Philippe Meirieu,
Una scuola per l’emancipazione
Luca Dalisi

Philippe Meirieu, Una scuola per l’emancipazione. Libera dalle nostalgie dei vecchi metodi e da suggestioni alla moda, trad. it. di E. Bottero, Roma, Armando, 2019.

Non facili ricette per chi è alla ricerca di un “metodo” che risolva i secolari problemi della didattica, né un autoconsolatorio pamphlet contro nemici vecchi e nuovi della scuola pubblica; bensì un agile e saldo vademecum per addetti ai lavori, utile a vivificare il senso del fare scuola oltre che illuminante nello svelare cortocircuiti nascosti che assediano il mestiere dell’insegnante rimanendo però in sottotraccia: ecco Una scuola per l’emancipazione di Philippe Meirieu (La riposte. École alternatives, neurosciences, et bonnes vieilles méthodes: pour en finir avec les miroirs aux alouettes, 2018). Procediamo con ordine: nella prima parte del libro l’autore svela una falsa contrapposizione ed una insospettabile alleanza: la contrapposizione tra la scuola “tradizionale” e la “pedagogia” (vista come innovativa, libertaria e dunque permissiva figlia del ’68); e l’alleanza tra i sostenitori della prima e… la pedagogia stessa. A chi insegna capita più volte al giorno di scontrarsi con la schizofrenia del sistema, che sulla carta promuove metodi “innovativi” e “inclusivi” mentre nei fatti impone la burocratizzazione della didattica e la meccanizzazione dell’apprendimento (la valutazione “oggettiva” ecc): leggendo il libro di Meirieu, un senso di liberazione ci coglie: allora non sono pazzo! È vero che quelli che parlano di “inclusione” sono gli stessi che impongono le prove Invalsi! La chiave di questa aporia è al di fuori della pedagogia, e anche al di fuori della scuola; la scuola infatti è momento pubblico e luogo di costruzione dei saperi (quindi istituzione democratica in senso pieno), in un mondo in cui il capitalismo impone lo smantellamento delle istituzioni e la meccanizzazione dei saperi. Con quel che ne segue, oggi, con le varie fughe nel privato, anche “da sinistra”. Dunque chi fa scuola affronta un problema politico.

La seconda parte del libro è sul metodo, ovvero sui metodi. L’assunto è la vivificante presa d’atto dell’impossibilità di raggiungere “il” metodo valido per tutte le circostanze, e la conseguente necessità di mettere quotidianamente alla prova qualsiasi scelta metodologica e ogni assunto pedagogico nel vivo campo dell’esperienza. Senza rinunciare, anzi recuperando i principi fondanti dell’azione pedagogica, che spesso deve mettersi in netta contrapposizione con la “cultura della società”. Per cui, ad esempio, Meirieu ci ricorda l’importanza pedagogica del rallentamento: in una società basata sulla velocità della comunicazione, puntiamo a decelerare i tempi di apprendimento, per permettere al bambino o all’adolescente di darsi il tempo delle sue domande, e creare quell’attesa che sola può dare il piacere della scoperta; oppure: formare alla vera attenzione (mentre l’informazione, i media, l’industria dell’intrattenimento infinito impongono la loro forza centrifuga alle nostre capacità di attenzione); insomma, la scuola come presidio del senso di collettività, che nella società è sotto assedio del marketing. Di fronte a tali sfide, qualsiasi scelta pedagogica non può che essere rigorosa, ed ogni metodo che si voglia onesto e valido non può rinunciare ad essere esigente.

Meirieu non rifiuta i “vecchi metodi” né le indicazioni delle neuroscienze oggi in voga, non rinuncia alle scoperte più recenti né ad alcuna delle esperienze più proficue di una secolare tradizione pedagogica. Perché se ogni metodo può essere utile fonte di ispirazione per il docente e valida chiave d’accesso alla conoscenza per il discente (e per il docente stesso), non è nel metodo che va cercato il senso del fare scuola. È il fare scuola come pratica di emancipazione individuale e collettiva che deve dare sostanza ad un “metodo” che può e deve attingere a varie sorgenti, ma che non deve dimenticare le sue ragioni fondanti.

«Qualsiasi docente di scuola, prima che insegnare la sua disciplina, insegna Scuola» (Ph. Meirieu).