Renata Orengo,
Diario del Cegliolo
Alberto Cavaglion

Renata Orengo, Diario del Cegliolo. Cronaca della guerra in un comune toscano giugno-luglio 1944, edizione anastatica a cura del Comune di Cortona-Anpi Cortona, 2019.

Ospiti con i figli Elisa e Antonio, di Pietro Pancrazi, Renata Orengo e Giacomo Debenedetti vissero immersi in un paesaggio come incantato durante l’occupazione nazista. Un paesaggio, però, “con figure”, come ebbe a dire proprio Piero Pancrazi e altri che in quello scenario di campagna trascorsero lunghi mesi.

Il diario di Renata Orengo rivede adesso la luce per lodevole iniziativa del Comune e dell’Anpi di Cortona, ma il fatto notevole è che il diario copra i giorni che preludono alla stesura di 16 ottobre 1943, il più doloroso parto letterario di Giacomo Debenedetti. “Il grembo” della Shoah, lo definiranno la Morante e Saba nelle Scorciatoie. Un altro poeta, sensibile alla questione ebraica, Giacomo Noventa, era frequentatore di quelle conversazioni. Anni dopo, progettando di scrivere una introduzione alla Silerchia di Mondadori che avrebbe accolto il racconto della razzia nel ghetto di Roma, scrisse, ai limiti quasi dell’ingenuità, che secondo lui bisognava affrontare e non rimuovere «il problema di come gli ebrei, dopo le persecuzioni avessero la capacità di ricominciare a vivere».

Se lo stavano ponendo in molti quel problema, subito dopo la liberazione di Roma, quando non tutta l’Italia era libera, e sarà così ancora per anni, quando affiorano le prime testimonianze, in un clima di ritorno alla vita che non è ancora stato ricostruito come si dovrebbe e fu segnato da indifferenza, rimozioni. Se lo era posto il problema, a modo suo e con grande dottrina, un filologo come Giorgio Pasquali, che si era trovato ad affrontare la stessa situazione di Primo Levi quando si vide negata la pubblicazione di Se questo è un uomo. Aveva infatti ricevuto dinieghi la pubblicazione dei Ricordi di giovinezza di un professore tedesco di Marc Lidzbarski. Prima di arrendersi e pubblicare su rivista il suo magnifico saggio introduttivo (una pionieristica ricognizione nel mondo degli ebrei orientali), Giorgio Pasquali aveva bussato invano all’uscio di quattro o cinque grandi editori. Non aveva chiuso gli occhi davanti a quella dura realtà nemmeno Leo Valiani, che sempre nel fatidico 1947, in una bella pagina del suo Tutte le strade conducono a Roma, scrive:

Dai campi di concentramento sono stati rimossi i forni crematori e i seviziatori, ma son rimasti campi di concentramento per le nazioni vinte e per gli individui indifesi. Metà dell’Europa si è trasformata in una nuova razza ebraica, priva di diritti politici e spesso anche civili, che deve essere contenta, se le si concede il nutrimento.

La situazione, nel Diario del Cegliolo, è questa: l’idillio di una natura incontaminata sulla soglia del suo abbruttimento descritta con finezza, ma senza nessuna concessione all’estetismo di maniera. L’ombra di Giacomo Debenedetti attraversa queste pagine. È come se l’autrice ritenesse opportuno proteggere la figura del marito ricorrendo ai suoi stessi strumenti: una prosa elevata, le sembianze della poesia, il riflesso dei classici. Colpisce la sensibilità per il paesaggio, il contrasto evidente con la memoria della vita in città. Su tutto domina, nel finale, la lieta corsa verso la libertà di ragazzi e ragazzi guidati come se fosse un piccolo coro di voci infantili da Pancrazi, Valeri e lo stesso Giacomo Debenedetti, in veste di direttore del coro, con una strana bacchetta per dare armonia a quelle note di speranza: «Ma da dove diavolo avrà ritirato fuori il suo bastoncino dei portici di Po?», si chiede sorpresa Renata Orengo nelle ultime battute del diario.

Si parla spesso del paesaggio durante l’occupazione tedesca, se ne parla anche quando si riflette al futuro che progettiamo per i Musei, i memoriali: come collocarli nel continuum della storia e come far sì che i giovani si avvicino ad essi in un contesto generale che spesso li vede ostaggi di luoghi comuni e di politiche aggressive. Se ne parla di continuo, ma scarseggiano idee nuove, sui musei da costruire, su memoriali e su allestimenti scenici da collocare in “paesaggi contaminati” come Fossoli, il Portico d’Ottavia, ma anche la campagna intorno a Cortona nei giorni burrascosi della ritirata tedesca, di cui Renata Orengo ci restituisce i contorni, senza perdere mai di vista il conforto della letteratura (Manzoni) e ancora di più delle arti figurative: «Piero della Francesca vive in questa terra dopo tanti secoli».

Quando si parla di paesaggio si parla di tante cose diverse. Un grande architetto francese Gilles Clément ha parlato di tre paesaggi da salvaguardare: quello dell’idillio paesaggistico, quello della sua rappresentazione artistica (nel nostro caso la migliore letteratura) e quello della natura incolta e abbandonata. Leggendo il Diario del Cegliolo mi è venuto in mente che esiste forse un Quarto Paesaggio, quello della Memoria, che raduna in sé tutti gli altri: lo trascuriamo o lo tuteliamo in modo inadeguato.