Ho amato di Fortini Paesaggio con serpente, che uscì alla metà degli anni Ottanta, con in copertina la bella immagine neoclassica e allegorica di un quadro di Poussin. Poesia razionale che scava dentro a una ferita irrazionale come di sangue psichico. La sua lingua poetica riesce a distanziarsi dalla propria mente sollecitando un discorso poetico dalle venature oniriche. I due amici Sereni e Fortini sul luogo di vacanza, Bocca di Magra, Fiumaretta, intrapresero l’inizio del loro legame poetico e intellettuale. Un giorno sono andato a far visita alle ceneri di Fortini e della moglie Ruth Leiser nel cimitero di Montemarcello. Luogo intimo e aperto al vento, al boscoso verde che impera là in alto sovrastando il mare ligure. Lassù, in quell’isolamento finale, Fortini ha meditato sulle sue idee, ha di nuovo combattuto. Se c’è una cosa che risplende tuttora nei versi sia di Sereni e Fortini, pur tanto diversi fra loro, è la loro fierezza e franchezza direi di esserci stati, di non aver svenduto la propria interiorità. Sono passati tanti anni dal mio primo incontro con la loro poesia. Si è cresciuti pensando a loro, si è scritto pensando a loro, si sono viste e riviste le loro immagini, e proprio come in una sequenza d’immagini il loro ricordo poetico non ci ha mai abbandonato. Se il nostro Novecento è stato un rinascimento poetico lo si deve alla loro poesia. Alla loro continua, di Sereni, di Fortini (ma almeno si aggiungano oltre a Montale e Bertolucci: Luzi, Zanzotto, Giudici, Pasolini, Rosselli, Raboni) inesausta riflessione sul proprio fare poetico. Dovrebbe essere sempre una premessa per chi scrive questo atteggiamento. Se questo nostro “rinascimento novecentesco” deve qualcosa alla parola del poeta, sta proprio nel non lasciarsi sfuggire un’inquisitoria analisi sul proprio fare poesia. Che in Fortini raggiunge il proprio massimo furore inquisitorio. Sereni non era da meno. Più portato verso sé e alle estreme conseguenze della sua poesia. Non penso che un atteggiamento di questo tipo sia fuori luogo. È nel fare poesia, nel suo essere e si potrebbe aggiungere nella sua verità d’essere un fatto artistico non transitorio. La poesia dovrebbe essere come un albero dalle radici forti e lunghe e che sappia fronteggiare il tempo avverso, come gli anni lunghi di non ascolto, di protratto silenzio. Attraverso la scrittura ne intravediamo le arborescenze, la natura che ce lo rende visibile. Ma tutto quello che è forte e così invisibile sta sotto nelle fibre delle sue radici; e queste invisibili e strenue radici sono per questi poeti un carattere fondativo, una cosa che doveva, come per natura, stare nella poesia.
Ecco che allora Sereni e Fortini s’incontrano in questo luogo del sentire prediletto pur nelle rispettive diversità di vedute: in Sereni la poesia si costruisce attraverso esistenziali tremori, atmosfere, luoghi dapprima interrogati e poi conosciuti, si fa, ripetiamo, pure se la parola lascia ambiguità, in bellezze armoniche del verso, in musicalità, in tonalità che vogliono rinsaldare una realtà interiore andata distrutta. Sereni riattiva fenomeni interiori con la poesia sollecitando gli oggetti, i significati della natura, il suo sguardo. Sereni introduce nella poesia un tono comunicativo dalle sprezzature liriche. Lo possiamo definire una musica scandita dal tempo esistenziale; di un canto dentro una memoria invasa da pensieri in negativo, dove si può ancora scrivere con il bianco su di uno sfondo nero. Fortini appare a prima vista più diretto: esemplifica una situazione di riflessione morale, rivela in poesia un ricordo attraverso documenti che lo hanno ferito. In Fortini la poesia è un fatto del passato che ha una difficile congiunzione con la memoria. Tra presente e memoria pare esistere un’incolmabile diversità. La ragione (che penetra un canto possibile della poesia) viene alla luce in Fortini per una mancanza di fiducia nella certezza lirica. Fortini con le eccellenti traduzioni di Brecht (a cui collaborò la moglie Ruth) si appropria di una lingua non sua e di una ferma e direi ferrea cantabilità delle cose che così devono stare dentro un componimento che non deve tradire. Gli esiti della poesia non devono tradire gli esiti di un rispecchiamento che si richiama ai valori di un vissuto. Ma in Fortini ci deve essere stato qualcosa di più, molto di più, direi di oltre, che un ragionare per poesia. Attitudine classica del verso, cadenza metrica, studio acuto delle cose, non danno la riuscita di una poesia. Ci sono in Fortini ferite aperte, sanguinanti, malgrado l’autocontrollo formale. Lo stesso riattraversare la poesia di Saba riscopre uno stato di innocenza mai veramente perduto. C’è una corporalità che si ravviva, che tocca le corde di un sapere appassionato. Fortini quando parla di poesia, lo fa sempre in maniera mai astratta. Lo stile come la lingua del poeta entrano nel vivo di una preda storica. Fortini ha una sua sorta di empirismo anglosassone nella scrittura critica, le sue ragioni dialettiche sono ragioni formali agite dentro al vissuto (all’umanità) del poeta. La poesia non vive di una vita propria come un pezzo archeologico, una cosa staccatasi dalla vita reale. Per Fortini non esiste un’autobiografia immaginaria, esiste la poesia con la vita degli uomini; soggetto e oggetto desiderano un tipo di unità esistenziale tanto più drammatica quanto profonda. La realtà, per Sereni, per Fortini affrontata in modi differenti, è il vero specchio di ritorno della poesia, e qui due poeti non possono che confrontarsi. Il loro pensare poesia si definisce in un agire prima dell’evento della poesia stessa. È una riflessione continua, un corpo a corpo, con ciò che è la poesia in tutte le sue infinite situazioni può vivere.
Sul posto di vacanza, Fortini e Sereni, finalmente s’incontrano. Sono estati, lo raccontano alcune fotografie rimaste e le molte lettere di cui si attende una completa pubblicazione, dove i due amici-poeti trascorrono il tempo a dialogare sulla foce del fiume. E qui dove il fiume incontra il mare – sarà nostalgia, sarà il ricordo di versi che riappaiono nella memoria, sarà quello che si vuole –, i loro nomi e la loro poesia ritornano, con una integrità umana non spettrale e ciò illude: che la poesia, la loro poesia, lingua di terra sempre tutta da interrogare, sempre tutta scoprire, possa rimanere immersa e persistere come dentro a una felicità terrena.