Arte e proletariato”, 1951
nostro onore somigliare a brute cose,
non avere traccia d’uomo. Ma dunque
c’è melodia in queste parole?
Si, ma rotta sul volare del vento.
Dunque un lamento in questi versi udite?
Si, ma delle faine per la campagna.1
Nel saggio Crisi degli intellettuali, Fortini aveva spiegato come la scrittura muova da un fenomenico sensibile già disposto secondo schemi culturali precisi che impongono al testo le tensioni e le contraddizioni di cui lo scrittore deve assumere responsabilità e coscienza, per superarne ideologie, visioni del mondo, criteri di giudizio e linguaggi ereditati.2 In epoca contemporanea, spiega Fortini, ad ogni progresso della conoscenza scientifica sembra corrispondere una diminuzione della funzione didascalica della letteratura: una poesia non può, da sola, superare una data visione del mondo creata dalla tensione prodotta dai rapporti che intercorrono tra l’industria e lo scrittore «in quanto uomo». La scrittura, in versi o in prosa, dovrebbe, dunque, fondarsi, se non altro, su un concetto di «resistenza». Questa resistenza, connaturata alla poesia, dovrebbe essere fortemente imposta al linguaggio della critica per evitare che si riduca a mero fideistico formalismo libresco. La critica autenticamente impegnata deve, infatti, fondarsi sugli stessi principi della lotta partigiana, come forza dissidente. Tale processo implica, al contempo, passività e dinamicità, devozione e innovazione, fino al momento in cui la presa di coscienza non sfoci nella scelta di una tematica. Già nel 1946, Calvino definiva Fortini:
Sempre vigile alle sollecitazioni della storia, la coscienza civile perennemente all’opera nelle poesie di Fortini saldava le esigenze del poeta lirico con la passione politica ed ideologica dell’intellettuale engagée. Scrive Fortini: “Ebbene, questo aprirsi di un’opera, non appena ad una pluralità di interpretazioni, ma all’altro da sé, questa incompiutezza nonostante la conclusione formale – che è di tutti i capolavori – perché il discorso continui in filosofia, in scienza, in prassi, questa è la preziosa eredità, contraddittoria, che dal Romanticismo scende alle Avanguardie e a noi.4
Paesaggio con serpente rivela, dunque, in forma di poesia, un Fortini, che si avvia alla delusione, ma pur sempre combattivo, alla costante scoperta e simultanea messa in discussione del ruolo dell’intellettuale e della funzione della poesia, uomo tra gli uomini, che vuole recuperare l’umanità dalla miseria e dall’oblio, come teorizza il Marcuse di Eros e civiltà, con un atto di tragica fiducia nel futuro per affrancarlo dalla sua brutale preistoria.7 Un Fortini che si emancipa da un universo di utopie, avendo ormai imparato a riconoscere i limiti che tale ambizione comporta – poeta polifonico, in cui coabitano singolarità e pluralità, quale adunanza di corpi e voci alleate o anche avverse, prese in un dialogo ostinato, proprio perché, per sua natura, il testo è sempre «sociale», «per sua origine quanto per sua destinazione, implicita o esplicita».8 Lo si scopre, in queste poesie, dinanzi a continui atti di coscienza, dubbi e confessioni, spesso angustiato dal presente, senza tuttavia perdere di vista il senso dello scrivere in ragione delle generazioni a venire, che egli contribuisce ad educare ad i valori progressisti ed umanistici: principi fondanti che erano stati a lui stesso indicati tra il 1936 e il 1939 dall’amico e maestro, Giacomo Noventa, durante i tre intensi anni di dibattito culturale sulle pagine di La riforma letteraria.
In Paesaggio con serpente si riversava, dunque, ma mediato dal linguaggio figurato, tutto il paesaggio del bene e del male del decennio 1974-1984, su cui Fortini aveva ampiamente scritto (si vedano in particolare i saggi compresi in L’ospite ingrato secondo), e su cui da docente era necessariamente chiamato a ragionare, al di là delle questioni connesse alle istituzioni letterarie e a quelle legate al canone. Paesaggio con serpente verosimilmente include molto di personale, a partire dalla necessità di sottrarsi dal rigore autoimpostosi dell’intellettuale tradizionale che iniziava a pesargli, e dal dispiacere per le incomprensioni con i diretti interlocutori della sfera accademica e studentesca. Tutto questo si affiancava non senza disagio alla delusione politica nata in ragione di una lotta di classe vista non più come spartiacque per i rapporti tra l’intellettuale impegnato e chi bada solo al profitto e a questioni di mero potere. In questo “fiele” epocale, Fortini mette in chiaro il proprio marxismo critico, nei saggi Più velenoso di quanto pensiate e Che cos’è il comunismo, entrambi analisi puntuali e dirette sulla Nuova Sinistra e suoi nuovi modi di censura interni al pensiero dissidente, intessuto, secondo Fortini, di fandonie fabbricate in nome della coerenza ideologica, una coerenza velata di verità, tanto più falsa quanto più imperante in dati ampi contesti sociali, storici e geografici. Le “catene” spiega Fortini rivolgendosi ai giovani del PCI, non sono solo quelle celate dall’appartenenza ad una data religione, e nemmeno quelle imposte dal pensiero delle classi dominanti, ma sono anche le “catene” connesse alla coerenza interna della militanza, che spesso si coagula in comportamenti da setta, gravandosi di sterili conflitti e penose contraddizioni interne, in misura non inferiore a quella dei propri antagonisti.9
Puntando sulla funzione gnostica della poesia, che in Paesaggio con serpente è rappresentata emblematicamente da un rettile che induce a cibarsi del frutto della conoscenza (Genesi: 3,1), e in tal modo uccide, Fortini pone nella sua scrittura un cardine allegorico-polemico, facendo luce su uno spaccato epocale altrimenti caotico, buio e contorto. A livello dei contenuti, le varie poesie reiterano, similmente ai saggi citati, come i paradossi insiti in ogni ideologia (o teologia) al potere, inclusa la critica marxista della società, si manifestino all’intellettuale dissidente quanto più il partito ne propagandi o ne forzi la coerenza. La scelta dei testi coerentemente informa dell’umore che in quegli anni condizionava non solo il giudizio, ma anche lo spirito di un italiano come Fortini intimamente travagliato dalle questioni politiche e culturali che affliggevano sia la propria nazione sia la propria stretta sfera ideologica: un disagio, a suo dire, finanche fisico dinanzi alla infecondità dell’assillo morale. Tutto il volume è concepito come atto comunicativo ed affida alla poesia allegorica il compito di colpire il lettore con un’indicazione di percorso. Negli atti comunicativi, infatti, teorizzano Peirce ed Eco, il processo di semiosi si mette in moto presso il destinatario sulla traccia di segni, che trascendono quelli determinati razionalmente dall’emittente. Il processo si complica quando l’autore del messaggio in questione, nella fattispecie il Fortini professore e studioso di filologia e critica del testo letterario, assolutamente consapevole delle dinamiche insite negli strumenti linguistici, stili, generi e canoni che impiega, attiva il processo semiotico in ambito didattico-comunicativo, ricorrendo qui al tropo del morso del serpente, come segno di una malattia mortale, kafkaniamente subdola, kierkegaardianamente incombente e fatale, per disseminare il testo di indizi, sintomi e comportamenti, che conducano il lettore a comprenderne e condividerne il messaggio, ovvero i fini.
Come chiarisce Luca Lenzini nel saggio introduttivo al volume antologico Franco Fortini, Saggi ed epigrammi (2003), «Le parole della promessa», dal titolo indicativo di tale costante impegno alla comunicazione: «Presiede a questi testi l’intenzione di una coincidenza tra lavoro intellettuale, pratica (anche stilistica) del letterato, e fini di tal lavoro e di tale pratica».10 L’attitudine che Fortini manifesta in Paesaggio con serpente è, come si comprende, di chi si ponga dinanzi a delle verità di presunta chiarezza con i presupposti di rivelarne le effettive oscurità. Tale nozione viene esplicitata nella poesia Molto chiare:
Di sé o di altri. Non sa più chi sia
l’ostinato che a notte annera carte
coi segni di una lingua non più sua
e replica il suo errore.
È niente? È qualche cosa?
Una risposta a queste domande è dovuta.
La forza di luglio era grande.
Quando è passata, è passata l’estate.
Però l’estate non è tutto.
Sia in L’ordine e il disordine, già pubblicata in Questo muro e riproposta in apertura di Paesaggio con serpente, sia in Molto chiare, la poesia che chiude la raccolta, Fortini ripropone la presenza di dicotomie nella natura stessa di quella che consideriamo la coerente e compatta realtà, (chiarezza/oscurità, noto/ignoto). Nel rapporto tra ciò che è reale con ciò che è psichico («l’ostinato che a notte annera le carte»,«Puoi contare ogni foglia», «L’autobus ne porta via qualcuna», «Ad uno ad uno tornano gli ultimi mesi»), le tracce visive delle cose nel mondo sono riportate con rigore straniato («Non vede una storia», «Non sa più chi sia»). Nell’ambiguità di questa distanza percettiva, la decodificazione del messaggio del soggetto deve rimanere incerta («È niente? È qualcosa?»), in quanto condotta «coi segni di una lingua non più sua», che non chiarisce, ma «replica il suo errore». Si noti il ricorso a frasi interrogative e ad un lessico che apre ipotesi, dubbi e dilemmi. L’interazione con gli aspetti fenomenologici del reale è definita nella prima stanza come «un lavoro imperfetto». L’endecasillabo dell’incipit «Molto chiare si vedono le cose» contrasta distintamente con il penultimo verso, che si presenta con tono colloquiale, «quando è passata, è passata l’estate». Adottando ritmi vicini al parlato, Fortini riflette sulla fine della giovinezza con un tipo di rassegnazione che potrebbe apparire senso comune. La percezione desolata della perdita del proprio tempo vitale, «la forza di luglio era grande», che si consola al vaglio della ragione è palese nel verso «Però l’estate non è tutto». Qui si rafforza l’altro tema della seconda fase della poetica di Fortini, quello del senso del limite (della ragione lasciata al senso degli Altri).
La caratteristica ulteriore della raccolta Paesaggio con serpente è la tendenza al “concettismo”, ripreso da autori del Seicento e Settecento, che consentirà a Fortini di assumere quella “strabica” posa pseudo-classicista, di cui lo rimprovera Luperini ne La lotta mentale. A questo proposito, nell’intervista del 1993, Che cos’è la poesia?, Fortini dichiarava:
Non c’è modo più forte di attirare l’attenzione del lettore che presentagli dinanzi i segni residui della lotta tra il bene ed il male. Fortini, di conseguenza, ricorre alla simbologia del serpente così come emerge nelle arti figurative, laddove il rettile biblico non rappresenta solo la negatività del male primordiale come tentazione e caduta, ma anche, per contrasto, il suo magnetismo e fascino fuori dal ventre della Madre Terra. L’iconografia biblica classica, infatti, raffigura il Serpente mentre tenta Eva a disobbedire al dio padrone per essere partecipe della Conoscenza del mondo qual è, disobbedienza che costa la dannazione eterna. In tal senso, il rimando di Fortini all’uso che Poussin fa del serpente in due suoi dipinti paesaggistici, Il giardino di Flora (1631), che pone il mito al centro di una scena di nudi epicurei e baccanti, e Paesaggio con uomo ucciso da serpente (1648), che allude invece ad un dramma umano, ha una duplice intenzione didascalica di andare al di là dell’interdizione che la cultura ebraica ha fatto del simbolo del serpente. Raffigurato mentre sbuca fuori dalle profondità delle radici in culture altre da quella giudaico-cristiana, in cui tendenzialmente appare nel cavo di un albero, o avvolto intorno ad un emblema di forza e potere virile, il serpente indica non già le insidie celate nelle profondità, ma l’energia vitale stessa che si desta e si slancia verso l’alto, emergendo dall’oscurità come la cieca violenza della natura verso il lume della sapienza.
Il barocco offriva a Fortini lo stile per deformare il messaggio con mezzi espressivi ritenuti ormai desueti, per i quali l’iperornamento, l’eccesso retorico, l’ambiguità, e l’elevazione del paradosso a modello di pensiero diventavano di nuovo legittimi. Il serpente di questa raccolta altro non anticipa che la lirica L’animale, del 1985, analizzata nei dettagli da Luperini ne La lotta mentale: il grande dramma di Poussin, ripreso in Paesaggio con serpente, apre infatti magnificamente la strada alla composizione del piccolo-grande dramma «ecologico»14 in cui allegoricamente la bestiola uccisa come in un rito sadico, insegna a stare in guardia contro gli allettamenti del delitto teso da un animale avversario in agguato, e leggere le tracce di questo spirito sanguinario, che altro non sono che i segni dei rapporti umani di sfruttamento e dipendenza reciproca, patto che in arte diventa quasi inebriante, e avvolge in un unico movimento distruzione e rigenerazione. La volontà di lotta della poesia L’animale, emblematica di un’umanità disperata che si dibatte tra pulsioni opposte, è accessibile per via allegorica, oltre che segnica:
ha ucciso una bestiola, sottocasa. Sulle piastrelle
che illumina un bel sole
ha lasciato uno sgorbio sanguinoso
un mucchietto di visceri viola
e del fiele la vescica tutta d’oro.
Chissà dove ora si gode, dove dorme, dove sogna
di mordere e fulmineo eliminare
dal ventre della vittima le parti
fetide, amare.
Vedo il mare, è celeste, lietissime le vele.
e non è vero.
Il piccolo animale sanguinario
ha morso nel veleno
e ora cieco di luce
stride e combatte e implora dagli spini pietà.
Probabilmente, per Fortini, indicare la strada al lettore per accedere al potere di questo simbolo tramite sia il dipinto di Poussin sia le figure retoriche del linguaggio poetico, significava coltivarlo e tramandarlo quale saggezza ritrovata alle radici della sanguinaria umanità. Vale per questo motivo chiedersi che senso abbia avuto per Fortini, a livello personale, richiamare la figura del serpente che uccide un uomo in un paesaggio su cui incombente tempesta, soprattutto se lo si immagina costantemente intento sia come individuo sia come intellettuale engagé nel compito difficile e mai risolto del proprio cammino esistenziale ed artistico. Rappresentando i conflitti del proprio ambiente ideologico e poetico, egli sembrerebbe rivolgere i testi di questa raccolta, sviluppata all’insegna del dilemma morale, attarverso il simbolo del serpente, ad interlocutori altrettanto impegnati e colti – i soli probabilmente in grado di comprenderne le stratificazioni di senso e le contraddittorietà. Ma in realtà, a livello del messaggio, l’allegoria mira ad altro e la coerenza del testo poetico si risolve come sempre in un irrisolvibile conflitto di contenuto e forma, traccia di un conflitto di prospettive sperato, mai sedato, sicché dal confronto nasce il senso.
Fortini procedeva costantemente su due binari, quello letterario e quello politico, e ne vorrei qui dare un esempio. Rifacendomi a una sua riflessione sul comunismo quale modello di un procedimento «per rendere sensibile ed intellettuale la materialità delle cose dette spirituali»,15 mi azzardo a dire che il nostro autore desume l’idealità di tale definizione teorica dalla funzione stessa della poesia. È la poesia che sopra ogni altra attività umana, conoscenza o scienza, si prefigge il fine di indicare come interpretare le tracce del passaggio dell’uomo su una crosta terrestre, la quale inghiotte queste tracce e complica la semiosi di chi ne vada alla ricerca, o le riceva ormai sbiadite, prive di senso apparente. A ben vedere, la poesia, nel suo darsi come sistema di pensiero, istituzione, oltre che foggia che esiste nel suo compiersi, si presenta come procedimento che, per quanto tramato di errori, ha la pretesa, attraverso epoche e tendenze, di indicare, non di rado anche con violenza concettuale, o altrimenti con agire vatico, come leggere, attraverso la persona del poeta, nel libro della sua fisicità, tutta la storia tragica dell’umanità affidata al tempo. Fortini ne è consapevole quando, nel saggio Opus servile, assume il punto di vista di Adorno per il quale la poesia «canta sempre alla tavola dei potenti».16 È questa condizione di idealità, che Fortini nega alla poesia, che egli ancora assegna al comunismo. Mentre definisce la militanza del giusto comunista, Fortini non fa che definire il proprio ideale di poeta, un ideale quasi cristologico, capace di riscattare e liberare l’umanità, e che dissemina dappertutto nei suoi testi: «Chi questa lotta accetta si fa dunque, e nel medesimo tempo, amico e nemico degli uomini»17 A livello strutturale, inoltre, Paesaggio con serpente è opera composita. L’estetica di Fortini, influenzata dalle tesi di Lukács e Adorno, in questo decennio è sostanzialmente attenta all’analisi che Benjamin aveva presentato delle tecniche del collage e del montage, in cui esprimeva fiducia nella riproduzione meccanica dell’arte, la quale socializzerebbe (commercializzandola) l’opera, affrancandola da ogni valenza auratica fuori e oltre l’apprezzamento intellettuale delle élites.18
Ma passiamo all’analisi testuale di alcune poesie di Paesaggio con serpente. Già pubblicata in Questo muro, la poesia allegorica L’ordine e il disordine, ripresa dal Brecht di A causa del crescente disordine (1932-34) – che rinviene costantemente la presenza dell’antitesi nelle cose umane, è costruita sulla giustapposizione dialettica di armonia e caos nel mondo del molteplice. Fortini si distacca dalla compostezza letteraria del linguaggio lirico, per adottare uno stile espressionistico «Ma parlare in futuro solo del disordine… godi delle contraddizioni della vita macchiata di sangue / che conosci»), atto a comunicare il proprio disagio morale («contorta esistenza», «sfruttamenti», «carne lurida», «giustizia di classe», «vita macchiata di sangue»). Il polemos nel gruppo di versi qui di seguito riportati mette in luce forze oppositive interne sia al reale sia all’Io. In questa complessa griglia di influenze, urgenze, e obblighi morali, la ricerca da parte del poeta di un equilibro formale appare, suggerisce Fortini, quasi un’insolenza, come recita anche il noto testo di Brecht, Brutti tempi per la poesia. La coscienza dell’impudenza dello scrivere poesia ritorna a confrontarsi con la ragione storica nella poesia Come una dopo l’altra:
E un’altra ininterrottamente come lente o veloci
O come stagioni o come le ore o le api o le voci
O il pianto degli innocenti o lo stridio delle foglie
O il vocio delle onde delle gocce delle scaglie
Di pigna o l’ondulio della ragione nella sua cuna
O della dolorosa fortuna il lamento
Ma sopra come la dominante ostinata ragiona
E dice e ridice una verità.
In Leggendo una poesia, in memoria di Vittorio Sereni, inclusa nella sezione Una obbedienza, ritorna l’idea di un soggetto fatalmente ferito dalla vita, che crea un distacco con se stesso e dal contesto offensivo, per assumere una distanza critica perfino dai propri assunti. Tuttavia, il dolore per un mondo deviato, dove i fratelli sono divenuti nemici, dove il Capitalismo ed il materialismo hanno schiacciato la realtà, mistificandola e consegnandola alla non-autenticità, non confonde il Fortini poeta, vigile ai segni pur minimi di rinascita:
Una ingiustizia strana e indecifrabile
Mi ha reso stolto e forte per sempre.
Leggo i versi di Sereni per Nicolò Gallo
E scrivo ancora una volta parola per parola.
Non tutto allora è vero quello che ho detto sin qui.
Posso anche io intendere chi noi siamo.
l’infinito anelando, udivo intorno
nel traffico e nel chiasso, un dire furbo:
Quando c’è la salute c’è tutto…20
di potere sollevare la coperta
e in uno dei prossimi giorni d’inverno
guardare come sono quelle tue mani?
Buon latte d’aria, mite crema, affetto
che sempre hai desiderato e ora basta com’è.
Potrei volgere la mente alle tue cellule
dove palpitano stente
desinenze, musiche orbe,
brame goffe, gesti d’ira;
e chiedere ah non pietà ma di tornare
nel letto ancora a dormire.
Finché non esiga irritato il telefono
“Signore, prego, parli!” – la scelta, la data
del contratto, l’ora della riunione,
il differimento di te a te medesimo,
la certezza che sono disfatti
gli antichi miceli nervosi, annientato il disegno
delle labbra in sogno ancora tenere
di chi un giorno ti chiamò amore.
una composizione che ignoro. Anime sante,
poeti e parenti, onorati e inonorati, voi
che le catene avete solo in sogno spezzate ma
(e sempre piangendo di averle spezzate ma
solo in sogno) monumenti venerabili e amari
e voi, nonni e antenati, rattrappiti nei colombari
che aveste il tempo della vita intero
per domandarvi che cosa mai fosse e perché
voi e perché non voi e le bestie perché
e perché il sogno spaventoso dello scuoiato,
voi tutte queste sillabe aiutatele
che accecate un nipote compone
prima della sua fine
con quelle imprendendo già tronca un’azione
come chi per incerto cielo parte
e seppure confidi che li aerei furiosi
alla scala casalinga vorranno restituirlo,
può trapassarlo il fuoco, precipitare urlando
e tutta lasciare in disordine la tua stanza sbalordita. E ancora:
il clamoroso parlare, la lingua sonora
degli italiani non potrà aiutarmi.
non è una rosa, che un’acqua non è un’acqua,
che parola rimanda a parola e ogni cosa
a un’altra cosa, egualmente estranee al vero?
Bravi filosofi, menti necessarie e voi quanti
negli istituti di ricerca del mondo poderoso
a mattini d’inverno dopo l’ora del tennis
fissate i tabulati, le analisi, le statistiche lucenti
la cultura dei batteri, il restauro degli argenti,
ah nulla potete insegnarmi
che io già non sappia, anche parlaste ore e ore.
Non è onnipotenza questa mia, è pianto di rabbia.
Neanche per la mia ignoranza domando scusa,
non c’è colpa né scusa.
Almeno una immagine, una visione sabbatica,
queste cadenze miserabili animasse!
Ma no, senza conoscenza né buona coscienza,
senza teologia, senza arte manuale
e nemmeno poesia, sebbene più ilare
che triste, più ansioso che sazio, più indistruttibile,
anche nella stanchezza di tutto il vissuto secolo,
mi avvio veloce verso il mio rancore.
le carte soffiando sulla polvere, almeno
abbia un giusto scuotere del capo, il capo alzi, guardi
se la mattina è acuta, esca.
Tornando a Molto chiare, la poesia posta a chiusura di Paesaggio con serpente, e alla dimensione “corale” della poesia di Fortini, questa dice il progressivo timore della voce lirica di emergere dal caos omologante del crescente neocapitalismo, e di portare a termine il proprio mandato intellettuale come responsabilità etica e coerenza politica: dinanzi alla coscienza si apre una visione pessimistica del mondo, la quale, benché guidata dalla volontà della ragione, appare intimamente lacerata: «Lo sguardo è là ma non vede una storia / di sé e degli altri». Il motivo della chiarezza («limpidezza / nelle foglie illuminate, negli intonaci / delle case nuove, che ancora vedo»), nel suo essere una domanda di vita, si oppone al temuto incupimento della coscienza. Il torpore che precede il sonno non offre conforto al poeta, né può consolarlo la visione lattiginosa e indistinta d’una figura china al suo capezzale. La facoltà di percepire se stesso diminuisce, le immagini si scompongono, si addensano alla mente voci di contemporanei, forse quelle di Vittorio Sereni, Giovanni Giudici, Luzi e Caproni, che nei loro versi hanno già mostrano le crisi e le fratture a cui le poetiche contemporanee vanno fatalmente incontro, come nota Luigi Corosso in Educare tra le rovine.23 Il testo di Molto chiare presenta Fortini nel suo notturno confrontarsi con un interlocutore interiore, inflessibile antagonista di se stesso, a cui dice la propria ostilità:
anzi più passano gli anni
più, amico mio, mi è difficile comprendere
quello che turba la tua mente. E anche la mia!
non miti e non crudeli le voci grigie.
Verso il loro mormorio
nella sera calma e certa dopo il pianto
va questa mia risposta.
la scongiuro se scorgo
le orme di minuscole ferite
sui ginocchi dei ragazzi e, mi rammento,
gustavo fra i denti le croste brunite
raschiate alle mie cicatrici.
Atterrito dal mondo e da se stesso
egli fermava contro il ferro la sua tempia.
Rispondo che è per pietà per l’avvenire,
per il patire interminato che
entro tanto splendore uno spavento
come una bestia immane dall’azzurro
annunziava a quel misero tremante
nella felicità che il pianto libera.
Da qui lo assito, da qui ora lo consolo.
Infine introdurrei un’altra riflessione su quale fosse, per il Fortini critico e polemista, il medium della comunicazione del dire poetico con il mondo prosastico, disumano e violento della storia, e di come fosse importante farsi interpretare. Nel saggio Brecht e l’origine dei Fronti Popolari, Fortini chiariva come, a partire dal 1930, fosse diventato impraticabile e paradossale ogni idea positiva dei rapporti a venire tra gli scrittori e i partiti. Nonostante la generale avversione nei confronti del vitalismo rivoluzionario e delle istanze avanguardistiche postmoderniste, Fortini rimaneva tuttavia in necessario rapporto di contemporaneità con la tematica del limite, proposta da Lyotard ne La condition postmoderne, del 1979. La tensione intellettuale con cui Fortini conduceva la sua opera, lo condusse dunque ad entrare in controversia perfino con se stesso. Non poche sono le poesie dell’ultima produzione fortiniana in cui ricorre il tema della frantumazione della razionalità ad opera delle dinamiche in atto nelle società tardocapitalistiche. Come specifica l’autore stesso nella premessa all’edizione ampliata del 1974 di Verifica dei poteri:
1 F. Fortini, Paesaggio con serpente. Versi 1973-1983, Torino, Einaudi, 1984, p. 73. D’ora in avanti PS.
2 F. Fortini, Verifica dei poteri. Scritti di critica e istituzioni letterarie, Milano, Il Saggiatore, 1965, p. 67.
3 F. Fortini, Poesie scelte (1938-1973) a cura di P.V. Mengaldo, Milano, Mondadori, 1974, p. 25.
4 F. Fortini, Verifica dei poteri, cit., p. 117.
5 P. Ginsborg, Italy and its Discontents. Family, Civil Society, State, New York, Palgrave Macmillan, 2001, p. 137.
6 Mi permetto di rimandare alla mia plaquette, Poem of the roses. Linguistic expressionism in the poetry of Franco Fortini, Leicester, Troubador, 2004.
7 F. Fortini, Due interlocutori, in Id., Saggi ed epigrammi, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2003, p. 1395.
8 F. Fortini, Poetica in nuce [1962], ivi, p. 962.
9 F. Fortini, Più velenoso di quanto pensiate, ivi, p. 1457.
10 L. Lenzini, Introduzione, ivi, p. XXXVIII.
11 F. Fortini, Che cos’è il comunismo, ivi, p. 1655.
12 F. Fortini, Cos’è la poesia, RAI Educational, 1993.
13 F. Fortini, «Il messaggero», 14 luglio 1981.
14 R. Luperini, La lotta mentale. Per un profilo di Franco Fortini, Roma, Editori Riuniti, 1986, p. 107.
15 F. Fortini, Che cos’è il comunismo, in Id., Saggi ed epigrammi, cit., p. 1656.
16 Ivi, p. 1650.
17 Ivi, p. 1655.
18 Cfr. Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966. Questa attenzione alle tesi di Benjamin, già presente in Paesaggio con serpente, si sostanzierà in Composita Solvantur (1994) sul piano dell’adesione ai nuovi codici espressivi.
19 F. Fortini, Cos’è la poesia, cit.
20 C. Rebora, Canti dell’infermità, Roma, Il Punto, 1956.
21 L. Lenzini, La funzione Fortini, in «L’ospite ingrato online», 8 gennaio 2011.
22 F. Fortini, Un dialogo ininterrotto. Interviste 1952-1994, a cura di V. Abati, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.
23 L. Corosso in Educare tra le rovine, in P. Giovannetti (a cura di), «Se tu vorrai sapere…». Cinque lezioni su Franco Fortini, Milano, Punto Rosso, 2005, p. 58.
24 Ivi, p. 66.
25 P.P. Pasolini, Passione e ideologia, Milano, Garzanti, 1960, p. 469.
26 E. Passannanti, Poem of the roses, cit.
27 F. Fortini, Verifica dei poteri, cit.
28 F. Fortini, L’istituzione letteraria, ivi.