
L’integrità dell’intellettuale. Scritti su Franco Fortini raccoglie testimonianze, saggi, riflessioni e note che Giuseppe Muraca, studioso da sempre attento al nesso cultura-impegno, nel corso del tempo ha pubblicato in varie sedi. A un denso e ricco contributo su Dieci inverni, che ha il merito di restituire tutta la complessità della posizione eterodossa di Fortini nel Dopoguerra del «Politecnico» e della militanza nel Partito socialista, segue un saggio sui rapporti con Pasolini e un capitolo sulla crisi del 1956 – tappe essenziali e decisive della biografia fortiniana, ma anche e soprattutto di un clima e di una condizione entro cui si trovarono coinvolte le personalità culturali più in vista della sinistra italiana –, per giungere a una sentita riflessione sulla “nuova sinistra” attraverso la figura di Attilio Mangano, in compagnia del quale Muraca ha percorso un bel pezzo di strada.
Di queste pagine non può che colpire il tono. È quello di un saggista che ha vissuto, sentendole proprie, le battaglie di un Novecento letterario e politico per troppi aspetti tramontato, senza tuttavia convertirle, dalla specola del presente, in retorica nostalgia. Quel che guida Muraca è la convinzione che l’attraversamento critico di un intellettuale come Fortini – ma lo stesso vale per i tanti “irregolari” di cui Muraca si è occupato nella sua carriera di recensore e commentatore – assuma una funzione politica tanto più nel momento in cui le pagine di Verifica dei poteri o i giudizi politici di Questioni di frontiera possono apparire, ai fautori della post-critica, spente o fuori tempo massimo. Nella certezza, insomma, che sia necessario riproporre quel nesso tra teoria, critica e militanza che i liquidatori dell’alfabeto novecentesco giocano oggi (ma, in verità, da tempo) a bersagliare, irridendo con un lessico pseudo-libertario – fatto anzitutto di pulsioni anti-teoriche, o dietro un anti-specialismo convenzionale, nutrito da una malcelata adesione alle mode culturali – gli sforzi di chi quello stesso nesso prova a ripensare e rileggere ben conoscendone i limiti, eppure non rinunciando a valorizzarne la lezione.
Dico questo perché «dibattito» e «conflitto» sembrano essere le parole a cui Muraca affida gran parte dei suoi pensieri, insistendo non casualmente sulla ricostruzione precisa delle posizioni e dei pareri. L’idea di lavoro culturale che ne deriva, anche e soprattutto attraverso Fortini, sta tutta nel tentativo di rileggere i nessi, capire le fratture, delineare le proposte in campo. Senza questa tensione conflittuale non si dà cultura, né conoscenza. Mi sembra questo il senso dell’omaggio che Muraca ha voluto consegnare a un maestro irregolare della sua generazione. Mettendo in evidenza una parola a suo modo dialettica – «integrità» –, da non intendersi solo nel suo significato più immediato, cioè quello legato alla morale, ma appunto in quello intimamente politico, per il quale qualsivoglia proposta politico-culturale deve anzitutto passare dall’autoverifica della propria consistenza intellettuale, dalla domanda sulla propria collocazione (imposta o decisa), dal quesito sul personale grado di compromissione che rende possibile l’articolazione del pensiero.