Per presentare l’ultimo libro di Riccardo Bellofiore, Smith Ricardo Marx Sraffa, e consigliarne la lettura non inizierò direttamente dal contenuto, ma dall’origine di questo libro. Infatti, i saggi contenuti nel libro non sono nuovi, ma sono nati dal 1983 ad oggi in modo indipendente, e riveduti e modificati per questa pubblicazione. Il libro quindi si aggiunge ad una serie di volumi che Bellofiore sta pubblicando in questi ultimi anni ed in cui potremmo dire che sta riorganizzando la sua elaborazione teorica. Anni in cui sta scrivendo una serie di veri e propri “testamenti teorici”, suddivisi in tematiche, del suo ampio percorso culturale. A mio parere, si tratta di strumenti necessari a quei giovani studiosi e/o militanti politici che si pongano nella scia di una visione, come sottolinea più volte Bellofiore, eretica dell’economia, o come dice nel libro stesso, eretica della scienza sociale e della critica del capitale.
In questo caso specifico, il tema centrale del libro è il lavoro nel sistema economico-sociale attuale, dal punto di vista della teoria economica. Ovviamente, non della teoria economica neoclassica-neoliberista, ma della teoria economica che si rifà ai classici e al grande pensiero economico italiano degli anni Sessanta e Settanta del ‘900. Il titolo è infatti un chiaro omaggio a Claudio Napoleoni, autore del libro Smith Ricardo Marx, con cui Bellofiore si è formato e da cui ha anche preso delle distanze teoriche. Inoltre, l’inserimento nel titolo e nel libro del nome e del pensiero di Piero Sraffa è al tempo stesso una scelta molto interessante e, appunto, molto eretica.
L’intento dichiarato di Bellofiore è infatti quello di ricostruire il filo rosso che collega i grandi classici con Sraffa, sganciandosi dalla visione neoricardiana che relega Sraffa al problema della determinazione dei prezzi; e questo attraverso una interpretazione originale degli Sraffa Papers, che a suo parere fanno emergere una implicita adesione di Sraffa alla teoria del valore-lavoro nella sua visione macro sociale. Questa però non è l’unica eresia contenuta nel libro. In quanto allo stesso tempo troviamo una critica molto forte ai teorici della “fine del lavoro” (cioè a quella che viene chiamata visione post-moderna, post-fordista ecc.), nonché ad un certo tipo di pensiero ecologista e femminista.
Da un punto di vista metodologico, queste eresie si basano sulla ripresa di alcune categorie teoriche marxiane, che vengono riviste e rinnovate. In primis, la teoria del valore-lavoro, che viene presentata bilanciando intelligentemente storia del pensiero economico e critica economica. Vediamo così Bellofiore riportare la propria visione di come l’interpretazione della teoria del valore-lavoro si sia evoluta nel tempo. Il passaggio che mi immagino e mi auguro porterà ad un più ampio dibattito, come accennato prima, è probabilmente l’interpretazione molto originale di Sraffa.
Sraffa è uno degli economisti italiani più importanti del ‘900 e oggi, dopo la svolta neoliberista dell’istruzione, è completamente omesso dai programmi delle facoltà di economia. Qualche piccolo dipartimento italiano continua ad insegnarlo marginalmente e in particolare nella versione neoricardiana. Devo aggiungere che personalmente la versione neoricardiana che mi è stata presentata ed insegnata mi ha sempre lasciato molto insoddisfatta, proprio per la totale assenza di una teoria del valore, e per questo motivo accolgo con grande interesse la lettura originale di Bellofiore, che non conoscevo e che ritengo molto stimolante nell’invito a ripensare l’interpretazione che si dà del pensiero di Sraffa.
Nel libro, questo primo percorso analitico che fa Bellofiore viene messo a confronto con la natura e le condizioni di lavoro nel modo di produzione capitalistico, che rappresenta quindi il secondo tema dominante del volume. Brevemente, i punti centrali di questo secondo tema sottolineano l’importanza della necessità di “liberazione del lavoro”, ripresa da Claudio Napoleoni, e della “liberazione dal lavoro”, ripresa da Guido Calogero. Bellofiore ci invita così a non ricadere, da un lato, nell’economicismo, quindi nell’attenzione univoca ad uno sterile keynesismo, alla quantità di domanda, alla quantità di consumo, alla quantità di prodotto, ecc. Ma al tempo stesso ci invita anche a non cadere nell’errore, che una certa sinistra anticapitalista compie, di sottrarsi dal conflitto dentro la produzione, creando delle oasi “fuori” dal lavoro. Bellofiore è lucidissimo nel criticare questo tipo di risposta sottolineando come questi lavori “fuori”, non potranno che essere marginali, di nicchia, di fatto un privilegio, mentre continua lo sfruttamento sempre più aggressivo del resto del lavoro. Considera anche che è impossibile separare i due mondi senza che questi lavori “fuori” non vengano subordinati alla fine al modo di produzione capitalistico.
A questo punto, vorrei provare a fare un rapido collegamento tra questo libro e la crisi attuale, ossia la crisi sanitaria mondiale del Coronavirus, a cui sta seguendo una crisi economica e sociale, nonché delle relazioni internazionali. Ne possiamo solo intravedere i contorni in questo momento, ma possiamo già considerarla come una crisi fortissima, essendo una crisi che colpisce contemporaneamente il lato della domanda e dell’offerta, a livello internazionale, in un sistema già fragile. Un evento epocale, del quale bisogna saper dare una interpretazione e una risposta all’altezza. Il libro non parla di questa crisi, evidentemente, ma in realtà implicitamente ne parla in continuazione. E questo è un ottimo segnale della qualità del libro, che riesce a non essere un puro esercizio teorico e retorico, ma anzi offre gli strumenti con i quali possiamo porci le giuste domande e ci guida nel percorso di ricerca delle risposte. Indicativa in questo senso la frase di Simone Weil che Bellofiore riporta nel libro: