Una situazione più prevedibile che veramente inedita. Tutti gli ostaggi, scudi umani (di recente anche esposti in gabbie), passeggeri d’aereo, famiglie di turisti ecc. sono da anni presi a caso e usati come “materiale bellico” – o forse meglio: strame – per fini che in parte ci sfuggono, secondo una logica di vendetta di gruppi o gruppuscoli contro il resto del mondo. La primissima reazione del presidente Obama, la mattina del 14 novembre, è stata giustamente di denuncia a un attacco contro il mondo della libertà, uguaglianza, fraternità e a nome della solidarietà – i cosiddetti “valori civili” insomma – ma anche, e da una visuale enunciativa cioè sintomatico, della vita stessa, dell’aspirazione di tutti alla felicità, del futuro insomma. Quelli vogliono tutto il contrario: la tirannia (sia pure in nome di un “dio”), l’oscurantismo, il ritorno al passato, l’infelicità universale, la morte. Non si accorgono nemmeno di essere loro nell’età dell’ignoranza e della vera jâhiliyya, usati a bella posta da chi ne agita i fili, senza nessun rispetto per il loro libro del Corano (che ben pochi hanno letto), per non dire dei grandi filosofi dell’islam dei lumi, da IbnRushd in poi. Ma so di sprecare parole inutili, ormai.La novità (e la sorpresa) è stata magari per l’ampiezza e la professionalità delle azioni coordinate, blitz di commando in guerra per meglio dire, contro di cui bisogna analizzare adesso con calma le misure preventive da adottare. La strategia, se così vogliamo chiamarla, è appunto di guerra totale, anche se asimmetrica (come in ogni forma di terrorismo); e tanto si addice a chi pretende di essere “califfato” o addirittura “stato” teocratico. Tra parentesi, faccio notare che fino ad oggi si parlava di “terrorismo” per forme di lotta di chi, essendo oppresso da un’entità più grande di lui, non aveva altre possibilità di far sentire le proprie rivendicazioni (alla libertà, uguaglianza ecc.), fatta salva la protesta particolarissima di un Gandhi non violento… per questo, io che mi occupo di linguaggio proporrei di inventare un altro termine per queste azioni oscene (compresa la distruzione e/o commercio di opere d’arte del passato dell’umanità).
La “risposta” alla strage di «Charlie Hebdo» fu considerata esemplare, anche se poi ci furono delle polemiche. Ritieni che le forze politiche debbano mettere da parte le polemiche (anche in vista delle imminenti elezioni regionali) per una risposta “repubblicana”?
Si può protestare contro un’eruzione, un maelstrom, uno tsunami, la morte stessa? La strage di «Charlie Hebdo» colpì una famiglia di amici, di colleghi gentili, d’intelligenti ironici critici della società – soprattutto occidentale – ed era giusto e solidale protestare contro la bestiale violenza, stavo per dire allo spirito… forse basta dire contro lo stupido tentativo (poi, ahinoi, riuscito) di distruggere un organo di libertà della stampa; e trionfo della “bêtise au front de taureau” insomma. Di qui lo slogan “Je suis Charlie“, illustrato spesso dalle foto non di tale o talaltro giornalista trucidato ma di Chaplin o Parker. Le strumentalizzazioni di chi partecipò alle vaste risposte pubbliche non m’interessano, sono fatte per giornalisti, e comunque non tutti gli amici dei vari «Charlie» (v. sopra) andarono a quelle manifestazioni. Qui, sarebbe assurdo ripetere qualcosa del genere (e del resto credo nessuno ne abbia parlato sul serio); a parte che tale “risposta” sarebbe quasi un riconoscere l’importanza oggettiva di chi usa già e con diabolica astuzia i mezzi di comunicazione di massa, le reti “sociali” ecc. per, appunto, terrorizzare i nemici che siamo noi tutti. Al di là, manco a dirlo, delle imminenti elezioni regionali: delle quali (detto fra noi) molti giovani non si curano affatto. Ma qui non vorrei andare fuori tema; o troppo a fondo in tema, chissà.
C’è chi ritiene che l’interventismo militare di Hollande sia stato e sia poco lungimirante. Senza nessun “giustificazionismo”, che sarebbe assurdo, ritieni che sarebbe stato più saggio concordare una risposta europea al terrorismo di Daech?
Mi dispiace molto, essendo di natura assai pacifica, dedito con i miei ricercatori più giovani a lavori poco guerreschi e amante della poesia (anche elegiaca, confesso), ma non credo si possa rispondere alla guerra con mezzi inermi e sentimenti di buonismo e pace per la propria coscienza. Certamente, una risposta europea al dramma dei rifugiati (i quali, se ben capisco, non vedono altra difesa che di fuga contro la violenza jihadista) e quindi alla guerra asimmetrica ma totale di da’ech, sarebbe altamente auspicabile. Forse che i vostri lettori potrebbero cercare di convincere i vostri dirigenti in tal senso? Fra le prime reazioni sentite stamane, a parte quella di Obama già menzionata, abbiamo qui sentito molti responsabili africani, poi i russi (anzi un russo), poi (e a me è sembrato di primaria importanza) una voce autorevole della grande moschea di al-Azhar; dalla nostra Europa, Gran Bretagna e poi Germania. Credo sia tutto.
Alcuni anni fa (se non ricordo male) hai coordinato una ricerca sulle banlieues, che sembrano essere diventate “brodo di coltura” del più fanatico estremismo. Che cosa ti è rimasto di quell’esperienza e di quel che è accaduto successivamente?
Infatti, nel 1995 – che strano anniversario! – il nostro seminario prese a riflettere sulla famosa “rivolta delle banlieues” e arrivò all’idea, poi diventata banale, che forse la storia delle emigrazioni passate potesse servire a capire meglio il “malessere” (malaise e mal-être) dei giovani scaturiti dall’immigrazione recente. Si scrisse insieme un fascicolo – poi rimasto fra la “letteratura grigia” ma reperibile in qualche buona biblioteca, “Modèle” italien et “événements” des banlieues françaises (Paris 3, 2006) – e ne trassi poi un articolo breve per «AltreItalie», giugno 2006 (Giorni calmi a Clichy?). L’idea era di aiutare. Il punto era che quei giovani avevano bisogno di essere rispettati e “riconosciuti” dalla società d’adozione (in Francia); e qualcosa s’è fatto – troppo poco – in tal senso (il loro «Bondy Blog» autogestito, collegato con il quotidiano «Libération», ad es.). Ma queste sono eccezioni, non fanno testo. Purtroppo, penso oggi che quei tentativi di analisi siano completamente superati, e credo di averlo fin qui chiarito fin troppo. La situazione è cambiata del tutto, come ho cercato di puntualizzare di nuovo in «AltreItalie» n. speciale (50) 2015, col titolo Francesi, quid novi?, in cui, a me pare, sono cambiate le coordinate medesime del nostro “paradigma” globale. Nessuno si sarebbe potuto aspettare una tale regressione, in tutti i sensi: ché, a mio sentire, il jihadismo è un ritorno ai tempi bui, e in altri termini forse una “malattia infantile dell’anti-imperialismo post-moderno”.
Cambierà qualcosa (o molto) nella vita quotidiana dei parigini?
Speriamo di no, sarebbe una vittoria tremenda per chi vuole distruggere la nostra cultura (anche politica, beninteso) e diciamo pure il nostro mondo. Per quanto mi concerne, sì, di sicuro non approfitterò più dei tragitti in metrò per correggere tesi, leggere libri – anche di poesia – e qualche volta scribacchiare aborti di versi per le mie future plaquettes. Starò, se mi si consente la vecchia parola, all’erta.