«Sono felice di esserti sgabello»
Per Jean-Marie Straub
Franco Fortini

Il 20 novembre scorso è scomparso Jean-Marie Straub, che insieme a Danièle Huillet ha firmato alcuni capolavori della cinematografia. La lettera di Franco Fortini a Straub che pubblichiamo faceva seguito, nell’autunno del 1976, alla proiezione di Fortini-Cani al Filmstudio di Roma. Il film di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet costituisce l’ultima parte di una «trilogia della questione ebraica» (le prime due parti erano Introduzione alla «Musica di accompagnamento per una scena di film» di Arnold Schönberg, 1972, e Mosè e Aronne, 1974) ed è tratto dal libro-pamphlet di Fortini, I cani del Sinai (De Donato 19671; Quodlibet 2020), letto dall’autore durante le riprese. La lettera fu pubblicata sul «manifesto» il 2 dicembre 1976 e ripresa con il titolo Lettera a J.-M. Straub, in F. Fortini, Disobbedienze I, Roma, Manifestolibri, 1997, pp. 129-30. Il disegno di Fortini che ritrae Jean-Marie Straub è conservato nell’Archivio Fortini dell’Università di Siena ed è riprodotto in F. Fortini, Disegni incisioni dipinti, a cura di Enrico Crispolti, Macerata, Quodlibet, 2001.

Caro Jean-Marie, credo di aver capito interamente solo ora (soprattutto dopo il tuo ironico «non ti fidare di iersera») che cosa tu vuoi e in che cosa ti possa esser utile.

Tu stabilisci un rapporto accuratissimo fra il punto di partenza del tuo discorso cinematografico (Brecht, Schönberg, Fortini) e il punto d’arrivo, che è il film. Questo rapporto è apparentemente minimo (ad esempio in Lezione di storia)1 e quasi mai è di conflitto. Perché è questo il modo con cui fai andare avanti dialetticamente il tuo discorso. Ma la distanza che tu inframetti fra quelle «opinioni» (testi, musiche, ecc.) e l’oggetto compiuto, che è il tuo prodotto, è costante.

Questa parola «prodotto» mi fa venire in mente la definizione brechtiana dell’amore; che sarebbe l’arte di produrre qualcosa con le capacità di un altro. Credo che il tuo modo di procedere sia il più comunista possibile, oggi, in una società come la presente. La tua arte è di produrre con il simile per evidenziare il dissimile (sinonimia e metonimia contro antinomia e metafora). I limiti della tua soggettività (virtuosismo, moralismo, perfezionismo) riguardano solo te (e Danièle…). Ma si capisce come tu acquisisci, proprio assumendo su di te quei limiti, il diritto a trattare come oggetti gli oggetti (e i soggetti) dei tuoi film. Sei seriamente antikantiano: agisci in modo che tutto sia, e sempre, un mezzo o strumento di produzione (da usare anche in vista di quel che sta oltre il comunismo) e non un fine (a cominciare da te stesso). Questa è la radice di ogni posizione «classica». Soli Deo gloria.

È quindi chiaro ormai che il personaggio dei Cani del Sinai non è esattamente l’autore di quel libretto e nemmeno coincide con l’io che ora ti scrive. Esso è (o sarà) un intellettuale quasi sessantenne, con tutte le caratteristiche di classe e di cicatrici storiche che ha un intellettuale europeo e italiano e halb-Jude vissuto fra il 1930 e il 1970; col suo marxismo ma anche col suo non-comunismo, ossia col suo essere di «prima»: più prossimo all’età di Brecht, più lontano da quella di Schönberg ma comunque poco dell’oggi, seppure con qualche speranza di essere, postumo, di domani. Tu mostrerai questo, cioè il suo superamento: le parole che quel personaggio dirà conflitteranno con l’impotenza reale, col dolce mare delle vacanze, col non-comunismo del mondo circostante e con la faccia medesima del protagonista. E così tu avrai portato tutti i rapporti un passo più avanti: lezione di storia. Capisco che l’invito a non fidarsi di te voleva dire che non avrebbe potuto esserci nessuna complicità visibile fra te e il me-personaggio e nemmeno (nonostante tutto) la letteralità delle mie parole dei Cani. Forse non mi tratterai con la distanza critica che hai impiegato per la lettera a Kandiskij; ma una distanza critica ci sarà e grazie a quella anch’io sarà andato avanti.

Sono felice di essere sgabello a questo passo. Voglio tu sappia che ne sono ben cosciente e che ti ringrazio di avermi così inserito in un processo di produzione di rapporti fra esseri umani non dissimile da quello che ho cercato di indurre e proporre nei miei scritti e versi: e che è comunista, se la parola significa. Tuo affezionato Franco Fortini.

2 dicembre 1976

Note

1 Lezioni di storia (Geschichtsunterricht) è un film del 1972 di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, basato su Gli affari del signor Giulio Cesare di Bertolt Brecht.