Santiago Montobbio e la parola come salvezza
Amaranta Sbardella

Sí, em pots trobar, si goses,
darrere el glacial no-res d’aquesta
porta, aquí, on visc i sento
l’enyor i el crit de Déu i sóc,
amb els ocells nocturns de la meva solitud,
un home sense somnis en la meva solitud.1

S. Espriu

L’incedere meditativo di Santiago Montobbio percorre i sentieri della profonda penetrazione di sé, della sferzante richiesta di un senso e della sublimazione di questa ricerca spasmodica nell’arte. Il poeta, consapevole della propria solitudine, accetta il carico di un destino amaro e spettrale per rifugiarsi tra le morbide sinuosità dei versi, tra parole che si ripetono di poesia in poesia a delimitare un campo semantico sempre più orientato verso la riflessione metafisica.

Con naturalezza costruisce mura e frontiere, ne conosce i limiti e cerca di comprenderne il mistero. La penna scorre sulla carta, travolta da un obbligo interiore, morale: documentare le ansie, le inquietudini di colui che la impugna e consentirgli una eterna quanto fragile redenzione. Come afferma lo stesso Montobbio, l’arte è un’avventura salvifica, che si intraprende e realizza per salvare se stesso.2

L’arte, la poesia, allora, sembrano placare il turbamento per l’assenza di un dio invocato nelle pagine o rievocato dalla velata simbologia cristiana. L’uomo rivendica il proprio ruolo, di decifratore dell’esistenza e complice del trascorrere del tempo, pur percorrendo a tastoni il cammino di una vita irta d’ostacoli, alla ricerca dell’alba e della luce. Lo spirito, depurato dalla carne, trascende e diventa vivo nella poesia, strumento del vento, dell’aria che vibra. L’ispirazione, o meglio la fulgida illuminazione, imprimono gli sprazzi della coscienza poetica sul fondo di una pellicola oscura, di cui nemmeno il poeta sembra a volte conoscerne la trama. Le opere di Montobbio nascono dal guizzo di un istante e non necessitano di revisioni e ripensamenti, perché ramificazioni continue di un unico, solido, sentire poetico.

In particolar modo, le poesie proposte qui in traduzione, accentuano un aspetto già presente nella poetica di Montobbio, quello dello sguardo maturo e inerme sull’assurdità della vita, della condizione umana. La verticalità, una certa sospensione del linguaggio e un intenzionale risalto di alcuni termini o concetti emergono con forza in questo florilegio ancora inedito sia in Spagna, patria dell’autore, che in Italia, patria adottiva, come la Francia. Il linguaggio, più colloquiale in precedenti produzioni, e l’immaginario, prima costellato di apparizioni umane, convergono ora verso l’annullamento della dimensione esterna, per focalizzarsi sulla sensibilità del poeta. Il lirismo della desolazione umana teme l’oblio, la perfida evanescenza della memoria, e allo stesso tempo lo richiama a sé, per superarlo e incastrarlo nelle proprie maglie.

La lucida poesia di Santiago Montobbio emerge dal pozzo dell’incertezza, trascinando nella sua ascesa echi delle vocazioni di maestri del passato e del presente, di Onetti, Sábato, nonché di Foix, Espriu, Seferis, ma sceglie un cammino personale perché «l’arte nasce dal fondo di se stesso, non può essere appresa da un altro. Può esserne incoraggiata o stimolata, ma non acquisita, se non la portiamo già dentro con noi».3

Nota biografica

Santiago Montobbio de Balanzó nasce a Barcellona nel 1966. Laureato in Diritto e in Lettere presso l’Università di Barcellona, è docente di letteratura presso ESADE e la UNED. Ha pubblicato le seguenti raccolte: Hospital de inocentes (1989), Ética confirmada (1990), Tierras (1996), Los versos del fantasma (2003), El anarquista de las bengalas (2005), finalista del premio Quijote 2006, e Absurdos principios verdaderos (2006).

Il primo libro, Hospital de inocentes, fu un successo di pubblico e critica e ricevetti gli elogi di numerosi intellettuali, tra cui Sábato, Onetti, Martín Gaite, Cela, Delibes. Ha inoltre dato alle stampe un libro d’arte, frutto della collaborazione con il pittore Lluís Ribas, Los colores del blanco (2009).

È stato tradotto in inglese, francese, italiano, tedesco, danese, portoghese. In Francia, dove è molto apprezzato, è apparsa pochi anni fa un’antologia della sua poesia, Le théologien dissident (2008).

I.

Doy cuerda al reloj de ningún tiempo.
Lo tengo en los adentros. Es inútil o viejo
o sólo sirve para que en el tiempo no haya tiempo
y no distingamos los días y la tierra
sea olvido y diversas formas
que recuerdan al infierno
entre las yemas de los dedos.
Tengo este reloj y le tengo que dar cuerda.
Lo exije o implica el mero hecho de estar vivo.
Vivir es dar cuerda a este reloj de ningún tiempo,
tenerlo adentro. Es semilla que se esparce y que
[germina
en las noches y en los días, para sustraerles su cara
y las yemas de los dedos, ya lo dije.
Este reloj con la soledad se hermana.
De la soledad es también la cifra, la frontera.
La vida tiene este reloj perdido y roto y muy
[adentro
y nos obliga en silencio a darle cuerda.
Dictamina él con su latido
los pasos del mundo.

I.

Carico l’orologio di nessun tempo.
Lo serbo nel mio profondo. È inutile o vecchio
o serve solo perché nel tempo non ci sia tempo
e i giorni non siano distinti e la terra
sia l’oblio e le diverse forme
che ricordano l’inferno
tra i polpastrelli delle dita.
Ho quest’orologio e lo devo caricare.
Lo pretende o implica il solo fatto di essere vivo.
Vivere è caricare quest’orologio di nessun tempo,
averlo dentro. È seme che si sparge
[e germina
nelle notti e nei giorni, per rubar loro il volto
e i polpastrelli delle dita, l’ho già detto.
Quest’orologio si affratella alla solitudine.
Della solitudine è anche la cifra, la frontiera.
La vita conserva quest’orologio perso e rotto e nel
[profondo di sé
e in silenzio ci impone di caricarlo.
Sentenzia lui col suo battito
i passi del mondo.

II.

Trabajo en la montaña. Soy guardabosques,
o leñador, o de un modo más industrial
estoy en un aserradero o pesco cangrejos en el río
por encargo de un sitio de la ciudad
a la que nunca he ido. Trabajo en la montaña,
per ya no recuerdo en qué. Esta montaña
tampoco nadie la recuerda,
ni figura en ningún sitio. Allí trabajo.
En una montaña que se ha perdido.
Allí trabajo y soy miseria, olvido.

II.

Lavoro sulla montagna. Sono guardaboschi,
o boscaiolo, o in modo più industriale
lavoro in una segheria o pesco granchi nel fiume
per conto di un posto della città,
dove non son mai stato. Lavoro sulla montagna,
ma non ricordo più che faccio. Nemmeno
questa montagna la ricorda nessuno,
né figura da nessuna parte. Lavoro là.
Su una montagna che si è persa.
Lì lavoro, e sono miseria, oblio.

III.

En la calle oscura del olvido,
detrás de una puerta estrecha, con la amargura
que sólo la vida como hiel
puede despertar y despierta y hace
que con ella el mundo amanezca. Detrás
de esa puerta, en esa calle, está secuestrada la frescura
y el aliento íntimo de los días. La noche o el diablo
la dirección y la ciudad precisa en que está esa calle
ocultan. Antes que revelarla
se quitarían la vida. La pesadumbre oscura
es eje del mundo y sobre él gira.
Esto no es un secreto, aunque a la vez nadie sepa
su esencia y motivo, el infinito sin porqué
en que no termina su selva oscura
mientras el reloj camina, en cada uno
de los momentos que registra cada vez
nos adentramos más en ella.

III.

Nella via oscura dell’oblio
dietro una porta stretta, con l’amarezza
che solo la vita come fiele
può svegliare e sveglia e fa sì
che il mondo si desti con lei. Dietro
questa porta, in quella via, è sequestrata la frescura
e il respiro intimo dei giorni. La notte e il diavolo
occultano l’indirizzo e la città
dov’è questa via. S’ucciderebbero
piuttosto che rivelarla. L’oscuro dolore
è asse del mondo e gli ruota attorno.
Non è questo un segreto, anche se al tempo stesso nessuno
ne conosce l’essenza o la ragione, l’infinita insensatezza,
dove non ha fine la sua selva oscura
mentre l’orologio cammina, in ogni
istante che registra sempre più
ci addentriamo in lei.

IV.

El hombre busca un alba en los caminos.
Alguien la ha perdido, alguien o quizá
un amor antiguo enterrado en una playa
a quien el olvido perfiló y volvió
muy diminuto. El hombre, pese a todo,
busca alba. La necesidad del alba
alienta en su respiro todo el día.
Pero acaso el camino en que la busca
o en su vida se ha perdido. El hombre
es extravío.

IV.

L’uomo cerca un’alba nei sentieri.
Qualcuno l’ha persa, qualcuno o forse
un antico amore sepolto in una spiaggia
che l’oblio ha profilato e reso
più minuto. Eppure l’uomo
è in cerca di alba. Il bisogno dell’alba
alimenta il suo respiro tutto il giorno.
Forse però si è persa la strada
dove la cerca, o nella sua vita. L’uomo
è smarrimento.

V.

En medio de un camino me he perdido.
Está sólo la soledad, y no sabía
cómo decirme adónde debía dirigirme.
La soledad había olvidado las palabras
y hablaba sólo ya por señas, en un idioma
de extraños gestos que descifrar no supe.
Pero sólo estaba ella en medio del camino.
Así en mi vida la soledad vino,
a mitad de la ruta, de improviso,
sin aviso. Y me quedé en ella
clavado, a mitad de vida o de un camino
que a fuerza de estrechar sólo sus manos
cada día se volvía más un ningún sitio.
Las manos que aprieta la soledad se vuelven fieras.
Adentro aúllan y un apagado fuego avivan.
En la circulación de su sangre la vida se ha perdido.

V.

Nel mezzo di un cammino mi sono perso.
C’è solo la solitudine, e non sapeva
come dirmi dove dovevo andare.
La solitudine aveva dimenticato le parole
e ormai parlava solo a gesti, in una lingua
di strani segni che non ho saputo decifrare.
Ma nel mezzo del cammino c’era solo lei.
Così nella mia vita entrò la solitudine,
a metà strada, d’improvviso,
senz’avvisare. E a lei sono rimasto
inchiodato, nel mezzo della vita o di un cammino
che a furia di stringere solo le sue mani
diventava sempre più un nessun luogo.
Le mani che stringe la solitudine diventano feroci.
Ululano dentro e ravvivano il fuoco smorzato.
Nella circolazione del suo sangue la vita si è smarrita.

VI.

El aire puede ser también un aire triste.
Una verdad puede vibrar en él y ser terrible.
El aire es la patria de la libertad, no de la muerte,
pero puede esparcir su llegada entre campanas
y que el campo sea un árbol que solloza
y ya no encuentra agua en el río
donde ser reflejo y estar vivo. Un son
en el aire decide el destino, como un chasqueo
de los dedos, el tono de una campana,
el pequeño susurro de algún beso. Hay
que estar en el aire vivo, en el aire vivir,
en su transparencia ser luz que nos alcance
u oración que al más recóndito lugar nos lleve.
En el aire está Dios y no se ve, pero el hombre
en sus movimientos lo presiente. Del aire soy,
del aire has de ser, hasta que último te diga
en la muerte, donde ya no existe.
Porque la muerte es un lugar sin aire.

VI.

L’aria può essere anche un’aria triste.
Una verità può vibrare in lei ed essere terribile.
L’aria è patria della libertà, non della morte,
ma può spargere il suo arrivo tra campane
e che il campo sia un albero che singhiozza
e non trova più acqua nel fiume
dove essere riflesso e sentirsi vivo. Un suono
nell’aria decide il destino, come uno schiocco
delle dita, il tocco di una campana,
il delicato sussurro di un bacio. Bisogna
essere vivi nell’aria, vivere nell’aria,
nella sua trasparenza essere luce che ci sfiori
o preghiera che ci porti nel luogo più segreto.
Nell’aria c’è Dio e non si vede, ma l’uomo
lo intuisce nei suoi movimenti. Sono dell’aria,
dell’aria devi essere, fino a che ultima
ti parli nella morte, dove più non esiste.
Perché la morte è un luogo senz’aria.

VII.

Un poema es un misterio. Nunca lo alcanzo
ni descifro completo. Pero a la vez
en él entero me soy, me vuelco.
Soy un misterio en el poema
o el poema es un misterio
y en él recorta mi nombre
y me llega adentro. El misterio
es un sol tejido por manos de nadie,
naturaleza última es del hombre
y sólo en el poema de modo inagotable
se desvela. En el poema
pervive el misterio o el poema
pervive en el misterio. El poema
nunca acaba ni termina de decirse.
En tu abrazo y en la patria
de tu cuerpo
quiero encontrar
alguno de sus sentidos,
mientras en el amor germino,
y en misterio con tu amor me fundo,
como palabras que el vivir revelan y a la vez
para nadie dejan de ser enigma.
El poema y el arte, instrumentos del viento,
flauta de una caña del camino cortada,
tallada, fabricada y sobre él suena la vida
y al adentro y al corazón del hombre se acompasa.
El misterio es verdad y es una patria.

VII.

Una poesia è un mistero, non la afferro mai
né decifro integralmente. Però sono
anche immerso in lei, mi ci ravvolgo.
Sono un mistero nel poema
o il poema è un mistero
e in lui ritaglia il mio nome
e mi pervade. Il mistero
è un sole intessuto dalla mano di nessuno,
è la natura ultima dell’uomo
e si svela inestinguibile solo
nella poesia. Nella poesia
sopravvive il mistero o la poesia
sopravvive nel mistero. La poesia
non si esaurisce mai né finisce di dirsi.
Nel tuo abbraccio e nella patria
del tuo corpo
voglio trovare
qualcuno dei suoi sensi,
mentre nell’amore germino,
e nel mistero al tuo amore mi fondo,
come parole che rivelano il vivere e nel frattempo
non cessano di essere enigmi per tutti.
La poesia e l’arte, strumenti a fiato,
flauto di canna sul sentiero tagliata,
intarsiata, creata e sopra di lei risuona la vita
e segue il ritmo dell’interno e del cuore dell’uomo.
Il mistero è verità ed è una patria.

VIII.

La luna se esconde, se esconde en la noche,
se esconde del hombre. La luna es un misterio,
como la vida y el arte, y en ellos tiembla
y en su oscuro pozo se refleja. Yo quiero ser
luna de agosto y rica siembra
sobre la playa de tus ojos
y en la tierra de tu abrazo ser el cuerpo
dulce y tierno como el tiempo
o que del tiempo se ha escapado,
de su luna y de su noche, ser sólo abrazo
en que el tiempo ha perdido el cetro y nada puede
sino colmarse de caricias y semillas
por las brisas esparcidas
en la patria de tu piel, en la tierra de tu piel,
sin tiempo y ya en labores de amor
la única tierra mía.

VIII.

La luna si nasconde, si nasconde nella notte,
si nasconde dall’uomo. La luna è un mistero,
come la vita e l’arte, e trema in essi
e nel loro pozzo oscuro si rispecchia. Vorrei essere
luna di agosto e semina ricca
sulla spiaggia dei tuoi occhi
e nella terra del tuo abbraccio vorrei essere il corpo,
dolce e tenero come il tempo
o che dal tempo è fuggito, dalla sua luna
e dalla sua notte, essere solo l’abbraccio
nel quale il tempo ha perso lo scettro e non può altro
che colmarsi di carezze e semi
sparsi dalle brezze
nella patria della tua pelle, nella terra della tua pelle,
senza tempo e già in fatiche d’amore
l’unica terra mia.

IX.

Hay dolor y sombra en los sonidos.
Hay también una brisa que acaricia el alma
al hilo de una música. Yo los pulso
desde lo oscuro. Allí estoy, en
pozo profundo. Toco un instrumento
desconocido con el que ese dolor y esa sombra pulso
y en sus sonidos se esparce también la brisa
y está el alma. Al final el arte
siempre es sencillo. El arte es fácil,
definitivo. Éste es el sentido:
se nos impone de modo único y último.
Somos arte, somos su aire esculpido. Somos las fechas
que con él y su música en la vida
y para cerrarla y cual mortaja
va grabando el olvido.

IX.

C’è dolore e ombra nei suoni.
C’è anche una brezza che sul filo
di una musica accarezza l’anima. Io li modulo
dall’oscurità. Sto lì, nel
pozzo profondo. Suono uno strumento
sconosciuto con il quale modulo quel dolore e quell’ombra
e nei loro suoni si sparge anche la brezza
e sta l’anima. Alla fine l’arte
è sempre semplice. L’arte è facile,
definitiva. E’ questo il senso:
si impone su di noi in modo unico e ultimo.
Siamo arte, siamo la sua aria scolpita. Siamo le date
che nella vita con lei e con la sua musica
sia per racchiuderla che come sudario
sta incidendo l’oblio.

Note

1 Sì, puoi incontrarmi, se hai coraggio / dietro il glaciale nulla di questa / porta, qui, dove vivo e sento / questa nostalgia e il grido di Dio e sono / con gli uccelli notturni della solitudine / un uomo senza ormai sogni nella mia solitudine.

2 Un’espressione che appare frequentemente nelle interviste è la seguente: «La poesía es una rama civil y laica de la soterología, la ciencia de la salvación. Porque escribo para salvarme» («La poesia è una branca civile e laica della soterologia, la scienza della salvezza. Perché scrivo per salvarmi»). Cfr. Escribo desde un profundo amor, in «El ciervo», 672, Barcelona, marzo 2007 e G. López Forcén, Una entrevista a Santiago Montobbio, in «El coloquio de los perros», 25, otoño, 2009.

3 «Creo que el arte nace del fondo de uno mismo, y que no puede aprenderse de otro. Puede ser alentado o estimulado, pero no adquirido, si ya no lo llevamos dentro», in L. Zerón, Entrevista con Santiago Montobbio, Barcelona-México, noviembre 2006. Pubblicata in «BABEL», Año XXI, 51, Caracas, enero-marzo 2009.