La matuška Rus’
Živago e la Rivoluzione nelle prime
letture degli intellettuali italiani

Alessandra Reccia

La rivoluzione è scoppiata senza intenzione, come un sospiro troppo a lungo trattenuto

Una necessaria premessa

Nel novembre del 1957 Giangiacomo Feltrinelli pubblicava in anteprima mondiale Il dottor Živago di Boris Pasternak: il primo best seller della moderna industria culturale italiana.1

La vicenda editoriale è abbastanza nota.2 Sergio D’Angelo, giornalista di Radio Mosca e talent scout letterario, ingaggiato da Feltrinelli porta in Italia il manoscritto del romanzo, che intanto attendeva una regolare edizione sovietica. La pubblicazione in Urss fu poi bloccata per motivi politici, ma l’editore milanese, allora iscritto al Pci, diede il libro alle stampe, nonostante gli interventi di Chruščëv e le intimidazioni di Togliatti. Lo scoop editoriale che seguì fu senza precedenti. Si susseguirono in pochissimi mesi una trentina di edizioni del libro, che divenne, per mezzo di recensioni e discussioni su rotocalchi e quotidiani, un vero e proprio caso mediatico, al centro del quale c’era la censura sovietica e l’attacco al poeta.

Questioni estetiche e ragioni politiche si richiamavano a vicenda, immettendo il libro nel dibattito ideologico dell’Italia della Guerra fredda post-staliniana.

Sessant’anni dopo, venuto meno il contesto storico nel quale il romanzo era nato e al quale si opponeva, non sembra inutile interrogarsi sull’attualità di alcuni dei temi dibattuti all’epoca della sua prima ricezione e, in particolare, su quello della rivoluzione, percepito fin dalle prime letture come il centro dominante del contenuto e fatto oggetto privilegiato del dibattito.

L’arco temporale coperto dalla trama – dal 1905 a tutta la guerra civile, con un breve epilogo ambientato nel 1929 – costituiva infatti un giudizio sulla storia russa post-rivoluzionaria, alla luce dell’esperienza stalinista.

Valutare il giudizio di Pasternak sulla sua epoca significò, di fatto, discutere la questione dell’eredità rivoluzionaria nel futuro del Comunismo occidentale, e in particolar modo italiano, dopo Stalin.

Živago e il mare della Rivoluzione

La Rivoluzione fu senz’altro il tema all’origine delle polemiche riguardanti il libro e della sua censura, nonché della campagna diffamatoria a mezzo stampa che l’autore fu costretto a subire.

Già i redattori del «Novyj Mir», rifiutandone la pubblicazione, l’avevano individuata come la parte compromettente del contenuto: «Il vostro romanzo», avevano scritto a Pasternak, «è permeato da uno spirito di ostilità verso la Rivoluzione socialista».3

C’è da dire che nello Živago, nonostante siano esplicite le critiche ai processi di collettivizzazione e omologazione della società sovietica all’indomani del Diciassette, non è mai veramente dichiarato un atteggiamento controrivoluzionario.

Inoltre, per quanto il processo di degenerazione sociale sovietico sia letto in continuità con i fatti storici del 1905, del 1917 e della Guerra civile, non pare comunque sia stabilito tra questi un rapporto di necessaria continuità. Se il filo degli eventi, cioè, delineava già quella che sarebbe stata la parabola staliniana, essa non era tuttavia da considerarsi ineluttabile.

Persino la Rivoluzione, nel suo realizzarsi come destino di un paese e di un popolo, si costruisce nel romanzo mediante relazioni casuali, coincidenze fortuite, momenti separati, piuttosto che consequenziali:

è come se una raffica di vento avesse strappato il tetto a tutta la Russia, e noi con tutto il popolo ci fossimo trovati di colpo allo scoperto, sotto il cielo […] è una libertà ottenuta per caso, per sbaglio.4

In questo senso, nello Živago destini individuali e generali coincidono, in quanto il caso contribuisce a determinarli in maniera significativa.

Non c’è dubbio, comunque, che sia la Storia a dominare l’uomo e mai il contrario.

Da qui l’impressione, che fu di molti tra i primi lettori, che il romanzo raccontasse di vite piegate, travolte da una forza superiore e ostile.

Tuttavia va detto, rispetto a questa interpretazione, che la Rivoluzione nello Živago non è soltanto un simbolo che indica in maniera astratta la forza della Storia. Essa mantiene invece il suo carattere concreto, di fatto determinato, accaduto in un luogo e in un momento specifici e, soprattutto, di evento irripetibile.

Anzi, il Diciassette è riconfermato sul piano storico come necessario e imprescindibile, un punto di non ritorno, come afferma il vecchio Aleksandr quando dice:

Questo potere è contro di noi, ma non accetterei neppure in regalo l’azienda secondo i vecchi principi, sarebbe come mettersi a correre nudi o dimenticare l’alfabeto.

Tuttavia è chiaro che per Pasternak quell’evento storico non è ancora collocabile nel passato, ma è piuttosto una ferita aperta, un problema del presente, una questione storica e politica viva e irrisolta. La lettura storica non è quindi univoca.

Per la prima volta in un’opera letteraria la Rivoluzione è presentata come un processo contraddittorio e, anche, come una promessa tradita, anche se, come già accennato, per Pasternak il fatto che gli esiti staliniani fossero già nella premessa rivoluzionaria non è dato per certo, né per scontato, come lo sarà, ad esempio, quasi vent’anni dopo per il Solženicyn di Arcipelago Gulag.

Lo Živago non dà un giudizio storico definitivo, lasciando piuttosto la questione aperta.

Questo contenuto complesso, all’indomani dei fatti del ‘56 pone, nel dibattito politico italiano, il problema ideologico dell’eredità rivoluzionaria nel destino socialista e ciò è vero anche se spesso accade che quanto più i primi commentatori parlino di Rivoluzione, tanto più eludano la questione ideologica, riportata piuttosto a contingenti dinamiche politiche e di posizionamento o ad astratte considerazioni estetico-teoriche.

Questioni di Partito. Alicata e Salinari

Sulla scorta dell’abiura ufficiale, anche in Italia il tema della Rivoluzione poteva essere utilizzato per classificare lo Živago come un’opera antisovietica, e non soltanto dai comunisti.5

In questo contesto va collocata la reazione, innanzitutto difensiva, di alcuni interventi di Partito, tra cui quello di Mario Alicata il quale, sostenendo le ragioni editoriali del «Novyj Mir», giudicò il romanzo «inopportuno» e «apertamente controrivoluzionario», poiché veniva utilizzato dalla propaganda reazionaria per sostenere «l’offensiva politica e ideologica» del mondo capitalistico, con lo scopo di «trasformare l’autocritica di determinati errori compiuti dal XX in un attacco contro la rivoluzione socialista e il socialismo come sistema».6

Alicata, pur intervenendo esplicitamente in qualità di dirigente del partito, non rinunciò a tirare in ballo motivazioni letterarie. L’oggettivazione del discorso politico nel suo scritto avviene anzi tramite il filtro del più generale linguaggio estetico-letterario. Persino l’aggettivo «controrivoluzionario» è esplicitamente usato nell’accezione critica desanctisiana.7 È da notare che questo intervento, apparso immediatamente dopo la proclamazione del Nobel a Pasternak, fu scritto con l’intento dichiarato di presentare le ragioni delle autorità sovietiche, condivise ufficialmente dal Pci, pur criticando, almeno formalmente, l’atto censorio di cui il libro era stato fatto oggetto.

L’avvicendarsi di questioni estetiche e politiche è una caratteristica anche dell’articolo di Carlo Salinari,8 basato sul paragone tra il Dottor Živago e il Placido Don di Šolochov, un’importante opera sovietica, scritta tra il 1928 e il 1940 e la cui versione integrale appariva in Italia in quello stesso periodo.

Entrambi i romanzi affrontano lo stesso tema, ovvero le ripercussioni e le conseguenze nella vita privata e collettiva dei russi, in termini pubblici e privati, delle violenze protrattesi durante e in seguito la Rivoluzione bolscevica. Tuttavia si tratta di opere totalmente diverse, la cui distanza è indicata da Salinari nelle differenti prospettive ideologiche dei due autori: borghese il primo e contadino l’altro.

A partire dalla convinzione che differenti posizioni estetiche richiedano non un «apprezzamento di gusto» ma una «scelta di tendenza», Salinari pone una barricata, chiedendo di scegliere tra il realismo di Šolochov e il «decadentismo lirico» di Pasternak.9

Il giudizio sul decadentismo del romanzo si basava tutto sull’atteggiamento del protagonista nei confronti della Rivoluzione. La prima adesione spontanea ai fatti del 1905 e poi del 1917, in parte confermata in alcuni passaggi del libro, degenererebbe poi, per mezzo di una «involuzione psicologica» del personaggio, in un rifiuto del processo rivoluzionario, considerato un tradimento dello «spirito illuministico russo del Settecento». In questo modo si collegava Pasternak alla generazione dei poeti russi «pre-sovietici e pre-marxisti» i quali, in linea con il coevo decadentismo europeo, propugnavano un’ideologia misticheggiante «che va alla ricerca di un segreto ed ineffabile valore della vita».

Ciononostante per Salinari restano «indimenticabili» alcuni passaggi dello Živago, la cui forza attrattiva però non è mai indagata criticamente, ma accettata nostalgicamente, tanto che il libro è raccolto tutto nell’immagine di «un tramonto, anche splendido in certi casi, ma pur sempre un tramonto», da cui però non può non sentirsi attratto:

i boschi, le pianure russe, il profilo dolcissimo di Lara, le notti paurose, le albe, il rifiorire della primavera e uno degli amori più belli forse della letteratura mondiale degli ultimi anni.

Uno spaccato sul socialismo reale: Calvino, Cases

La critica al “decadentismo” del libro fu anche utilizzata per sminuire la forza estetica del romanzo, collocandolo in una tradizione letteraria sorpassata e di tipo occidentale. Molti intellettuali, pur se per ragioni diverse, criticarono il romanzo dal punto di vista letterario come un’opera tutto sommato incompleta, in bilico tra le grandi narrazioni ottocentesche e la dissoluzione del romanzo europeo novecentesco.

Anche Carlo Muscetta, pur criticando aspramente la censura sovietica da un lato, e l’intervento di Alicata, dall’altro, non esitò a parlarne come di un «fallimento», di un romanzo non riuscito, di cui la pubblicazione in patria sarebbe stata auspicabile in quanto avrebbe fornito finalmente «l’occasione buona di un vasto dibattito su quel decadentismo di cui in Urss troppo spesso si parla per sentito dire».10

Italo Calvino, pur evitando di usare l’aggettivo “decadente”, ricondusse questa motivazione estetica al tema della Rivoluzione presente nel libro: «Pasternak, in maniera sua propria, diversa da quella occidentale», ripercorreva le vie principali della dissoluzione del romanzo, tipica della contemporaneità.11

A conferma di questo giudizio, lo scrittore italiano notava che gli eventi del 1905 prima e del 1917 poi sono raccontati dal protagonista in forma mitica. Alla fine, ciò che resta della Rivoluzione è tutto ciò che essa sarebbe potuta essere e che non è stata. Ne risulterebbe un’idea nostalgica della storia, indice di una visione «spontaneistica» della vita e fonte dell’ideologia negativa del protagonista, per il quale non c’è possibilità alcuna di intervenire nei processi storici per determinarli: la sfiducia del tutto che si trasforma nella sua conferma.

Questo giudizio estetico è usato da Calvino per sviluppare una considerazione ideologica di fondo, che non critica Pasternak, né Živago, ma il sistema sovietico.

Il fatto stesso, infatti, che una simile visione della storia sia generalizzata nel primo romanzo sovietico critico nei confronti dell’ideologia ufficiale indicava che il socialismo reale aveva fallito nel suo scopo principale, ovvero nel dare all’uomo «il senso di possedere la storia nelle sue proprie mani».12

Anche per Cesare Cases il rapporto Živago-Rivoluzione porta alla luce una considerazione basilare, che riguarda non solo, come già in Calvino, la situazione “oggettiva” del Socialismo in Urss, ma anche e soprattutto quella “soggettiva” dell’intellettuale comunista di fronte a una nuova consapevolezza sulla realtà sovietica.

ciò che urta il lettore socialista non è tanto questo o quel preciso giudizio ideologico o politico, bensì la continua e consapevole dissociazione di quegli opposti che egli è abituato a considerare come dialetticamente uniti.13

Cases indaga il suo pregiudizio di lettore occidentale e comunista, impiegando le strutture estetico-teoriche lukacsiane.

Poiché Živago non è semplicemente il doppio del suo autore, ma un simbolo del suo popolo, dello stato della coscienza storica collettiva dei russi, la visione negativa che egli esprime andava interpretata come un contenuto generalizzato della realtà sovietica e non come semplice riflesso della visione di classe dell’autore. Ne derivava una verità storica e cioè che l’impostazione staliniana della vita, che aveva voluto superare le dicotomie con la violenza, aveva finito invece per radicarle nella coscienza sovietica, inficiando così di fatto la promessa rivoluzionaria.

Il dato, per quanto negativo, costituiva in tutti i casi una novità assoluta. «Il lettore socialista», concludeva Cases, «non può perciò desiderare che una cosa: che [il romanzo] venga pubblicato in Urss; che appaia tutto quanto è custodito nei cassetti, per virulento che sia; che si ammetta l’esistenza, e il diritto all’esistenza, delle “sopravvivenze del capitalismo nella coscienza degli uomini”».

Individuo e Storia: Moravia

Ma il rapporto Živago-Rivoluzione era molto di più che il riflesso della «coscienza» sovietica, sollevando piuttosto questioni della coscienza comunista occidentale.

Di ritorno da un lungo viaggio in Unione Sovietica,14 durante il quale aveva incontrato Pasternak, anche Moravia si sofferma sul romanzo e, in particolare, sul «contrasto diretto e continuo tra il personaggio e la storia in atto».

Il racconto della breve visita a Peredelkino, il villaggio vicino Mosca dove risiedeva il poeta russo, accompagna e informa la recensione del libro, scritta per il «Corriere della Sera».

Nello spazio ristretto della terza pagina, lo scrittore italiano definisce Il dottor Živago un romanzo storico nel quale le vicende umane e individuali si svolgono e acquistano un senso solo in relazione al complesso degli eventi generali:

il romanzo finisce per essere la storia dei rapporti che possono correre tra un intellettuale e la rivoluzione, ossia tra la persona umana nella sua accezione migliore e più elevata e gli eventi pubblici che la travolgono e la piegano.15

Al centro del libro, dunque, Moravia individuava la lotta tra un’istanza estremamente razionale, e per tanto disumana, rappresentata dalla Storia e l’irrazionalità del sentimento, unica arma che l’individuo Živago può usare per difendersi dagli eventi.

Al centro ancora la Rivoluzione, ma il discorso è spostato su un piano astratto e gli eventi e i personaggi specifici acquistano valore in quanto rappresentazioni simboliche di due forze in tragica opposizione: Storia e Natura.

Anche il giudizio del protagonista sulla Rivoluzione è, in realtà, per Moravia, un giudizio sulla funzione generale delle rivoluzioni nella storia.

Chiaromonte: storia ufficiale e storia vera degli uomini

Il Diciasette però non interessa solo i marxisti. Sia i cattolici più conservatori, come Padre Floridi, sia i democratico-liberali, nelle loro letture si impegnavano nella costruzione di un discorso ideologico alternativo a quello della sinistra intellettuale, ed erano per questo particolarmente interessati al tema rivoluzionario, in particolar modo ai nessi di continuità tra rivoluzione e stalinismo. In queste letture la realtà sociale sovietica, rappresentata nel romanzo ma anche nella storia censoria a cui l’autore e l’opera era sottoposti, era l’unica conseguenza possibile di una pratica socialista.

Rispetto a questa linea interpretativa, il contributo più originale e interessante è quello di Nicola Chiaromonte, per il quale «la rivoluzione russa e i problemi di coscienza che essa pone» sono il soggetto vero e proprio del romanzo, al cui centro c’è il rapporto tra individuo e storia, rappresentato però come «la distanza infinita che separa una coscienza umana dalle violenze della storia».

La contrapposizione di cui si parla è tra «la storia ufficiale» e «la storia vera degli uomini», tipica del romanzo europeo contemporaneo. Però, nell’antinomia pasternakiana la Rivoluzione non è il termine negativo del rapporto, ma presupposto della relazione dialettica. In questo contesto, la coscienza della storia è la consapevolezza dei personaggi di non riuscire a dominare nella propria vita le conseguenze di un evento così radicale. Allo stesso tempo, per Živago questa consapevolezza non è mai una ragione sufficiente per opporre il sogno della propria ed individuale felicità, come del proprio dolore, al destino della collettività. Per questo, l’amore impossibile tra Živago e Lara non può durare,

perché nel loro rifugio in fondo ai boschi i due amanti sono oppressi da un sentimento insopportabile di astrazione dal gran mare di dolore e di speranza che sommerge la Russia.16

Anche l’immagine «epica» che il poeta russo restituisce del Diciassette «comunica la grandezza essenziale dell’evento», tanto che Chiaromonte non può fare a meno di domandarsi se «lo spirito autentico della Rivoluzione russa non si trovi per la prima volta in queste pagine “intatto” da ogni teatralità come da ogni ideologia». In sintesi, il rapporto dei personaggi con la Rivoluzione fonda non solo la dimensione storica, ma anche quella etica e politica del romanzo.

Questa lettura, riconoscendo alla Rivoluzione un carattere «autentico», supera anche quella più comune del rifiuto dell’autore-protagonista nei confronti dei fatti rivoluzionari e che aveva come sbocco “critico” quasi obbligato il discorso sull’antibolscevismo di Živago, a seconda dei commentatori, appoggiato o criticato.

Franco Fortini, una lettura in limine

In questa direzione, anche se per opposti fini, va anche l’intervento sul Dottor Živago di Franco Fortini, intellettuale tra i più attivi nel dibattito critico della sinistra italiana, il quale per primo lesse nelle vicende dello Živago il nesso tra stalinismo, eredità rivoluzionaria e socialismo, in termini lukacsiani, come rappresentazione del conflitto della società sovietica post-stalinista e, allo stesso tempo, come figura della crisi politico-ideologica apertasi nel Comunismo, in seguito alla diffusione del Rapporto segreto.

In questa prospettiva, Pasternak aveva consegnato alla sua opera il difficile, ma necessario, compito di valutare il senso e l’importanza dell’esperienza rivoluzionaria all’indomani della presa di coscienza collettiva dei crimini di Stalin e il suo romanzo si presentava come un «tentativo di risposta agli angosciosi problemi del presente».17

Al centro del libro era per Fortini il conflitto tra il protagonista e la Storia e, quindi, tra istanze soggettive e necessità oggettive. Così, da un lato, esso metteva in luce lo stato di degradazione sociale a cui si era arrivati in Urss e, dall’altro, riproponeva i temi “umani” e di giustizia di cui la Rivoluzione aveva promesso di farsi carico. Le vicende biografiche, tanto del protagonista quanto dell’autore, non erano da leggersi, dunque, come un canto disperato e rassegnato ma, al contrario, come «un episodio della lotta per la liberazione e attuazione dell’uomo».18

In ultima istanza, la critica alla società sovietica espressa nel libro non costituiva una condanna al Socialismo. Anzi, proprio perché, come altrove ebbe a dire, «il diritto di mettere in dubbio (…) è una delle conquiste del genere umano che la Rivoluzione socialista non sopprime, ma porta innanzi e invera»,19 per Fortini con Il dottor Živago «coscientemente o no, in pratica – ossia in poesia – la positività del socialismo non è più messa in discussione».20

La cosa più interessante di questa lettura fortininana consiste nell’individuazione di una bi-frontalità ideologica del romanzo, che però non si trasforma mai in ambiguità, ma che diventa piuttosto il segno di una necessaria dialettica, capace di generare sempre in sé un doppio negativo.

In quest’ottica, l’arte è il luogo «in cui affiora la discrepanza», quello preposto al racconto del «necessario fallimento all’appassionata tensione verso l’identità». E Pasternak è figura: del lato manchevole del discorso comunista e, allo stesso tempo, della sua assoluta necessità.

Il comunismo come promessa, e non già realtà, ma anche come giustizia.

Dal punto di vista più strettamente politico, quindi, nel discorso di Fortini l’antisovietismo di Pasternak risultava irrilevante, mentre restava il senso di speranza prodotto dal fatto che, nonostante tutto, nonostante cioè Stalin, la letteratura in Urss riuscisse finalmente a produrre un’autentica risposta socialista.21

Questa visione sostanzialmente positiva dell’atteggiamento critico di Pasternak sarà smentita dai fatti negli anni successivi. Fallirà infatti il progetto del Disgelo istituzionale e non si svilupperà il “disgelo delle coscienze”, di cui lo Živago gli sembrava essere un segno. Cominciava, al contrario, quel trentennale processo di dissolvimento che porterà, con l’implosione dell’Unione sovietica, al fallimento dell’esperimento socialista novecentesco.

Tuttavia, il tema della rivoluzione nel romanzo ha delle implicazioni ben più profonde e complesse di quelle meramente politiche.

Resta a noi, quindi, l’immagine fortiniana della Rivoluzione come una promessa che attende di essere compiuta.

L’aspetto figurale che il tema così posto assume rende il romanzo ancora attuale e lo configura effettivamente come un classico della letteratura contemporanea.

Per concludere

Ancora oggi, leggendo il romanzo non è difficile notare che l’intera narrazione si struttura a partire dalle relazioni di prossimità o distanza, accettazione o rifiuto, partecipazione o indifferenza tra i personaggi e la loro epoca.

La Rivoluzione, che in un primo momento è rappresentata come una possibilità di espressione autentica dell’umano («mi sembra che il socialismo sia un mare nel quale devono confluire come rivoli tutte queste singole rivoluzioni individuali […], il mare dell’autenticità di ognuno»), momento di conciliazione collettiva («La matuška Rus’ si è mossa»), diventa poi “l’altro da sé”, un elemento estraneo e nemico, che nega l’individuo e non solo dal punto di vista storico-sociale e di classe («Non poteva nascondersi che la vita di un tempo, se stesso e il suo mondo erano condannati»); più profondamente, essa si oppone a qualsiasi forma di soggettività («L’epoca non tiene conto di me, mi impone ciò che vuole. Permettete dunque anche a me di ignorare i fatti»).

Questi differenti punti di vista, a volte contrastanti tra loro, non mutano comunque l’idea pasternakiana che, ad ogni modo, nessuna individualità può realizzarsi indipendentemente dalla Storia.

In questo senso vale la lettura di Chiaromonte, secondo la quale l’amore tra Lara e Živago è impossibile perché esso pretende astrarsi dalla Storia, rifugiandosi nei boschi.

Ma, aggiungiamo, altrettanto impossibile è l’amore di Strel’nikov per Lara e per la Rivoluzione stessa e l’esito tragico di questo personaggio trockiano è il segno che nessun ideale può vivere se perde il legame con il mondo concreto. In questo senso Živago e Strel’nikov sono uno il doppio dell’altro e allo stesso tempo rappresentano due modi estremi e opposti di vivere l’amore come verità e giustizia.

L’epoca rivoluzionaria non è dunque solo lo sfondo su cui si muovono i personaggi, non rappresenta solo la Storia come impedimento allo svolgimento altrimenti normale della vita individuale e sociale. Essa è piuttosto un termine della riflessione che soggiace alla trama e diventa metafora del rapporto tra la promessa di realizzazione del sé e del suo, impossibile, compimento.

A questa immagine, pare ci si possa ancora riferire se, a più di sessant’anni dalla sua prima pubblicazione, lo Živago, tra le altre cose, chiede ancora che Lara sia risarcita dell’ingiustizia subita e se pure ci rivela come tragicamente vani i tentativi tanto di Strel’nikov quanto del protagonista, afferma che la domanda di giustizia, che è alla base del racconto e che fu all’origine del Diciassette, è ancora lontana dall’essere esaudita.

In questo senso, esso ci invita a considerare la Rivoluzione russa non come un evento chiuso in un tempo ormai sorpassato, ma come una questione aperta perché ancora irrisolta.

Note

1 Per una sintesi del dibattito intellettuale italiano sul romanzo di Pasternak nel 1958 cfr. A. Reccia, Diskussija vokrug romana «Doktor Živago», in Pasternak, 1958, Italija, a cura di S. Garzonio e A. Reccia, Moskva, Reka vremen, 2012 e S. Garzonio, 1958-j god – god Pasternaka. Ital’janskie otkliki, in V krugu Živago. Pasternakovskij sbornik, a cura di L. Fleishman, Stanford, Lazar Fleishman, 2000, pp. 221-233.

2 Sulle vicende della pubblicazione del Dottor Živago cfr. P. Mancosu, Živago nella tempesta. Le avventure editoriali del capolavoro di Pasternak, Milano, Feltrinelli, 2015; C. Feltrinelli, Senior service, Milano, Feltrinelli, 1999, pp. 117-211; S. D’Angelo, Il caso Pasternak, Milano, Bietti, 2006; Е.B. Pasternak, Е.V. Pasternak, Perepiska Pasternaka s Feltrinelli, in «Kontinent» 2001, n. 107 e n. 108; «A za mnoj šum pogoni…» Boris Pasternak i vlast’. Dokumenty 1956-1972, a cura di V.Ju. Afiani e N.G. Tomilinoj, Moskva, Rosspen, 2001; К.М. Polivanov, Iz istorii bor’by za publikaciju «Doktor Živago» v SSSR, in The life of Boris Pasternak’s Doktor Zhivago, a cura di L. Fleishman, Stanford, Lazar Fleishman, 2009, pp. 128-141.

3 La lettera della redazione del «Novyj Mir» a Pasternak è stata più volte pubblicata sia in Russia che in Italia. Datata settembre 1956, comparve per la prima volta in Urss dopo lo scandalo seguito all’espulsione del poeta dall’Unione degli Scrittori in seguito alla candidatura di Pasternak al Premio Nobel. Il «Novyj Mir» volle renderla pubblica per confermare che la decisione di non pubblicare il romanzo aveva ragioni estetiche e, certamente, anche politiche ma indipendenti dalle polemiche nate in seguito all’uscita del romanzo, come dimostrava la data della missiva. La traduzione italiana della lettera comparve invece per la prima volta su «Il Contemporaneo», n. 7-8, novembre-dicembre 1958, pp. 131-157, preceduta da una tendenziosa e anonima prefazione.

4 Citiamo il romanzo da B. Pasternak, Il Dottor Živago, trad. it. di P. Zveteremich, Milano, Feltrinelli, 1959.

5 A titolo di esempio si possono citare gli articoli di Padre Floris, Un messaggio di resurrezione dalla Russia cristiana, «Civiltà Cattolica», gennaio 1958, pp. 181-187 e Lionel Abel, Lettera di Abel [a Nicola Chiaromonte] in «Tempo Presente», n. 12, dicembre 1958, pp. 967-972. Quest’ultimo addirittura dichiara di non apprezzare un granché il libro dal punto di vista estetico-letterario, ma di trovarlo ciononostante indispensabile per il significato anti-sovietico che rivestiva.

6 M. Alicata, Pasternak, la verità, la libertà, in «L’Unità», 14 novembre 1958. Poi in Sul Caso Pasternak: un articolo di M. Alicata; una lettera del «Novij Mir», Roma, Editori Riuniti, 1958, pp. 3-10.

7 Come racconta Alicata, nel suo vocabolario estetico De Sanctis definiva «controrivoluzionarie» le opere «parziali», ovvero quelle «incapaci di rappresentare la trama complessa delle vere cause e delle vere ragioni di un grande sconvolgimento storico» (M. Alicata, Pasternak, cit.).

8 C. Salinari, Sciolochov e Pasternak, in «Il Contemporaneo», 18 gennaio 1958.

9 Ibidem.

10 C. Muscetta, Gli eredi di Protopov e il caso Pasternak, in Supplemento scientifico di «Mondo Operaio», 10 ottobre 1958, poi in Gli eredi di Protopov. Dissensi, consensi, indignazioni, Roma, Lerici, 1977, pp. 169, 154 e 173.

11 I. Calvino, Dibattito sul «Dottor Živago», in «Il Ponte», 6, 1958, p. 717.

12 Id., Pasternak e la rivoluzione, in «Passato e Presente», maggio-giugno, 1958, pp. 360-367.

13 C. Cases, Dibattito sul «Dottor Živago», cit., p. 850. La citazione successiva è a p. 852.

14 A. Moravia, Visita a Pasternak, in «Corriere della Sera», 11 gennaio 1958; sul Dottor Živago cfr. anche l’intervento per la rivista «Il Ponte», 6, giugno 1958, pp. 843-844. Il resoconto del viaggio di Moravia in Unione Sovietica è in Id., Un mese in Urss, in Opere complete, vol. 8, Milano, Bompiani, pp. 3-75.

15 Id., Visita a Pasternak, cit.

16 N. Chiaromonte, Il «Dottor Živago» e la sensibilità moderna. Replica di Nicola Chiaromonte, in «Tempo Presente», 12 dicembre 1958, pp. 972-980. Gli interventi di Chiaromonte sullo Živago confluiranno insieme nel saggio Pasternak fra natura e storia, in Id., Credere e non credere, Milano, Rizzoli, 1971, pp. 163-183.

17 F. Fortini, A un sovietico, in Id., Un giorno o l’altro, cit., p. 214.

18 Id., Rileggendo Pasternak, in «Comunità», 58, marzo 1958. Questo articolo insieme all’intervento pubblicato in «Il Ponte», n. 7, 1958, sono confluiti insieme nel saggio Rileggendo Pasternak, raccolto in Verifica dei Poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Milano, Il Saggiatore, 1965 e poi in Id., Saggi e epigrammi, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2003, p. 299.

19 Id., XX Congresso, in Id., Un giorno o l’altro, cit., p. 193.

20 Id., Rileggendo Pasternak, cit., p. 299.

21 Id., Dibattito sul «Dottor Zivago», cit., p. 994.