Sicuramente il crollo dei due blocchi contrapposti e il dispiegarsi della globalizzazione sono stati i principali agenti di cambiamento. Uno dei maggiori effetti di tutto ciò, per quello che è anche la mia esperienza personale (insegno in una scuola media e mi occupo di accoglienza dei ragazzi stranieri neoarrivati in Italia) è stato l’avviarsi di imponenti flussi migratori che hanno creato l’attuale situazione di multietnicità che caratterizza ormai il nostro Paese. Tutto ciò era impensabile trent’anni fa quando ogni gradino della scala sociale era ancora occupato da nostri concittadini. Per quel che riguarda le ricadute sulla mia produzione poetica, direi che mi è aumentata la consapevolezza di scrivere in una lingua tutto sommato minoritaria e in continua evoluzione anche a causa dell’uso approssimativo, ma a volte creativo di tutti questi nuovi italofoni.
2. Molte poesie degli ultimi decenni sono caratterizzate da una forte componente metapoetica e autoriflessiva. L’atto della scrittura viene rappresentato già all’interno del testo, e qui interrogato. Come valuti l’incidenza di questa componente all’interno della poesia contemporanea? Pensi che sia cambiata rispetto alla poesia di trenta anni fa? Che peso ha nella tua scrittura?
Sicuramente la riflessione metapoetica, che comunque è sempre presente nel fare artistico di un poeta minimamente consapevole delle caratteristiche storiche e sociali dell’arte in cui si muove, è maggiormente sollecitata oggi anche a fronte delle considerazioni fatte sopra. Tuttavia sono dell’avviso che tale riflessione è meglio che avvenga prima rispetto alla stesura di un testo e non durante. Temo che troppo spesso, così facendo, si corra il rischio di ridurre un testo poetico ad un mero esercizio tecnico che toglie nerbo al testo e lima sempre più il senso forte del fare poesia. Troppo spesso questo atteggiamento sottintende la convinzione che nulla più ci sia da dire e questo né lo credo né lo vivo né lo scrivo.
3. «Il costituirsi di qualsiasi forma, linguistica o letteraria, comporta caratteri severi di sforzo e progetto […] In questo senso il valore di ogni forma è anche etico-politico, comportando organizzazione, volontà, ascesi, selezione» (Fortini, Sui confini della poesia). Nel passo citato il processo di formalizzazione della poesia sembra implicare per Fortini diverse istanze tutte compresenti: quella straniante che tende ad immettere una forte distanza critica tra soggetto lirico, oggetto poetico e sguardo del lettore; la mascherata conferma di un preciso assetto sociale ed economico; una modalità di recupero della tradizione che diventa, grazie alla specifica progettualità della poesia e alle scelte formalizzanti, flebile ma al tempo stesso tenace anticipazione di un futuro. Come entra in dialogo con queste riflessioni il tuo lavoro di poeta? Di quali significati investi le tue operazioni di formalizzazione?
Una forte distanza critica tra soggetto lirico e oggetto poetico non corrisponde esattamente al mio modo di fare poesia. Certo la distanza c’è e si sente nel momento in cui dall’istanza lirica si deve passare ad un testo scritto in una determinata lingua e, per giunta, un testo tale per cui il lettore lo riconosca come testo poetico e non altro. Ma “forte distanza” mi pare eccessivo, soprattutto se detto da un poeta. Il soggetto lirico e la sua forma sono un po’ come due amanti: si cercano e si trovano più per passione che non attraverso un lucido raziocinio. Io non ho mai preso a tavolino la decisione di come dare forma ad un mio testo e neppure mi è avvenuto di dover cercare un soggetto dal momento in cui avevo in testa di “fare” una forma. Per quel che riguarda l’assetto sociale ed economico, certo che c’è una forte implicazione tra testo poetico e momento storico in cui è stato scritto, del resto è così per le strutture abitative per il senso morale, per i valori e per tutto quanto è conseguenza del, diciamo così, “principio umano”.
4. La traduzione «può essere aspirazione a ricevere da un’opera compiuta nel passato quel sussidio alla completezza che l’operare nel presente, per definizione, non ha» (Fortini, Prefazione al Faust). Ritieni valida l’idea di traduzione come tensione vitale nei confronti di una tradizione? Qual è il tuo rapporto con la traduzione e con la poesia contemporanea in lingua straniera?
Non sono un traduttore, ma il mio rapporto con la traduzione è forte in quanto ne sono una grande fruitrice. Ho letto e leggo tantissima poesia straniera il che mi ha consentito di ampliare di gran lunga la gamma dei toni poetici possibili oltre a mettermi in contatto con forti personalità presenti e passate.
5. Mengaldo ha definito la “funzione Fortini” come «integrale politicità della poesia» (Divagazione in forma di lettera). La politicità della poesia consisterebbe sia nella scelta di rappresentare determinati contenuti politici e sociali, sia nell’uso non conciliante della forma. Riconosci una “funzione Fortini” nella poesia contemporanea? In che modo si rapporta al tuo lavoro?
È difficilissimo per me rispondere a questa domanda. Credo comunque che una forte politicizzazione del testo poetico, il costruire versi che gridino un impegno duro riducano una poesia ad una non poesia. Certo la poesia, se occorre, in momenti cruciali o di fronte a crimini scellerati non deve sottrarsi, ma i suoi modi di denuncia, se vuol rimanere tale e non ridursi a slogan o a ideologia in versi, sono molto più umbratili, trasversali. Questo non impedisce ad un poeta di fare politica in modo attivo, e io non sono contraria a che i poeti lo facciano qualora lo sentano come fortemente necessario, ma in quel caso verranno utilizzati altri mezzi di espressione più diretti e incisivi.