Note a margine di
Un inverno freddissimo
di Fausta Cialente
Emmanuela Carbé

Nella prefazione alla seconda edizione del 1953, Emilio Cecchi giudicava Cortile a Cleopatra «uno dei più bei romanzi italiani dell’ultimo ventennio», concludendo la sua analisi con un certo trasporto: «noi invidiamo quelli che lo leggeranno ora per la prima volta».1 Vale ancora oggi questa affermazione, che potremmo estendere a gran parte della produzione narrativa di Cialente, fino a pochi anni fa di difficile reperimento: se Cortile a Cleopatra ha avuto una storia abbastanza fortunata, con diverse ristampe fino alla più recente del 2022 per i tipi della Tartaruga, con prefazione di Melania G. Mazzucco (una precedente edizione, del 2013, a cura di Dacia Maraini, era uscita per il «Corriere della Sera»), non si può dire lo stesso per altri libri, da troppo tempo fuori catalogo, a partire da Un inverno freddissimo: uscito nel 1966, ristampato nel 1976, è stato recuperato solo nel 2022 da Nottetempo.2 Cialente nella sua lunga carriera ha pubblicato i romanzi Natalia (Sapientia 1930),3 Cortile a Cleopatra (Corticelli 1936; Sansoni 1953, con varianti), Ballata levantina (Feltrinelli 1961), Un inverno freddissimo (Feltrinelli 1966), Il vento sulla sabbia (Mondadori 1972), e Le quattro ragazze Wieselberger (Mondadori 1976); e le raccolte di racconti Pamela o la bella estate (Feltrinelli 1962) e Interno con figure (Editori Riuniti 1976). Oltre a Cortile a Cleopatra, La Tartaruga ha recentemente riproposto Le quattro ragazze Wieselberger (2018), il romanzo di Cialente che ha avuto più ristampe, e l’esordio Natalia (2019), entrambi con prefazione di Mazzucco, mentre Baldini Castoldi Dalai nei primi anni 2000 aveva riproposto, con prefazione di Franco Cordelli, Ballata levantina (2003, postfazione di Paolo Terni) e Cortile a Cleopatra (2004, in postfazione il già citato testo di Cecchi).

In attesa di un progetto editoriale onnicomprensivo, certamente necessario per una delle più importanti scrittrici del nostro Novecento,4 l’editore Nottetempo ha avuto il merito di formulare una proposta editoriale che dopo Un inverno freddissimo riporterà in libreria Il vento sulla sabbia (maggio 2023), Interno con figure e altri racconti (2024), e infine Ballata levantina (2025). Ogni volume è accompagnato da un invito alla lettura – di volta in volta affidato a una penna diversa – e da una nota che offre al lettore un veloce inquadramento storico-critico e filologico del testo. La scelta di non procedere in ordine cronologico è dettata dalla volontà di rimediare all’assenza dei due romanzi di più difficile reperimento (Il vento sulla sabbia è stato ripubblicato solo nel 1973), procedendo poi con il recupero dei racconti di Interno con figure, la cui ultima edizione risale al 1991 (Studio Tesi, che ha anche stampato nel 1995 un volumetto intitolato I bambini, titolo di sezione della raccolta Pamela o la bella estate); sarà riproposta contestualmente, mantenendo com’è ovvio intatta la struttura della raccolta del 1976, una scelta di racconti pubblicati in giornali e riviste. Si riproporrà infine Ballata levantina, il romanzo di Cialente scritto dopo molti anni di silenzio, almeno in parte dovuto all’attiva militanza antifascista testimoniata dall’inedito Diario di guerra (1941-1947), oggi conservato al Centro Manoscritti di Pavia, fonte fondamentale per ricostruire l’esperienza delle trasmissioni radiofoniche Siamo italiani, parliamo agli italiani (1940-1943) e le molte attività di propaganda antifascista intraprese dal gruppo di Cialente, composto tra gli altri da Renato Mieli e Laura Levi.5

Un inverno freddissimo è dunque il quarto romanzo di Cialente, uscito a metà degli anni Sessanta, quando si osservava fuori dal mondo la corsa allo spazio, e dentro al mondo la guerra del Vietnam, l’inizio della rivoluzione femminista, l’avvio della rivoluzione culturale di Mao Tse-tung. Cialente guarda però all’esperienza neorealista, reinterpretandola con altri mezzi: la storia è ambientata nell’inverno del 1946-47, tra le macerie del dopoguerra; Camilla, «una donna sola» abbandonata dal marito Dario prima della guerra,6 trasferisce la sua famiglia dalla casa di campagna – dove rimane a vivere solo l’anziana madre – a Milano, in una soffitta rimediata e sistemata con spirito intraprendente. È la capofamiglia di un nucleo ampio, costituito dai figli Alba, Lalla e Guido, dal nipote violinista Arrigo insieme alla moglie Milena, da Regina (fidanzata del compianto nipote di Camilla, il partigiano Nicola) con la sua piccola figlia Nicoletta, nata già orfana di padre. Echeggia in tutto il libro l’assenza dei padri, almeno in parte sostituiti dalla figura del vicino di casa Enzo, un antifascista «italiano nato e cresciuto tra l’Egitto e Parigi, venuto in Italia prima che la guerra fosse finita, col Comando Alleato».7

L’inverno freddissimo ricorda il freddo della Danimarca: d’altra parte è Cialente stessa a collocare le opere complete di Shakespeare nella biblioteca del Rosso, il vicino di casa della dimora di campagna, e a far recitare scherzosamente a Guido (che possedeva uno Shakespeare «da pochi soldi», p. 89) versi da Amleto, Otello, Antonio e Cleopatra.8 «Il cielo è abitato da fantasmi remoti che di lassù ci guardano con minacciosi occhi bianchi» (p. 123), dice Lalla osservando la neve che cade; e ancora: «spettri antichi e nuovi s’insinuano nella sua coscienza ben sveglia ancora: il padre, la sorella, la nonna – e Nicola. I morti e gli scomparsi» (p. 185). Oltre all’ingombrante assenza paterna, almeno due fantasmi sono evocati nel romanzo: il partigiano Nicola e la compagna di Enzo, le cui vicende egiziane sono note dal romanzo precedente, Ballata levantina, dove la protagonista Daniela, amata da Enzo, scompare tragicamente sulle sponde di un fiume in circostanze non chiare, con evidenti richiami letterari:

Due fantasmi vegliavano, infatti: quello della ragazza sparita tanti anni prima nel favoloso, antichissimo fiume, e la cui morte Enzo portava, inconsapevolmente forse, come una luttuosa decorazione all’occhiello (un narciso? una violetta?); e quello del fiero, loquace partigiano (“qu’il était bavard, le pauvre”, diceva di lui Milena), ma di costui era rimasto sulla terra un messaggio concreto – o un pegno – come se non avesse voluto per intero morire.9

È un tempo proustiano quello di Cialente (lo ha sondato tra gli altri Bruno Mellarini per alcuni racconti e soprattutto per le Wieselberger),10 e nel romanzo del 1966 la memoria «ricostruisce malignamente, senza tregua» (p. 241): fedele lettrice della Recherche, forse per Un inverno freddissimo Cialente pensava ad Albertine costruendo le vicende della «povera fanciulla» Alba. Nella casa di campagna Camilla torna più volte, in un caso arrivando nella sua Combray con il figlio Guido, con il quale dorme nello stesso letto per limitare l’uso del riscaldamento a una sola stanza: «era stata una gran felicità per Guido avere sua madre tutta per lui, notte e giorno. La luce era già spenta quando scivolò sotto le coperte e le si rannicchiò vicino; lei lo baciò e affettuosamente cercò di respingerlo» (p. 119). Fa da contraltare a Guido la ormai diciottenne Alba, che nella soffitta di Milano spegne velocemente la luce della camera per evitare la madre:

Accese il lume sul tavolino con un gesto nervoso come se dalle tenebre le fosse venuto un richiamo improvviso e per un istante faticò quasi a riconoscere l’esiguo arredo che la circondava in quello spazio così limitato […]. Udì come un soffio al di là della stuoia, forse il passo leggero di sua madre che sovente si alzava la notte, e il timore di sentirsi chiedere da quella voce sommessa e dolce: “perché non dormi ancora, Alba?” le fece subito allungare la mano e spegnere il lume.11

Il romanzo viene candidato allo Strega, vinto quell’anno da Michele Prisco con Una spirale di nebbia, Rizzoli (tra i premi, Un inverno freddissimo risulta in lista per la quindicesima edizione del Bancarella, vinta da Montanelli, e riceve un voto nella fase di selezione del Campiello). La critica accoglie con un certo interesse il romanzo, pur con qualche riserva: la netta cesura con le ambientazioni precedenti di Cialente, nonché le scelte stilistiche, ben lontane dallo sperimentalismo di quegli anni, non convincono all’unanimità. Giorgio Zampa rimpiange in Cialente «i destini avventurosi» dei personaggi levantini, collocati nelle «atmosfere infocate» egiziane, ed esprime una certa delusione per il romanzo milanese, «come se l’ispirazione di questa nostra gentile, valente autrice avesse sofferto nell’allontanarsi dalla luce violenta, dalla confusione colorita, dai forti sapori che esaltano, nella memoria, le coste del levante».12 Più favorevole Carlo Bo sul supplemento letterario del «Corriere della sera» (I due modi di raccontare, 22 maggio 1966; il romanzo è accostato al volume di Libero Bigiaretti, La scuola dei ladri), che riconosce in Cialente uno sforzo di rinnovamento dei temi da lei solitamente attraversati, e offre una lettura tesa a giustificare lo scarso sperimentalismo, parlando di «un tipo di letteratura oggi desueto e ingiustamente sottovalutato e disprezzato» per un libro che richiede invece «una disposizione piena, uno scavo in profondità».13

Silvana Castelli sull’edizione romana dell’«Avanti!», pur non condividendo alcune soluzioni del romanzo, individua nel personaggio di Camilla, «primo strumento nella brillante orchestrazione del racconto», un «disperato ritratto di donna, chiusa nel respiro enorme dell’esistenza, che la sfonda e la ferisce per superarla, infine, come una di quelle case per metà crollate che attendono di essere demolite».14 Carlo Salinari saluta con entusiasmo il nuovo romanzo sulle colonne dell’«Unità», apprezzandone l’atmosfera creata da una polifonia di voci, un meccanismo in grado di «scandire il tempo di una vita collettiva».15Come altri critici, Salinari osserva che il modo di raccontare di Cialente è decisamente lontano dalla narrativa coeva, con un periodare non frammentato, ordinato, convincente e in grado di far provare al lettore un «sentimento della sofferenza e della delusione […], ma anche la consapevolezza che la vita continua e con le sue leggi insopprimibili seppellisce quella sofferenza e vanifica quella delusione».16

Luigi Baldacci, che aveva già recensito Ballata levantina,17 accosta il romanzo di Cialente a Un certo Ramondès di Vigevani (Feltrinelli 1966) sottolineando in controtendenza con altre voci critiche un abbandono dell’esperienza memoriale a favore del racconto realistico.18 Infine si segnala l’intervento critico di Olga Lombardi, che rintraccia nella scrittura cialentiana «un’arte raffinata e di breve durata», la cui misura è il romanzo breve e il racconto; a supporto della tesi, Lombardi individua gli esiti più alti nella prima parte del libro, quando i personaggi si sviluppano attorno al perno di Camilla, mentre l’opera si indebolirebbe nel momento in cui ciascun personaggio persegue una propria autonomia:

nello scandaglio dei sentimenti di Camilla, nel modo misurato e sicuro con cui viene decifrato ed espresso il suo mondo interiore, la scrittura della Cialente mostra una finezza che ci richiama alla mente le sue prove migliori, quali la definizione del personaggio della nonna in Ballata levantina e di certe figure non dimenticabili di Cortile a Cleopatra. In tutta questa prima parte del romanzo il suo realismo nomina cose e gesti, trascrive i dialoghi, scopre i pensieri con discrezione e leggerezza di tocco, infittendo gradatamente le notazioni fino a creare un solido e trasparente tessuto descrittivo.19

L’occasione della ristampa arriva dieci anni dopo: il 6 aprile 1975 l’Ansa batte la notizia che Giulietta Masina avrebbe interpretato il ruolo di Camilla nella trasposizione televisiva di Un inverno freddissimo, notizia riportata il giorno dopo nell’articolo Per la Masina in tv un’altra borghese («Stampa sera»). Il romanzo viene allora ristampato in forma anastatica da Feltrinelli e da Euroclub. Camilla, per la regia di Sandro Bolchi e la sceneggiatura di Tullio Pinelli in collaborazione con Bolchi, fu trasmesso in quattro puntate domenicali su Rete Uno RAI, dal 18 aprile 1976 al 9 maggio 1976 (segue, nelle settimane successive, uno sceneggiato tratto dal Figlio di due madri di Massimo Bontempelli, per la regia di Ottavio Spadato).20 La versione televisiva di Camilla è però decisamente diversa dal romanzo, con radicali modifiche anche cronologiche, e su questi aspetti si apre un dibattito sui giornali, specie in «Paese sera».21

Il 1976 fu anche l’anno di uscita delle Quattro ragazze Wieselberger e della raccolta Interno con figure, in cui si riuniscono i racconti di Pamela o la bella estate e altre cinque prose. L’introduzione alla raccolta, datata giugno 1975, dà modo a Cialente di ripercorrere più di quarantacinque anni di carriera, e ricordare il periodo egiziano e le profonde trasformazioni della società levantina, messe in luce efficacemente nei romanzi del dopoguerra:

Nell’Egitto dov’ero arrivata qualche anno dopo la fine della prima guerra mondiale la belle époque […] era definitivamente tramontata e potei coglierne soltanto gli ultimi bagliori, soprattutto nei racconti di mia suocera ch’era stata una delle “grandi signore” sulla fine del secolo; e anche dai ricordi di mio marito che, giovinetto, aveva potuto assistere ai balli offerti dai Kedivi nel palazzo di Ras el Tin. Un’altra epoca si sostituiva a quella mentre ancora dimoravo in Egitto, e credo d’averne dato riferimenti ben precisi – direi storici – tanto in Ballata levantina che in Un inverno freddissimo e ultimamente in Il vento sulla sabbia: basta saperli leggere.22

«Basta saperli leggere»: in Un inverno freddissimo Cialente affida a Enzo le riflessioni sulle dinamiche politico-sociali in Egitto, che oggi vanno naturalmente calate non solo nella finzione del romanzo, ma anche nel contesto storico in cui sono state scritte:

Mentre quello laggiù è un paese che va incontro a grossi mutamenti, è giusto, è “storico” e chi non li prevede, chi non sa leggerli “scritti sui muri” è un illuso, un ignorante… Avranno anche lì le loro convulsioni, commetteranno gli errori inevitabili, come sono inevitabili le “malattie infantili”, ma lui in coscienza può dirsi di averli sempre guardati con simpatia, gli arabi, anche quando sotto sotto li sentiva xenofobi e razzisti. Bisognava capirli, capire tutte le umiliazioni e i tradimenti attraverso cui sono passati: devono imparare tutto, adesso, dall’a alla zeta. Sono invece i mutamenti avvenuti qui, che lo riguardano.23

Un monito che torna prepotentemente nel Vento sulla sabbia, dove nella villa chiamata Sans Souci, simbolo del tempo perduto e spensierato, avviene un misterioso, tragico incendio che segna l’irreparabile fine di un’epoca. La frattura storica, tuttavia, è anche metafora del passaggio alla maturità, come a voler ricordare con disincanto la fine della giovinezza, che in Un inverno freddissimo era associata alle estati al mare di Camilla:

Ma quell’insopprimibile senso di vivere, di aspettare qualcosa dalla vita non l’ha mai abbandonata, ce l’ha al mattino svegliandosi, la sera andando a letto – è il vero compagno della sua solitudine; e le viene in mente suo padre (che non era, no, silenzioso e diffidente come sua madre) quando la gettava dalla barca in acqua perché imparasse a nuotare. Ha avuto ragione, suo padre: ha imparato a nuotare, l’ha imparato proprio bene, ancora le sembra di fendere a lunghe, calme bracciate l’immenso spazio che pur l’allontana sempre più dalla sua giovinezza.24

Così invece la protagonista Lisa nel Vento sulla sabbia:

Tutto è crollato, svanito o trasformato. I sabbioni sono diventati, mi dicono, un orribile quartiere affollato, percorso da strade di asfalto, con case altissime che in basso sono sventrate da volgari botteghe e caffè dove risuonano a tarda notte le strazianti voci delle radio; spariti i dattolieri, le tortore e le allodole, le belle spiagge sepolte sotto i lungomare di grigio cemento, e il Sans Souci, soffocato dalle costruzioni che gli sono cresciute intorno, è un modesto collegio per ragazze orfane; e io sono contenta di non aver veduto le inevitabili deturpazioni fatte dal tempo e da quello che ironicamente dovrei chiamare progresso, e di poter ricordare invece la dolce curva della baia deserta, il fremito dell’acqua, le sabbie vergini, anche se rivedendo ogni cosa con gli occhi della memoria sento cadermi sull’animo una vaga malinconia, perché è alla giovinezza perduta che mi guidano i ricordi.25

Note

1 E. Cecchi, Prefazione a F. Cialente, Cortile a Cleopatra, Firenze, Sansoni, 1953, pp. 7 e 10.

2 Le citazioni sono tratte dalla più recente edizione a mia cura di F. Cialente, Un inverno freddissimo, Milano, Nottetempo, 2022. Tra gli interventi critici sulla riedizione si segnala il contributo di Alberto Casadei, da cui si cita: «si coglie subito una cifra stilistica che ci conduce a Virginia Woolf, specie quella di La signora Dalloway e Al faro – cui forse viene reso un implicito omaggio nella parte finale del testo, dove si legge che Camilla lavora a un “calzerotto”, proprio come Mrs Ramsay», Fausta Cialente. Il femminismo inizia in soffitta, in «La Lettura – Corriere della Sera», 20 novembre 2022. Nel romanzo la protagonista lavora spesso a maglia: si pensa anche a Conrad, autore molto amato da Cialente, che in Cuore di tenebra (1899) fa avviare la narrazione attraverso la metafora della tessitura: «two women, one fat and the other slim, sat on straw-bottomed chairs knitting black wool», J. Conrad, Heart of Darkness, ed. by R. Kimbrough, London-New York, Norton & Company, 1988 (1963), p. 13.

3 In una lettera del 13 agosto 1982, Cialente ringrazia Carlo Bo per la sua prefazione alla ristampa Mondadori di quell’anno: «Egregio Professore, ricevo da Mondadori copia della prefazione che Lei ha dedicato al mio assai vecchio primo romanzo, “Natalia”, e la ringrazio di tutto cuore. L’esame così preciso (e lusinghiero) che lei ne ha fatto è come una rivelazione – direi uno specchio! – tanto di me stessa quanto del personaggio. Cinquant’anni sono molti, per ambedue, e mi auguro che ai lettori di oggi, se ne avrò! non risultino troppi; a me rimane tuttora una strana sensazione per quell’aver scritto – dopo essere arrivata in Egitto ed aver avuto lo spettacolo inatteso d’un paese e di gente tanto differenti e particolari – sulla vecchia provincia italiana e le sue figure, tra le quali era trascorsa la mia infanzia e la mia giovinezza. La sua prefazione e la data che avverte con precisione la compiuta scrittura del libro saranno, spero, osservate dai futuri lettori. Spero che Lei si ricordi di me e del nostro incontro a Enna quando ebbi il piacere di conoscerla personalmente. Di nuovo la ringrazio e le invio i miei più cordiali saluti», F. Cialente a C. Bo, Trevisago (Varese), 13-8-82, lettera conservata nell’Archivio Urbinate della Fondazione Carlo e Marise Bo. Si ringrazia la direttrice Ursula Vogt, e le eredi di Cialente per aver acconsentito a darne notizia.

4 Per una ricostruzione delle vicende biografiche si veda la voce dedicata a Cialente a cura di Nunzio Ruggiero, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2017. Per un profilo critico dell’autrice si rimanda alla più completa monografia dedicata alla scrittrice, F. Rubini, Fausta Cialente. La memoria e il romanzo, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2019, e in particolare, per Un inverno freddissimo, le pp. 93-106 e 322-365.

5 Il diario fu donato al Centro Manoscritti nel 1998 dalla figlia di Cialente, Lionella Terni Muir. Cfr. E. Carbé, La scrittura necessaria. Il diario di guerra di Fausta Cialente, Roma, Artemide, 2021. Notizie del diario sono fornite da F. Rubini, «Diario di guerra» (1941-47) di Fausta Cialente. La memoria e il racconto, in «Bollettino di Italianistica», 1, 2014, pp. 61-83; Ead., «Middle East» di Fausta Cialente, ivi, pp. 139-152; Ead., “Fronte unito” 1943-1945. La Resistenza lontana, in «Storia e problemi contemporanei», 68, gennaio-aprile 2015, pp. 31-48; Ead., Un’italiana che parlava agli italiani. Fausta Cialente redattrice di Radio Cairo, in «Italia contemporanea», 281, 2016, pp. 57-81 (poi in Ead., Fausta Cialente cit.). Alcuni stralci del diario sono pubblicati in M.S. Palieri, Radio Cairo. L’avventurosa vita di Fausta Cialente in Egitto, Roma, Donzelli, 2018.

6 F. Cialente, Un inverno freddissimo cit., p. 58.

7 Ivi, p. 26. Le vicende del rientro di Enzo ricordano quelle dell’amico e collaboratore di Cialente, Renato Mieli, arrivato in Italia nell’inverno del 1943, cfr. E. Carbé, La scrittura necessaria cit., pp. 154-159.

8 E ancora, nel romanzo, in riferimento a Guido: «in un angolo della scena, rannicchiata su un lettuccio o un divano potrebbe starci una bella ragazza ansiosa, che forse ama quel giovane. Il personaggio donna non è assolutamente necessario, secondo lui, serve solo di contorno, a dargli troppo spago diviene ingombrante. Una cosa sono le regine scespiriane, la madre di Amleto, lady Macbeth, Cleopatra; quelle sì che contano e hanno misura, non queste ragazzette sculettanti con le mammelle che ballonzolano dentro il vestitino», F. Cialente, Un inverno freddissimo cit., p. 90.

9 Ivi, p. 143. Ma veda anche, oltre: «il fantasma della ragazza sepolta nel fiume, l’immagine del suo “cuore infranto” ondeggiavano per un poco», ivi, p. 230. Il tema del fiume torna anche in una descrizione della soffitta: «sembrava di nuovo galleggiare attraverso uno spazio misterioso e nel silenzio che in certe ore la circondava si poteva avere l’impressione che la casa sorgesse da una morta laguna o sulle rive di un estuario addormentato e di là affluissero in un moto quasi impercettibile le onde di quel lento fiume caliginoso» ivi, p. 247.

10 B. Mellarini, Tempo ricostruito, tempo da ricostruire: Fausta Cialente all’ombra di Proust, in Non dimenticarsi di Proust. Declinazioni di un mito nella cultura moderna, a cura di A. Dolfi, Firenze, Firenze University Press, pp. 265-292.

11 F. Cialente, Un inverno freddissimo cit., pp. 72-73.

12 G. Zampa, Un racconto politico, in «La Stampa», 11 maggio 1966.

13 All’uscita della recensione, Cialente scrisse un ringraziamento a Carlo Bo: «Egregio Professore, Le sono molto grata per il generoso e attento esame ch’Ella ha voluto fare del mio “Inverno freddissimo”. Come sempre accade, la limpida intelligenza del critico fa da specchio all’autore, cioè lo spiega e lo rappresenta a sé stesso – e anche di questo La ringrazio». F. Cialente a C. Bo, Trevisago (Varese), 23 Maggio 1966, Archivio Urbinate della Fondazione Carlo e Marise Bo (cfr. supra, nota 4). L’archivio conserva anche una terza lettera (si rimanda ad altra sede un commento esaustivo) in cui Cialente ringrazia per la recensione alle Quattro ragazze Wieselberger, apparsa sul supplemento letterario del «Corriere della Sera» (Memorie che diventano visione morale, 30 maggio 1976): «non solo per l’attento esame dell’opera, ma l’aver aggiunto quelle citazioni, scelte a sostegno del suo generoso giudizio, mi ha molto confortata; perché è assai raro che in una recensione il critico si dia la pena di farlo, e invece è tanto importante suggerire il “tono” dell’autore, specialmente quando si tratta, com’è stato messo nel titolo, di una “visione morale” del passato»), F. Cialente a C. Bo, Roma, 31 maggio 1976, Archivio Urbinate della Fondazione Carlo e Marise Bo.

14 S. Castelli, Disperato ritratto di donna, in «l’Avanti!», edizione romana, 9 giugno 1966.

15 C. Salinari, Fausta Cialente: la scrittura della memoria, in «l’Unità», 14 giugno 1966.

16 Ibidem.

17 In «Il Popolo», 7 luglio 1961, poi in Id., Letteratura e verità, Milano-Napoli, Ricciardi, 1963.

18 L. Baldacci, Vigevani e la Cialente abbandonano la via della memoria, in «Epoca», 10 luglio 1966.

19 In «Nuova Antologia», ottobre 1966, pp. 261-263: p. 262.

20 Pubblicato in DVD nel 2008 all’interno della collana «I grandi sceneggiati della televisione italiana» di Fabbri Editori.

21 Per la storia dello sceneggiato e della sua ricezione si rimanda a F. Rubini, Fausta Cialente cit., pp. 130-149.

22 F. Cialente, Introduzione a Interno con figure, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. XIII.

23 F. Cialente, Un inverno freddissimo cit., p. 78.

24 Ivi, p. 58.

25 F. Cialente, Il vento sulla sabbia, Milano, Mondadori, 1972, p. 178.