Romania (D. Iosif, John Steinbeck’s «The Moon is down» in Romania. Translation, theatrical adaptation and propaganda, in «The Annals of “Valahia” University of Târgovişte. Letters section», 10, 2012, n. 2, pp. 37-42). La riduzione teatrale dell’opera di Steinbeck è attestata inoltre all’indomani della fine della guerra anche in Olanda (B. Hunningher, Ribalta olandese, in «Il dramma», 23, n. 45, 15 settembre 1947, pp. 55-56). Sulla pièce steinbeckiana – oltre allo specifico studio di T. Hayashi, Steinbeck’s World War II fiction cit. – si vedano W. French, The Moon is down: John Steinbeck’s Times, in «Steinbeck Quarterly», 11, 1978, n. 3-4, pp. 77-87; R. Simmonds, Steinbeck and World War II: The Moon goes down, ivi, 17, 1984, n. 1-2, pp. 14-34; J. Ditsky, Steinbeck’s ‘European’ Play-Novella: The Moon is down, ivi, 20, 1987, n. 1-2, pp. 9-18.

35 Su Ruggeri (1871-1953) si veda la voce redatta da A. Camaldo, nel Dizionario biografico degli italiani, 89, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2017, disponibile on line.

36 G. Isola, La celebrazione della Resistenza. Cinquant’anni di storia della Rai, in «Italia contemporanea», 214, marzo 1999, pp. 87-104: p. 92.

37 R.L. [Renzo Laguzzi], La luna è tramontata di Steinbeck, in «Radiocorriere», 23, n. 16, 21-27 aprile 1946, p. 5. Di Laguzzi è nota la militanza partigiana nell’ambito dell’area giellista torinese (M. Giua, Ricordi di un ex-detenuto politico, 1935-1945, Torino, Cantone, 1945, p. 169), nonché la giovanile comunione di studi e l’amicizia con Norberto Bobbio (N. Bobbio, Lettera introduttiva, in R. Laguzzi, Errori di «giovinezza». Memorie degli anni ’30 e ’40 a Torino, Torino, Fògola, 1993, pp. 7-8).

38 Celso Salvini (1889-1947) – su cui si veda la voce dedicatagli in https://siusa-archivi.cultura.gov.it/ – appartenne a una celebre famiglia di attori e artisti, tra i quali spiccano il nonno Tommaso (attore, 1829-1915, cui Celso dedicò un’ampia biografia), il padre Mario (scultore, 1863-1940), il fratello Guido (regista e scenografo, legato a Pirandello, 1893-1965), lo zio Gustavo (attore, 1859-1930) e il cugino Alessandro (attore, 1890-1955).

39 Per un “ritratto” di Ruggeri scritto dallo stesso Pandolfi (1917-1974) – sul quale si veda la voce redatta da A. Guizzi nel Dizionario biografico degli italiani, 80, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2014, disponibile on line – proprio nel periodo della collaborazione a La luna è tramontata si veda V. Pandolfi, Volto del grande attore. Ruggero Ruggeri, in «Il dramma» 22, n. 10, 1° aprile 1946, pp. 40-41, articolo corredato da fotografie di scene della rappresentazione.

40 C. Salvini, La luna è tramontata, dramma di John Steinbeck (Compagnia di Ruggero Ruggeri al Teatro della Pergola di Firenze, il 2 marzo 1946), in «Il dramma», 22, n. 9, 15 marzo 1956, p. 53. Così lo stesso Pandolfi (Perché Steinbeck ha dato «La luna è tramontata». La luna è tramontata dramma in due parti e sei quadri di John Steinbeck, versione italiana di Pilade e Paolina Vecchietti, in «Il dramma», 22, n. 18, 1° agosto 1946, pp. 10-39: p. 10) si espresse a commento dell’edizione dell’adattamento teatrale del testo di Steinbeck: «Quest’opera, sia pure nei limiti che tutti le riconosciamo, resta in ogni caso un raro esempio di moralità […]. Questo lavoro dà e non toglie ai maggiori risultati artistici di Steinbeck, alla sua impetuosa battaglia, al suo caldo lirismo. È stato un libero e generoso dovere del ’40-41: quando ancora non era possibile fare molto di più. Il dovere di un uomo: di ogni uomo».

41 La prima rappresentazione romana, sempre con la regia di Vito Pandolfi, avvenne al Teatro Quirino il 15 febbraio 1945 da parte dalla compagna di Ruggero Ruggeri, nella quale recitavano attori/attrici di fama come Wanda Capodaglio, Luigi Almirante e una giovane Anna Proclemer; si veda A. Guizzi, Pandolfi, Guido cit.

42 La presenza di «Giovanni» (Hans) Hinrich (1903-1974) non è da trascurare nel contesto della compagnia di Ruggeri e dell’opera rappresentata. Attore e regista ebreo tedesco rifugiatosi nel 1938 in Italia, trovò protezione a Cinecittà riuscendo a lavorare per alcuni anni pur non comparendo quasi mai ufficialmente nei titoli dei film (R. Martelli, Hinrich, Hans, in Enciclopedia del cinema, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2003, disponibile on line). In calce all’articolo Celso Salvini scrisse: «Giovanni Hinrich: è un attore tedesco, berlinese, di notevoli attitudini. Scappato dalla Germania a suo tempo, perché antinazista, ha già recitato in Italia – in una edizione romana di Il grande viaggio di Sherriff – e si è ripresentato per la seconda volta sulla scena in questa nuova edizione di La luna è tramontata. Ha oltre quaranta anni, è già abbstanza padrone della nostra lingua, salvo certe accentuazioni – si capisce –, e spera di poter ottenere la cittadinanza italiana». A ciò faceva seguito una nota redazionale: «Auguriamo all’Hinrich di poter diventare “cittadino italiano” e attore italiano, se egli, non da ora, ha avuto fiducia nell’avvenire di libertà del nostro Paese. Noi lo consideriamo un compagno già da oggi». Hinrich avrebbe ottenuto la cittadinanza italiana nel 1947.

43 Su Renato Simoni (1875-1952) si veda la voce redatta da P. Puppa nel Dizionario biografico degli italiani, 92, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2028, disponibile on line.

44 r.s. [Renato Simoni], Odeon. La luna è tramontata. 6 quadri in due parti di J. Steinbeck, in «Corriere d’informazione», 4 aprile 1946. Il ritorno alla scrittura giornalistica da parte di Simoni, con la recensione a La luna è tramontata di Steinbeck, venne salutato con toni entusiastici da Lucio Ridenti (Ritorno di Renato Simoni. L’altro volto della sua missione teatrale, in «Il dramma», 22, n. 11, 15 aprile 1946, pp. 39-40): «Con vivissima emozione, trasformatasi in vera gioia, abbiamo ritrovato, la mattina del quattro aprile, la sigla “r. s.” alla critica del “Corriere d’informazione” per La luna è tramontata di J. Steinbeck. Critica smagliante, chiara e semplice, costruttiva, profonda, cesellata, come sempre. Esempio luminoso di onestà artistica, di probità professionale […]. La nostra gioia […] non è soltanto per l’amico, per la vera giustizia operata alla persona, ma per aver restituito all’attività del teatro italiano il maggiore fra tutti i suoi critici, il primo fra tutti i registi».

45 G. Lanza, La luna è tramontata. I giorni della vita, in «L’illustrazione italiana», n.s., 15, 14 aprile 1946, p. 244, con fotografia di scena in cui compaiono Ruggero Ruggeri e Giovanni Hinrich. È interessante notare – a testimonianza dell’attenzione in quel frangente rivolta dalle compagnie teatrali e dalla critica alla drammaturgia americana – che l’articolo recensiva anche una rappresentazione della celebre opera I giorni della vita di William Saroyan (Premio Pulitzer 1940), tenuta negli stessi giorni al Teatro Olimpia di Milano dalla compagnia «Spettacoli F», di cui facevano parte fra gli altri Vittorio De Sica, Nino Besozzi, Vittorio Caprioli e Vivi Gioi, regia di Adolfo Celi. Su Lanza (1900-1988) si veda la voce a lui dedicata nel Dizionario della letteratura italiana contemporanea, a cura di E. Ronconi, Firenze, Vallecchi, 1973.

46 John Steinbeck. The years of greatness, 1936-1939, ed. by T. Hayashi, introduction by John H. Timmerman. Tuscaloosa, University of Alabama Press, 1993.

47 W. French, John Steinbeck cit.; P. Lisca, Steinbeck’s image of man and his decline as a writer, in «Modern Fiction Studies» 11, 1965, n. 1, John Steinbeck Special Number, pp. 3-10; Benson, The true adventures of John Steinbeck writer cit.; Id., Looking for Steinbeck’s ghost, Norman, University of Oklahoma Press, 1988; C. Scarpino, Dear Mr. Mondadori cit., pp. 149-175.

48 Nel 2002 la casa editrice Penguin ha comunicato che si vendevano ogni anno nel mondo più di 2 milioni di copie delle opere di Steinbeck e che continuavano a prodursi adattamenti teatrali tratti dalle stesse; si veda J. Schultz, L. Li, Critical companion to John Steinbeck. A literary reference to his life and work, New York, Facts on File, 2005, p. VII, ove si ricorda che «several generations of young readers in the United States have grown up reading such books as Of Mice and Men, The Pearl, The Red Pony and The Grapes of Wrath, and readers from Cairo to Beijing, from Tokyo to Stockholm continue to read Steinbeck’s books, which have been translated into dozens of languages». Si vedano anche K.H. Holmes, John Steinbeck in translation: sources of bibliograph information about foreign editions, in «Steinbeck Studies», 15, 2004, n. 1, pp. 22-40: pp. 23-24 e C. Scarpino, Dear Mr. Mondadori cit., pp. 149-150, che riferiscono come nel 1974 fossero 57 le lingue in cui risultava tradotta almeno un’opera di Steinbeck, alle quali se ne sono aggiunte altre nei decenni seguenti, ad esempio la lingua giapponese nella quale sono state edite tra il 1996 e il 2001 tutte le opere steinbeckiane. In Italia, l’opera omnia di Steinbeck è attualmente oggetto di pubblicazione da parte della casa editrice Giunti-Bompiani, a cura di Luigi Sampietro.

49 Il film (20th Century Fox 1940), che uscì in Italia nel 1952, ebbe nel 1941 sette candidature agli Oscar, ottenendo il premio per il miglior regista (John Ford) e la migliore attrice non protagonista (Jane Darwell). Su come The Grapes of Wrath di Steinbeck, ispirando John Ford e Woody Guthrie, rappresenti «[a] literary portrait that defined an era», si vedano K. Windschuttle, Steinbeck’s Myth of the Okies, in «The New Criterion», 20, 2002, pp. 24-32 e G. Sealey-Morris, Dust Bowl Iconography: Populist Translations of The Grapes of Wrath, in «The Journal of Popular Culture», 48, 2015, n. 1, pp. 198-208: p. 198. Per l’apprezzamento del film in Italia nel contesto culturale comunista si vedano U. Casiraghi, «Furore». Lo vedremo o non lo vedremo?, in «Il calendario del popolo», 7, n. 81, giugno 1951, p. 873 e Id., «Furore». Il film che ci rivela l’America, ivi, 8, n. 94, luglio 1952, p. 1185, poi in Id., Il cinema del Calendario del popolo, a cura di L. Pellizzari, Roma-Gorizia, Teti-Associazione palazzo del cinema Hiša Film, 2017, pp. 141-142 e 169-171.

50 Il film (20th Century Fox 1952) ebbe cinque candidature ai premi Oscar 1953, fra i quali allo stesso Steinbeck per la migliore sceneggiatura originale, ottenendo il premio per il miglior attore non protagonista (Anthony Quinn).

51 Il film (Warner Bros. Pictures 1955) ebbe quattro candidature ai premi Oscar 1956, ottenendo il premio per la migliore attrice non protagonista (Jo Van Fleet).

52 Sia Marlon Brando che James Dean ebbero la nomination agli Oscar.

53 Dopo l’uscita su disco a «78 giri» (Victor Records 1940), il brano confluì nell’album di Guthrie, Dust Bowl Ballads (Folkways 1964), considerato una pietra miliare della folk music. Per l’ammirazione dello scrittore verso il grande folk singer, si vedano J. Steinbeck, Woody Guthrie [1967], in Id., L’America e gli americani cit., pp. 167-169; E.S. Apthorp, Steinbeck, Guthrie and popular culture, in «San Jose Studies», 16, 1990, n. 1, pp. 19-39; H.R. Stoneback, Rough People … Are the best singers: Woody Guthrie, John Steinbeck and folksong, in In The Steinbeck Question. New Essays in Criticism, ed. by D.R. Noble, Troy (NY), The Whitston Publishing Company, 1993, pp. 143-170; Z. Trodd, Star Signal: John Steinbeck in the American protest literature tradition, in «Steinbeck Review», 5, 2008, n. 2, pp. 11-37.

54 La canzone dà il titolo all’omonimo album (CBS Records 1995), che ha procurato a Springsteen 8 dischi d’oro e 3 di platino.

55 J. Steinbeck, Discorso di accettazione del Premio Nobel [1963], in Id., L’America e gli americani cit., pp. 129-131. L’assegnazione del Nobel a scrittori statunitensi non fu comunque una novità del secondo dopoguerra. Il prestigioso riconoscimento era già stato infatti attribuito a Sinclair Lewis (1930), Eugene O’Neill (1936) e Pearl S. Buck (1938). La coincidenza del conseguimento del premio Nobel da parte di Faulkner, Hemingway e Steinbeck col loro successo editoriale negli anni Cinquanta-Sessanta in Italia – «pedina strategica delle politiche del patto atlantico» e, per questi scrittori, «scenario editoriale importante non solo in termini di profitti ma anche di prestigio» – è sottolineata in C. Scarpino, Dear Mr. Mondadori cit., p. 8.

56 In seguito, il giudizio su Steinbeck è stato altalenante, tanto che, dopo un certo “raffreddamento” (T. Guerrini, Vicolo Cannery di Steinbeck, in «Avanti!», 24 ottobre 1946; E. Vittorini, Steinbeck, in «La Stampa», 6 febbraio 1951; V. Riva, Re Pipino IV di Steinbeck, in «Avanti!», 13 giugno 1957; B. Tedeschini Lalli, Steinbeck, John Ernst, in Enciclopedia italiana, appendice, IV, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1981, disponibile on line), solo di recente lo scrittore californiano ha avuto una rinnovata e favorevole attenzione, come si può cogliere da alcuni interventi di taglio giornalistico o divulgativo di Claudio Giunta (Nomadi degli Stati Uniti sud occidentali, 2015, poi I nomadi di Steinbeck, in «Le parole e le cose2», 11 agosto 2016), Alessandro Baricco (Steinbeck. Furore, Rai 3, regia di F. Calvi, 2 ottobre 2017), Cinzia Scarpino («Furore» di Steinbeck cit.), Marco Cicala (Dalla Bibbia secondo Steinbeck, in «la Repubblica. Il Venerdì», 15 novembre 2018), Lorenzo Mazzoni (John Steinbeck, a 50 anni dalla morte la sua attualità è spiazzante, in «Il Fatto quotidiano», 20 dicembre 2018), Antonio Faeti (John Steinbeck 1902-1968 cit.) e Filippo La Porta (Steinbeck e Silone, i punti in comune di due cantori [di] diseredati, in «Il Riformista», 9 gennaio 2020). Giudizi favorevoli verso Steinbeck si ritrovano inoltre nei recenti contributi, editi in contesti scientifici, di Massimo Colella (Il lavoro e «La battaglia» cit.) e Paola Chiarella (Inglorious Thirties. La lotta tra capitale e lavoro nelle pagine di John Steinbeck e Oliver Wendell Holmes, in «Sociologia del diritto», 46, 2019, n. 1, pp. 143-164), nonché soprattutto, in ambito statunitense, di John Ditsky (John Steinbeck and the critics, Rochester, Camden House, 2000, su cui v. la recensione di R.E. Morsberger, in «Steinbeck Studies», 15, n. 1, Spring 2004, pp. 107-109); su Ditsky, considerato in assoluto tra i maggiori studiosi di Steinbeck, v. T. Hayashi, In memory of Dr. John M. Ditsky (1938-2006). Scholar, Editor, Educator, Poet, Music Critic, Humanist and Humorist, in «The Steinbeck Review», 3, n. 2, Fall 2006, pp. 13-15.

57 «Elaine Steinbeck was a woman of immense passion, someone who loved life and, in particular, her own life. She never ceased to talk of John, to relate anecdotes, to thrive on discussing his work» (J. Parini, R.J. DeMott, Susan Shillinglaw, Elaine Steinbeck, 1914-2003, in «Steinbeck Studies», 15, 2004, n. 1, pp. 176-182: p. 178). A Elaine Steinbeck e Robert Wallsten si deve la curatela dell’importante volume Steinbeck. A life in letters, New York, Penguin Books, 1976.

58 C. Scarpino, Dear Mr. Mondadori cit., pp. 152-153 e 162-175.

59 Cinecittà Spa, Roma, Archivio Istituto Luce, Cinegiornali, «Mondo libero» M041, filmato ML004004: «Moravia vince il premio Strega», 4 luglio 1952; Fondo Dial, codici D521-11/23, DAD167-69/70: «John Steinbeck ad una mostra di quadri di Toti Scialoja», 1957. Ringrazio Davide Lacagnina e Luca Quattrocchi per la datazione della mostra.

60 San Jose State University, California, Martha Heasley Cox Center For Steinbeck Studies, John and Elaine Steinbeck Papers, Box 3, Folder 2: «Travels, Europe, Italy», 1957, c. 1, lettera del 12 aprile 1957; Fondazione Giorgio La Pira, Firenze, Archivio Giorgio La Pira, Sezione 1, Epistolario, Serie «Popoli, nazioni» 15, USA «Miscellanea», Corrispondenza varia, da La Pira Giorgio (Firenze) a Steinbeck John (Firenze), sez. 1, b. 15, fasc. 14, ins. 3, doc. 6. Il giorno seguente la presenza di Steinbeck a Firenze venne segnalata dal quotidiano «La Nazione», in terza pagina, con un articolo di Vittorio Brunelli (B.V., Steinbeck uomo del presente, in «La Nazione italiana», 13 aprile 1957).

61 J. Steinbeck, Florence’s ‘Explosion of The Chariot’ at Easter is stepped in legend, in «The Courier-Journal», 5 maggio 1957.

62 Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena, Archivio Armando Sapori 30, fasc. 35: «Steinbeck, John», cc. 2, lettera del 16 maggio 1957, testo dattiloscritto sul recto, firma manoscritta, carta intestata: «John Steinbeck». Sui motivi dell’incontro si veda S. Moscadelli, Una lettera di John Steinbeck ad Armando Sapori, in Archivi e archivistica. Atti del convegno di studi in onore di Laura Giambastiani, Firenze, 5-7 giugno 2023, a cura di Annantonia Martorano, Lucca, Civita, in preparazione.

63 Agli ultimi piani del prestigioso palazzo Minerbetti, la Pensione Beacci (oggi «Hotel Tornabuoni Beacci») era di proprietà di Liana Beacci (1917-2000) – figlia, nata fuori dal matrimonio, di Lord Arthur Acton (1873-1953), padre del noto scrittore e collezionista Lord Harold Acton (1904-1994) – e rappresentava un punto di riferimento per il mondo anglo-americano che soggiornava in città.

64 S. Tobia, Advertising America. The United States Information Service in Italy (1945-1956), Milano, LED, 2008. Sull’importante collezione composta da oltre 500 film fatti circolare per scopi culturali e propagandistici a sostegno del Piano Marshall, già presso la sede USIS di Trieste e ora a Roma all’Archivio Centrale dello Stato, si veda United States Information Service di Trieste. Catalogo del fondo cinematografico (1941-1966), a cura di G. Barrera e G. Tosatti, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, 2007.

65 Per le piante dei locali e gli arredi si veda Archivio di Stato di Firenze, Archivio architetto Lando Bartoli, Attività professionale, sottoserie Firenze, n. 23: Firenze, Via Tornabuoni 16r, Progetto per United States Information Service (1948), rotolo di cc. 5.

66 San Jose State University, California, Martha Heasley Cox Center for Steinbeck Studies, John and Elaine Steinbeck Papers, Box 3, Folder 2: «Travels, Europe, Italy», 1957, «List of participants in a party in honour of Steinbeck». Oltre ai coniugi Steinbeck avrebbe partecipato al cocktail anche la sorella dello scrittore, in arrivo da Venezia.

67 Biblioteca Berenson, Firenze, I Tatti – The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, Collection: Bernard and Mary Berenson Papers, Series: Diaries, Sub-Series: Bernard Berenson Datebooks and Diaries, File: –, Box: Berenson Identifier, BER, 8, Datebook ad annum.

68 Biblioteca Berenson, Firenze, I Tatti – The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, Collection: Bernard and Mary Berenson Papers, Series: Corrispondence, File: S, Box: Berenson 100 Identifier, BER, 8, fasc. Steinbeck, John Ernst, c. 1, testo manoscritto sul recto, carta intestata: «John Steinbeck». Il documento è stato solo in minima parte richiamato, senza indicazioni archivistiche, in E. Samuels, Bernard Berenson. The Making of a Legend, Cambridge (MA)-London, Belknap Press of Harvard University Press, 1987, pp. 579 e 658, e da lì in R. Cohen, Bernard Berenson. Da Boston a Firenze [2013], Milano, Adelphi, 2017, p. 260. Delle sensazioni lasciate dall’incontro con Steinbeck a «I Tatti», Berenson ha scritto un denso e lucido ricordo nel proprio diario (B. Berenson, Tramonto e crepuscolo. Ultimi diari, 1947-1958 [1963], a cura di N. Mariano, introduzione di E. Cecchi, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 422, 7 maggio 1957): «La mia prima impressione di Steinbeck: grosso, pesante; sembra che il parlare gli costi grande fatica e in questo senso lo si può paragonare a Silone. Tutto questo è probabilmente colpa mia: nessuno dei due ci sentiamo a nostro agio assieme. Steinbeck si è tirato su quando ho lodato i suoi libri; nell’andar via mi ha detto che si sentiva “come se gli avessi dato un’iniezione di coraggio.” Non è certo uno stilista elegante, ma il fatto che in America lo apprezzano così poco non dipende da questo. Non lo apprezzano perché non urla contro le persone e contro i sistemi considerati responsabili per il male di oggi, male che lui attribuisce a delle forze, a dei movimenti tanto inevitabili quanto invisibili come succede appunto nel suo Grapes of Wrath. Ma è severissimo contro gli agitatori, i quali del creare zizzania fanno una professione, con pessimi risultati per le loro vittime. Temo che anche lui come Faulkner, come Hemingway, abbia ormai vuotato il sacco, che abbia scritto tutto e che ora non sappia più cosa fare. Non avendo mai scritto né versi né critica, non è probabile che incominci a farlo adesso seguendo l’esempio di alcuni romanzieri di successo. Comunque, conto di rivederlo ancora».