«Cancellare un anno come si cancella una frase»
Sulle carte di Carlo Bordini
Francesca Santucci
Bordini è morto nella notte tra il 9 e il 10 novembre; non un centenario, ma, di nuovo, un anniversario che consuona con la sua opera: i giorni dopo la sua morte i telegiornali ricordano il crollo del Muro.
Di detriti e macerie mi piacerebbe parlare ora: di alcuni pezzi di ricambio, di un repertorio che non si dà quale lettera inerte, ma è tutti i libri del futuro di Bordini, se l’invenzione è etimologicamente rinvenimento – se «la polvere può essere recuperata»,2 se nell’estate del 2019 esce la seconda edizione di Pezzi di ricambio (2003) con in appendice il racconto inedito Luciano, «un testo sulla solitudine» scritto negli anni Sessanta e sessant’anni dopo recuperato dalle carte dattiloscritte.
Il Centro Franco Fortini dell’Università degli Studi di Siena ha dedicato un fondo a Carlo Bordini, e lo scorso settembre ha acquisito l’interezza delle sue carte. È un lascito di dimensioni notevoli, in fase d’inventario,3 che va dal quaderno liceale degli appunti alle prime prove dei vent’anni – quelle che precedono la militanza politica – fino agli ultimissimi versi redatti al computer, o alla riscrittura perpetua del già scritto salvata in file numerati progressivamente. Il lascito comprende i carteggi con i colleghi, i critici, gli amici di una vita; uno per tutti, Attilio Lolini,4 primo vero editore di Bordini: Poesie leggere esce nel 1981 per i Quaderni di Barbablù con la prefazione di Alfonso Berardinelli, sei anni dopo Strana categoria (ciclostilato in proprio).
L’archivio Bordini si profila come uno strumento filologico decisivo per la lettura di un’opera che ha fatto della variante – dell’errore – una funzione del vero; del palinsesto una sua trama organica.
Con la dovuta elasticità, gli errori, le irregolarità tipografiche e le incongruenze morfologiche dell’opera di Bordini si possono organizzare in due sottoinsiemi: il refuso volontario, ovvero l’uso espressionistico del linguaggio e delle norme redazionali attraverso il quale Bordini fa corrispondere alla teoria una prassi; il “lapsus”, o meglio l’errore involontario che l’autore decide a posteriori di non emendare e assumere nel testo quale evidenza di un’emersione. Ai due si potrebbe aggiungere – e così è per chiunque – il refuso involontario, l’errore di battitura effettivo che non fa sistema, non significa forzosamente qualcosa all’interno del testo. Discernere l’uno dagli altri è impresa di non poco conto.
Le carte di Bordini si collocano tra lo zibaldone di pensieri e l’avantesto, spesso pensiero articolato su carta e avantesto coincidono. Un esempio per tutti sia la genesi della poesia Fare di questo, testo in prosa scritto plausibilmente a fine anni Ottanta, in un secondo momento versificato e pubblicato con lievi modifiche in Sasso,5 nel 2008: di nuovo, un rinvenimento. La didascalia vergata a penna in cima al testo finisce per diventare titolo vulgato, pure in forma scorciata. Analisi, instaurazione e post-produzione coesistono su un solo documento.
D’altra parte, gli autocommenti di Bordini sono numerosi tra le carte, e complementari all’opera stessa. Non c’è, in Bordini, distinzione tra autocommento e autoanalisi, opera e vita; in Pericolo scrive: «supponiamo che io stia dentro un racconto – un mio racconto – e lo potessi cambiare – e lo potessi cambiare, e vivere una strana avventura, e che potessi vivere la mia vita cambiandola, come in un racconto || supponiamo che io potessi cancellare un anno come si cancella una frase».6
Guardando alla stagione che si apre con Strana categoria, si incontra il primo, antico autocommento a questo libro all’interno di un carteggio: Fortini, colpito dall’esordio di uno sconosciuto, gli scrive per sollevare virtù e criticità della sua poesia. Bordini, nel rispondere, crea una copia della sua replica: vuole conservare la lettera, perché si accorge di misurarsi lì con alcuni nodi importanti. Ne emergono due: il primo è la dialettica tra descrizione e citazione delle cose, retorica e trasparenza del linguaggio; il secondo è l’ostensione del dubbio, dell’incertezza, quel sentimento di confusione che induce il ricorso alla poesia. Di seguito, la trascrizione del documento conservato nel Fondo Bordini:
ho ricevuto la sua lettera. Prima di tutto, grazie per avermi risposto. Sto riflettendo su quanto mi scrive. È giusto considerare la poesia come tale e non come mera propaganda o provocazione. Altrimenti tanto varrebbe decidere di non fare poesia (Marcuse parla di questo falso antiintellettualismo [sic] in “Controrivoluzione e rivolta”). Il problema per me, in questo momento, è stabilire come.
Il problema che mi pongo da un po’ di tempo è la poesia come citazione. Non mi va di descrivere nulla. A volte faccio una poesia descrittiva, poi la butto. Mi sembra che le cose debbano parlare da sole. Mi sento di citare le cose. Di fare, più che lo scrittore, il trascrittore. Perché, non lo so. Probabilmente perché non sono sicuro di nulla. Allora la “troppo rapida accettazione di convenzioni” di cui lei parla è la scorciatoia con cui si cerca di sopperire a certezze che non si hanno (perché non ci sono, perché siamo in crisi, perché il movimento operaio e rivoluzionario è in crisi) con false certezze. Ne nasce la retorica. Ma non si può parlare del dubbio come di uno stato d’animo. Bisogna gestirlo. Per me il livello minimo attuale per gestire il dubbio è limitarsi a trascrivere. È il livello minimo, come ricomporre le idee dopo una mazzata. Riconosco che quando vi sovrappongo delle “idee” (convenzioni, ormai) ne nasce la retorica. È un mio vecchio problema, derivante da una lunga, “onesta”, sbagliata militanza. Qui il discorso si allarga alla politica: la retorica letteraria (di tutti i tipi) ha il suo fondamento in una retorica politica. […]
Carlo Bordini ha un’attenzione particolare per i finali – per le sintesi. Strategia esce per la prima volta nel 1981 per Savelli; si articola su tre sezioni, e dopo il montaggio di queste Bordini aveva «lavorato molto duramente, esclusivamente alla versione definitiva di “Sondaggio”»,9 sezione finale del libro. Il poemetto Polvere (1999) conosce una seconda redazione pubblicata nel 2004, in cui diverge drasticamente dalla prima a partire da un certo verso in poi, dando per risultato due testi autonomi:
Bordini inizia a lavorare a Memorie di un rivoluzionario timido nel 1976 e non lo abbandona fino all’ottobre 2020, quando è ancora intento a riscriverne il finale, la terza parte – prima di iniziare a dire, nelle telefonate, con l’ironia che tutti conoscono: «Non riesco più a lavorare, riesco solo a pensare. Ma è comodo: posso farlo ovunque».
Allora si torni alle carte, e agli inizi. Sei fogli dattiloscritti raccolti con una spilletta si danno come una genesi di Memorie, a metà tra la pagina di diario, l’autoanalisi, la prosa saggistica, la meta-narrazione: la narrazione di cosa sarà narrato, in che modo, e perché. È il 1976, Bordini viene da una militanza che è stata sogno, ma anche nascondiglio ed espiazione. Uscirne e dedicarsi al progetto del romanzo – di Memorie di un rivoluzionario timido – è stato, diceva spesso, come rinascere.
L’idea mi è venuta andando al bar, e a un certo punto è arrivato il padrone del bar (un tipo piuttosto simpatico) con un grosso loden tutto abbottonato e un paio di grossi occhiali da motociclista. Era buffo, faceva tenerezza, e ho pensato che mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Farlo, ho poi pensato, avrebbe significato presentarmi al bar per quello che sono. Poi ho pensato che non l’avevo mai fatto […] Avevo paura che mi avrebbero disprezzato. Avevo paura, mi vergognavo, di presentarmi come un compagno. Volevo vivere la mia vita nascosta. E poi altre sensazioni, accumulatesi in questi giorni […] e il desiderio che covava da un po’ di tempo ma che in quest’ultimo periodo andava scoprendosi, di fare una vita normale, di vivere, di avere soldi, di occuparmi di me stesso, di amare me stesso; di non pensare che il tempo dedicato a me sia tempo perso (caratteristica comune di molti compagni […] e quello che dicevo io con Ivana, che domandava: in quale città ti piacerebbe vivere? e io rispondevo che in realtà non mi piaceva vivere da nessuna parte, che non volevo vivere da nessuna parte perché non volevo vivere (me ne accorgevo in quel momento) e Ivana che diceva: stai ancora espiando; e il desiderio poi di organizzarmi, di comprarmi un letto nuovo, e bello, e di sistemare le questioni della macchina, e insomma di non lasciarmi andare, e di lavorare, e di non pensare che dedicarmi a me stesso è tempo perso); e la sensazione netta, da parte mia, di non esistere, e il dirmi: io non esisto, quindi non posso amare. E tutto questo, e allora accorgermi che in fondo tutto il mio essere si riduceva a una cosa, una sola cosa: essere un compagno. È l’unica cosa di cui posso scrivere, perché io in vita mia sono stato sempre e unicamente un compagno, anche quando non sapevo di esserlo, ma ero destinato a finire così […].
1 A. Cortellessa, Carlo Bordini, Premio Pagliarani 2017, in «Le parole e le cose», 5 novembre 2017.
2 C. Bordini, Polvere, Roma, Empirìa, 1999, p. 21.
3 Qui un inventario parziale delle carte, in aggiornamento.
4 Anche Lolini possiede il suo fondo privato presso il Centro Fortini; qui la pagina dell’archivio.
5 C. Bordini, Sasso, Milano, Scheiwiller, 2008, pp. 60-62.
6 C. Bordini, Pericolo. Poema invernale, Reggio Emilia, Aelia Laelia, 1984, p. 19; poi Id., Pericolo. Poesie 1975-2001, Lecce, Manni, 2004, p. 110.
7 L’Autoritratto viene scritto per la rubrica Autoritratti (a cura di Fabrizio Fantoni) del blog «Poesia» di Luigia Sorrentino nel 2015, e in seguito pubblicato in C. Bordini, Difesa berlinese, a cura di F. Santucci, Roma, Sossella, 2018, pp. 433-436.
8 «Per cominciare, non ho conservato l’ordine cronologico. Ho cercato di creare una struttura musicale, e con questo criterio ho montato il libro. Ma c’è qualcosa di più; ho cercato di dare forma a un libro nuovo, indipendentemente dal fatto che esso sia formato dalle poesie che ho scritto nella mia vita. Si potrebbe dire, anzi, anche se si tratterebbe di un paradosso, che il fatto che questo libro sia formato dalle poesie che ho scritto nella mia vita sia puramente casuale»; C. Bordini, I costruttori di vulcani. Tutte le poesie 1975-2010, Roma, Sossella, 2010, p. 487.
9 C. Bordini, Strategia, Roma, Savelli, 1981, p. 12; poi Id., Strategia, Roma, Aragno, 2019, p. 15.
10 Id., I costruttori di vulcani cit., p. 192. Segnalo inoltre un saggio di prossima uscita su Polvere: G. Policastro, La poesia come “scienza a perdere”: «Polvere» di Carlo Bordini, in corso di stampa; l’intervento è stato pronunciato nel corso del XXIII Convegno ADI, Pisa, 12-14 settembre 2019.
11 C. Bordini, Gustavo. Una malattia mentale, Roma, Avagliano editore, 2006, p. 141; poi in Id., Difesa berlinese cit., p. 331.
12 La pagina inedita è stata pubblicata su «formavera» il 26 febbraio 2018, per dare un’anticipazione di Difesa berlinese. A quell’altezza, Bordini prevedeva ancora di farne il finale della nuova edizione di Memorie di un rivoluzionario timido; lo testimonia la didascalia che accompagna il testo sul sito.