Le trasformazioni decisive sono quelle che tutti conoscono, la fine dell’Unione Sovietica, la globalizzazione, i rapporti con il mondo islamico, l’emergere di nuove potenze come Cina e India. Questo quadro è lo sfondo di ogni scrittura, sia che ne parli direttamente, sia che parli di tutt’altro.
2. Molte poesie degli ultimi decenni sono caratterizzate da una forte componente metapoetica e autoriflessiva. L’atto della scrittura viene rappresentato già all’interno del testo, e qui interrogato. Come valuti l’incidenza di questa componente all’interno della poesia contemporanea? Pensi che sia cambiata rispetto alla poesia di trenta anni fa? Che peso ha nella tua scrittura?
Non mi sembra un gran novità che i poeti parlino della scrittura nei loro testi. Comunque, per fortuna in Italia la componente metapoetica non è invasiva come, ad esempio, in Francia. Mi è capitato e mi capita di scrivere testi sul fare poesia, soprattutto perché, scrivendo in dialetto, è inevitabile affrontare temi linguistici nel senso ampio del termine, dalla poesia alla traduzione ai rapporti fra le lingue. Non so cosa sia cambiato rispetto alla poesia italiana di trenta anni fa, né mi importa di saperlo, poiché è per lo più una poesia scadente per cui nutro scarsissimo interesse.
3. «Il costituirsi di qualsiasi forma, linguistica o letteraria, comporta caratteri severi di sforzo e progetto […] In questo senso il valore di ogni forma è anche etico-politico, comportando organizzazione, volontà, ascesi, selezione» (Fortini, Sui confini della poesia). Nel passo citato il processo di formalizzazione della poesia sembra implicare per Fortini diverse istanze tutte compresenti: quella straniante che tende ad immettere una forte distanza critica tra soggetto lirico, oggetto poetico e sguardo del lettore; la mascherata conferma di un preciso assetto sociale ed economico; una modalità di recupero della tradizione che diventa, grazie alla specifica progettualità della poesia e alle scelte formalizzanti, flebile ma al tempo stesso tenace anticipazione di un futuro. Come entra in dialogo con queste riflessioni il tuo lavoro di poeta? Di quali significati investi le tue operazioni di formalizzazione?
Questa citazione afferma cose vere, anche se si tratta di una descrizione incompleta di come nasce un testo poetico. La fase di realizzazione razionale, volontaria, descritta da Fortini comincia dopo che un’idea, che magari ci è confusamente frullata per il capo per anni in varie forme (un sentimento vago, un’immagine, uno scatto di rabbia, un ricordo impreciso, un’ossessione ricorrente) ci balena davanti con forza e ci chiede essere espressa tramite una forma. A volte questa forma viene da sé, altre volte se ne intuisce solo una parte, la quale impone però il passo, il ritmo, la cadenza del testo completo che sta per venire. A me capita non di rado che le poesie si presentino complete o quasi nelle pause del sonno o la mattina presto, senza che ci avessi mai pensato o avendo avuto in precedenza niente più che un barlume vago. Il mestiere va poi nel rifinirle sulla carta e limarle nei dettagli.
4. La traduzione «può essere aspirazione a ricevere da un’opera compiuta nel passato quel sussidio alla completezza che l’operare nel presente, per definizione, non ha» (Fortini, Prefazione al Faust). Ritieni valida l’idea di traduzione come tensione vitale nei confronti di una tradizione? Qual è il tuo rapporto con la traduzione e con la poesia contemporanea in lingua straniera?
È impossibile per me rispondere in maniera esauriente a questa domanda in poche righe. Ho scritto saggi e poesie su questi argomenti, e ancora ne scrivo, perché sono uno dei motivi base per cui mi trovo coinvolto nella poesia. La traduzione è per me una condizione di vita, non una pratica occasionale, vivendo io fra milanese, italiano e inglese (più altre lingue che so meno, ma che pure ci sono). Credo che la mia formazione sia abbastanza anomala rispetto alla media dei poeti italiani, e del tutto italiani non sono né la mia psiche né il mio immaginario. Se proprio devo dare una definizione geopolitica, al massimo mi considero un italiano periferico, ma è più esatto dire che mi sento un poeta europeo, visto che non considero straniere culture come quella inglese, tedesca e francese. Straniere poi rispetto a che? A una cultura italiana che dovrei sentire come “mia”? Penso che la poesia straniera tradotta sia più importante di quella italiana per capire e spiegare la poesia italiana contemporanea.
5. Mengaldo ha definito la “funzione Fortini” come «integrale politicità della poesia» (Divagazione in forma di lettera). La politicità della poesia consisterebbe sia nella scelta di rappresentare determinati contenuti politici e sociali, sia nell’uso non conciliante della forma. Riconosci una “funzione Fortini” nella poesia contemporanea? In che modo si rapporta al tuo lavoro?
Trovo la domanda non chiara: cosa vuol dire “determinati contenuti politici e sociali”? E l’uso “non conciliante della forma”? Non conciliante rispetto a che? Comunque sia, abbozzo una risposta, anche se può essere fuori tema. La poesia rappresenti quel che le pare, questi fantomatici “determinati contenuti”, se così capita, o qualsiasi altra cosa, purché sia sempre poesia necessaria, non fatta per mero esercizio letterario, per carriera editoriale o per mero scopo ideologico, o per una orrenda somma di queste tre cose. Mi è capitato di scrivere parecchie poesie di tema storico, politico e sociale, ma non mi considero debitore di Fortini, che considero un esempio negativo. Ho sempre avvertito in Fortini, come in altri scrittori della sua epoca, un forte senso di repressione ideologica, che in poesia si manifesta, oltre che nei contenuti, sotto forma di repressione emotiva. Mi sembra spesso che Fortini non dica fino in fondo quello che sentiva perché quello che sentiva non si accordava con ciò che l’ideologia gli imponeva di sentire. Ma chi cede a ricatti di questo genere, che nella storia sono tutt’altro che rari, può davvero dirsi poeta?