Louise Glück,
Averno
Maria Chiara Sisi

Louise Glück, Averno, trad. it. di M. Bacigalupo, Libreria Dante & Descartes- Editorial Parténope, Napoli-Orihuela, 2019; poi Milano, Il Saggiatore, 2020.

«Averno. Dal latino Avèrnus. Laghetto craterico a sedici chilometri a ovest di Napoli, che i Romani credevano fosse l’ingresso dell’oltretomba». Con queste parole la poetessa americana Louise Glück decide di aprire la sua decima raccolta di poesie: Averno (2006). Non rimanere colpiti dalla laconicità di questa epigrafe, che si staglia sulla pagina bianca riconducendoci in quel luogo mistico dove vita e morte confinano e s’incontrano, è impossibile. La raccolta, egregiamente tradotta da Massimo Bacigalupo nel 2019 per Dante & Descartes – Editorial Parténope, viene ripubblicata nella stessa traduzione dal Saggiatore nel 2020; nell’anno, cioè, in cui Louise Glück è insignita del premio Nobel per «per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale». Ed è allora che, finalmente, la già pluripremiata poetessa americana comincia ad acquisire una fama internazionale, scavalcando i confini del mondo anglofono. Nel giro di pochi anni le sue raccolte vengono tradotte e diffuse impressionando i lettori di tutto il mondo con la loro intensa carica emotiva. Al momento il lettore italiano può disporre di cinque volumi della Glück1, ma è forse proprio in questa sua raccolta che con più evidenza si racchiude per intero il genio della poetessa americana.

Le diciotto poesie contenute in Averno concentrano, con tipica schiettezza, il tema più caro alla poetica della Glück: la tensione fra la vita e la morte. Sembra riduttivo, infatti, definire Averno un tradizionale «viaggio agli inferi»3 come propone José Vincente Quirante Rives nella postfazione della traduzione italiana: a ben guardare, le poesie della raccolta si soffermano su quel lasso di tempo che è propriamente la vecchiaia, quando la morte è presagita, sentita vicina, ma non ancora vissuta. Per così dire la Glück non discende negli Inferi ma si stanzia sulla loro soglia, sulla riva del lago Averno. Molte delle poesie nel volume descrivono questo stato intermedio, di confine fra la vita e la morte, fra l’esistenza e l’annullamento. Ed è così che nelle frequenti descrizioni paesaggistiche vediamo l’autunno cedere lentamente il passo all’inverno, o il tramonto sfumare verso il buio della notte; vediamo, insomma, la vita progredire verso la sua fine. Magistrale in questo senso il quarto frammento di Ottobre, dove la luce dell’autunno diviene simbolo della vecchiaia che avverte l’inesorabilità della morte:

La luce è cambiata;
ora il do centrale ha un suono più cupo.
E i canti del mattino suonano troppo studiati.
Questa è la luce dell’autunno, non la luce della primavera.
La luce dell’autunno: non sarai risparmiata.
I canti sono cambiati; l’indicibile
vi è penetrato.
Questa è la luce dell’autunno, non la luce che dice
sono rinata.
Non l’alba della primavera: ho faticato, ho sofferto, sono stata liberata.
Questo è il presente, un’allegoria dello spreco.

Glück ci trasporta in quel periodo della vita umana in cui il corpo appartiene ancora alla terra, ma l’anima già si prefigura il suo futuro lontana da essa. Ed è in questo interludio che il talento della poetessa si rivela ancora più profondo. Assecondando il naturale decorso del pensiero l’anima viene ritratta mentre, a un passo dalla morte, si aggrappa ancora alla vita. In Averno la morte non è ancora stata vissuta, è un orizzonte che suscita le riflessioni della poetessa e dissotterra il percorso di una biografia. Così sulle pagine della raccolta non mancano né riflessioni filosofiche né ricordi di gioventù. In Echi ad esempio convinzioni personali sulla morte s’intrecciano spontaneamente con ricordi della propria vocazione artistica, i dubbi irrisolti, le domande inevase.

1.
Una volta che potei immaginare la mia anima
potei immaginare la mia morte.
Quando immaginavo la mia morte
la mia anima moriva. Questo
lo ricordo distintamente.
Il mio corpo persisteva.
Non prosperava, ma persisteva.
Perché non so.

2.
Quando ero ancora molto giovane
i miei genitori traslocarono in una piccola valle
circondata da monti
nella cosiddetta regione dei laghi.
Dal nostro orto
potevi vedere i monti
innevati, persino d’estate.
Ricordo una pace di un tipo
che non ho più conosciuto.
Un po’ più tardi, mi sono prefissa
di diventare un’artista,
per dare voce a queste impressioni.

3.
Il resto l’ho già detto.
Alcuni anni di scioltezza, e poi
il lungo silenzio, come il silenzio nella valle
prima che le montagne ti rimandino
la sua voce trasformata nella voce della natura.
Ora questo silenzio è il mio compagno.
Chiedo: di cosa è morta la mia anima?
e il silenzio risponde
se la tua anima è morta, di chi è la vita
che stai vivendo e
quand’è che sei diventata quella persona?

Affiorano qui distintamente alcune delle tematiche fondamentali della poetica della Glück: riflessioni esistenziali, natura e storia intima dell’io, tratti ricorrenti già nelle raccolte precedenti che si piegano qui all’universo di Averno, portavoci del sentimento di un’anima ai confini estremi della vita. L’autobiografia è quindi un punto di partenza, una cornice imprescindibile in tutto il volume, ma non l’unico.

Sarebbe in effetti un errore omettere l’importanza della componente mitologica nella raccolta. Il titolo per primo ci offre una direttrice, una strada da seguire. Tuttavia il rilievo maggiore nell’insieme è da attribuire alla figura di Persefone, protagonista di ben quattro poesie contenute nella raccolta. Il mito della dea costretta a vivere scissa fra la terra e l’Ade è scandagliato minuziosamente, in ogni sua implicazione. Ognuna della quattro poesie su Persefone incarna una prospettiva diversa sulla sua storia. Il punto comune di tutte rimane la scissione fra la vita e la morte, fra la primavera e l’inverno, fra la madre e l’amante. Con un procedimento che le è congeniale Glück si riappropria del mito e lo interroga alla ricerca di una qualche risposta sulla vita, sulla natura umana e i suoi misteri. Mito e pensiero s’intrecciano con sorprendente naturalezza. L’esempio, in Averno, può essere rintracciato in Persefone l’errante, la prima poesia dedicata alla dea:

Dicono
che c’è una spaccatura nell’anima umana
che non fu costruita per appartenere
interamente alla vita. La terra

ci chiede di negare questa spaccatura, una minaccia
mascherata da suggerimento —
come abbiamo visto
nella storia di Persefone
che andrebbe letta

come una contesa tra la madre e l’amante —
la figlia è solo carne.

Quando la morte la confronta, non ha mai visto
il prato senza le margherite.
All’improvviso lei non sta più
cantando le sue canzoni verginali
intorno alla bellezza
e fecondità di sua madre. Dove
è la spaccatura, è la rottura.

Canto della terra,
canto della visione mitica della vita eterna —

La mia anima
frantumata dalla tensione
di cercare di appartenere alla terra —

Cosa farai,
quando sarà la tua volta nel campo col dio?

Riecco qui il cuore pulsante della raccolta: ci troviamo ancora una volta, di fronte alla scissione fra la terra e l’Ade, nuovamente siamo sulle rive del lago. Se è vero che Louise Glück nella raccolta ci porta all’ingresso dell’Inferno, è anche vero che si ferma di fronte alle acque lacustri, non si avventura oltre; e qui descrive i suoi stati d’animo, ci apre la sua psiche. E non si può non rimanere sorpresi dalla semplicità del linguaggio, dall’andamento colloquiale e diretto dei versi, dal dialogo profondo e appassionato con cui la mente della poetessa sa incontrare quella del lettore.

Note

1 L. Glück, Ricette per l’inverno dal collettivo (2022), Notte fedele e virtuosa (2021), Ararat (2021), L’iris selvatico (2020), tutte pubblicate da il Saggiatore.