Massimo Rizzante,
Non siamo gli ultimi
Simona Carretta

Massimo Rizzante, Non siamo gli ultimi. La letteratura tra fine dell’opera e rigenerazione umana, Milano, Effigie, 2009.

Ultime notizie dal regno di Literaturistan. Questo è il nome con cui nel saggio Non siamo gli ultimi. La letteratura tra fine dell’opera e rigenerazione umana Massimo Rizzante designa ciò che resta oggi della letteratura – e dell’umanità che ne è plasmata –, dopo la «fine della Repubblica delle Lettere». Questa svolta sembra essere segnata dalla disgregazione di quei valori che fino alla metà del secolo scorso la letteratura era ancora in grado di riconoscere e proteggere: promuovere l’opera «come luogo di apprendimento per la vita» e non come semplice strumento di evasione; comprendere gli obiettivi cognitivi che contraddistinguono le varie arti letterarie e che ne scandiscono la loro storia; valorizzare i «limiti» di ogni arte, ovvero puntare sulla specifica missione conoscitiva che differenzia, ad esempio, il romanzo dalla poesia o dal saggio, e che ne costituisce così la sua raison d’être. Nel regno di Literaturistan, secondo Massimo Rizzante, ciò viene negato dall’attuale tendenza a confondere tutti i generi letterari nell’unico e vago concetto di «scrittura» (annacquata eredità della critica e del pensiero filosofico degli anni Sessanta), a cui tutti ormai si dedicano nella più completa ignoranza del patrimonio costituito dalla tradizione delle singole arti. Altro valore in declino nella «ex Repubblica delle Lettere», celebrato da Rizzante in diversi capitoli del suo libro, è l’attenzione rivolta all’invenzione formale, all’arte della composizione, che permette al romanzo di scoprire sempre nuovi aspetti dell’esistenza e che oggi invece risulta trascurata dagli autori, a profitto esclusivo del plot. Si tratti di cronache di vita vissuta che giovani autori confessano nei cosiddetti romanzi generazionali o di peripezie di maghi e folletti, è soprattutto l’intreccio, la trama ad attirare i lettori, al punto che Il Signore degli anelli, fino a qualche decennio fa ritenuto semplicemente un bel libro per l’infanzia, è ormai considerato «l’opera letteraria del XX secolo». Così vanno le cose all’epoca della «fine dell’opera»: la progressiva scomparsa dei criteri che un tempo regolavano il rapporto tra gli individui e la letteratura avviene parallelamente a un processo di infantilizzazione della società; la riduzione dell’opera da termine di confronto a semplice «décor» priva l’umanità della possibilità di rapportarsi alla sua storia, condannandola a un «eterno presente». Non siamo gli ultimi ripropone alcuni temi già affrontati dall’autore nelle sue due raccolte di poesia Lettere d’amore e altre rovine (Biblioteca cominiana 1999) e Nessuno (Manni 2007), e nel suo precedente saggio sul romanzo, L’Albero (Marsilio 2007). Se in quest’ultimo Rizzante tentava di tracciare una mappa estetica del romanzo europeo ed extraeuropeo secondo una prospettiva sovranazionale, in Non siamo gli ultimi l’obiettivo principale sembra essere quello di una perlustrazione della società contemporanea, condotta tuttavia sempre alla luce rischiarante del romanzo. Nel capitolo che chiude la prima delle tre parti che compongono il saggio, Rizzante spiega che il destino di immaturità che incombe sugli uomini, ancor meglio che da Freud, era stato pronosticato come possibilità umana nei romanzi di Svevo e Gombrowicz. Così, davanti alla progenie di «infantosauri» – questa «specie che non sarà mai adulta fino al giorno della sua creazione» – che popola il mondo contemporaneo, Rizzante si rende conto che quella che si sta manifestando è solo una delle tante possibilità esistenziali che l’uomo ha scelto di esplorare. Così non manca di ricercarne altre, da contrapporre come antidoti. Nelle pagine dei Beati anni del castigo di Fleur Jaeggy, ad esempio, la stessa struttura compositiva dell’opera, modellata sulla «forma del ricordo», è indice della capacità di rielaborare in maniera essenziale il passato e chiave per la salvaguardia dell’identità individuale; in quelle di Second adieu di Sylvie Richterová, scrittrice ceca di stanza in Italia dall’epoca della Primavera di Praga, i personaggi romanzeschi, tutti esuli in continuo pellegrinaggio da una parte all’altra del mondo, sono alle prese con la stesura della loro biografia, dimostrando così di non poter rinunciare alla sfida di ricomporre in maniera unitaria un’esistenza altrimenti destinata a risultare frammentaria e disgregata. Non a caso la seconda sezione di Non siamo gli ultimi, i cui capitoli sono quasi interamente dedicati all’analisi di questi romanzi-antidoti, è intitolata Il fiore inosservato della bellezza. Rizzante sembra suggerirci che il rimedio per sottrarsi alla tirannia del proprio tempo che assedia i «figli dell’eterno presente», consiste nel non avvalersi della letteratura come di uno specchio da cui attendersi semplice conferma di ciò che già sappiamo, di ciò che già siamo, né di ergersi a giudici dei desideri umani, per quanto questi sembrino rovinosi, ma, al contrario, di addentrarsi nelle opere letterarie come nei meandri di un tunnel, alla ricerca dei nuovi modi di interrogarsi dell’uomo.