Siegbert S. Prawer,
Karl Marx e la letteratura mondiale
Gabriele Fichera

Siegbert S. Prawer, Karl Marx e la letteratura mondiale, a cura di D. Santarone, Roma, Bordeaux, 2021.

Nel suo ricchissimo percorso intellettuale Marx ha incrociato in modo ripetuto e molto significativo la sfera della letteratura. Il libro di Siegbert Prawer, Karl Marx e la letteratura mondiale, uscito per la prima volta in Italia nel 1978 e da poco rieditato a cura di Donatello Santarone, che firma pure un’articolata e puntuale postfazione, ci guida, secondo un iter rigorosamente cronologico, nella rete intricata di questi rapporti, dipanandone i fili in modo molto esaustivo. Ma perché Marx si volge con insistenza proprio verso la letteratura? Le risposte possono essere molteplici. La prima è che in essa trovano forma compiuta i desideri profondi degli uomini. Le loro rappresentazioni mentali. Quindi, per un filosofo così particolare come Marx, il cui scopo principale fu individuare le leve da azionare per cambiare radicalmente il mondo, la letteratura si presenta come una miniera infinita di preziosi che aspettano di essere portati alla luce. Nell’Ideologia tedesca, ad esempio, Marx si sofferma a lungo su un bestseller dell’epoca: I misteri di Parigi di Sue. E si dimostra perfettamente in grado di analizzarne a contropelo gli aspetti contenutistici e formali, fra sciattezza stilistica e compromissione ideologica col più vieto senso comune. Sappiamo anche che Marx, dopo il Capitale, avrebbe voluto scrivere uno studio critico su Balzac.

L’altro nodo indagato con attenzione da Marx è quello del famoso – o famigerato – rapporto fra «base» e «sovrastruttura». Il libro di Prawer contribuisce a chiarire, se ancora ce ne fosse bisogno, come questa correlazione sia intesa da Marx in modo per nulla deterministico, ma dialettico. Coscienza ed esistenza infatti cambiano insieme, influenzandosi reciprocamente. Marx ribadisce più volte che all’interno della totalità gioca un ruolo fondamentale il concetto di interazione fra le parti – d’altronde per lui la sua opera più importante, Il capitale, era un «tutto artistico», un lavoro cioè in cui l’arte della composizione è decisiva, perché i suoi elementi si connettono in modo preciso, formando un organismo ispirato da una causa finale unitaria. Tra l’altro, se non ci fosse questo grado di autonomia, ci spiega Marx, sarebbe inspiegabile il fatto che nel mondo moderno, contrassegnato dall’evoluzione vertiginosa di forze produttive e rapporti di produzione, conservino ancora la loro smagliante freschezza le opere poetiche degli antichi, addirittura l’epos omerico. Come si conciliano l’Iliade e la macchina a stampa? Qui Marx ritorna all’idea di totalità, ma stavolta intesa come universalità. Quando in un famoso parallelo, molto vichiano peraltro, fra infanzia biologica e infanzia storica dell’umanità, fra ontogenesi e filogenesi, definisce gli antichi Greci come «bambini normali», allude proprio al concetto di norma, modello; quindi alla portata squisitamente universale della loro civiltà. Il fascino dei Greci è simile a quello che l’infanzia sprigiona agli occhi dell’adulto. In essa quest’ultimo ha inoltre l’occasione di rivivere una «verità naturale», che è chiamato a rielaborare e riprodurre «a un livello più alto».

Semmai a fare problema è il rapporto fra letteratura e società odierna. Marx ribadisce più volte che l’essenza del capitalismo è antitetica al mondo dell’arte. I capolavori artistici sono, dal punto di vista del profitto e della merce, altamente improduttivi. Ma a partire dall’analisi di Marx si può andare anche un po’ più in là, e dedurre che denaro e letteratura costituiscono una polarità speculare. Se il primo, col suo valore di scambio, ha il potere mefistofelico di tradurre in realtà i desideri individuali e collettivi, ovvero le rappresentazioni mentali degli uomini, la seconda, la letteratura, al contrario trasforma la vita in rappresentazioni fittizie.

La situazione poi si complica, e si arricchisce di preziose nuances, se si considera un ulteriore sviluppo del rapporto fra società capitalista e letteratura. Si nota negli interventi letterari di Marx una particolare attenzione al mondo espressivo della parodia e della caricatura, della commedia e della farsa. Si ricordi solo il famoso passo del Diciotto brumaio su Napoleone III «pagliaccio» e su vari personaggi politici del ’48 francese e del Secondo Impero, visti come reincarnazioni grottesche e degradate di figure storiche precedenti ben più serie. Marx percepisce chiaramente come la società in cui vive sia giunta ad un punto di declino così evidente da apparire finanche ridicola. Ma il filtro della commedia e della parodia come rovesciamento dell’ordine normale delle cose finisce per intersecarsi con l’intera lettura del capitalismo e della sua falsa coscienza come deformazione della natura dell’uomo e della sua socialità. La società della merce e del denaro per Marx è già parodia, rovesciamento della realtà, perversione dell’ordine naturale delle cose. È probabilmente in virtù di questa singolare omologia che Marx amò il genere letterario della commedia e ogni tipo di distorsione caricaturale. Qui si tratta proprio di assumere come punto di partenza il fatto che è la «strana magia» del capitale a sconvolgere il mondo, trasformando lo sviluppo in impoverimento e le fonti di ricchezza in mezzi di espropriazione. In questo senso l’attenzione prestata da Marx, oltre allo Shakespeare “comico”, anche ad una certa epica italiana cinquecentesca come quella del Furiosodi Ariosto, si comprende molto bene. Marx arriva a citare proprio il personaggio di Ruggero vittima dei sortilegi di maga Alcina. Anche la commedia Mandragola di Machiavelli è menzionata in termini molto elogiativi e ricordiamo che un altro, solo apparentemente curioso, desiderio di Marx era quello di scrivere una commedia sui Gracchi.

Se la realtà è mascherata, se il feticismo della merce occulta i rapporti produttivi e nasconde le dinamiche reali dello sfruttamento, se il mondo magico del capitale è finzione allora appare conseguente che Marx abbia messo l’invenzione letteraria al centro dello sguardo anche nelle sue analisi economiche e sociali. Prendiamo in esame brevemente alcune fra le sue letture più amate. Non sussiste un rapporto fra il nocciolo conoscitivo di Il capolavoro sconosciuto di Balzac, in cui alla fine il capolavoro pittorico viene sommerso da strati e strati di colore caoticamente disteso sulla tela e l’azione sistematica di camuffamento e mistificazione della realtà che il capitale pone in essere? Oppure nell’inquietante personaggio del piccolo Zaches di Hoffmann non si incarna plasticamente proprio quella forza sovvertitrice del denaro che per Marx trasforma ogni cosa nel suo contrario, distorcendone la natura? Prawer ci racconta che, secondo la testimonianza di un amico, Marx era solito esibirsi in famiglia nella recitazione del personaggio di Mefistofele. E che lo faceva in modo «decisamente caricato». Con tutta evidenza, non avrebbe potuto renderlo diversamente.