Anna de Noailles,
Il cuore innumerevole
Veronica Andreani

Anna de Noailles, Il cuore innumerevole, a cura di Marzia Minutelli, Firenze, Passigli, 2023.

All’alba del XX secolo, la raccolta poetica Le cœur innombrable (Calmann-Lévy, Paris 1901) innalza «nell’empireo dei grandi letterati di Francia» la potente voce lirica della giovane contessa Anna de Noailles, già nota all’élite culturale parigina per i versi pubblicati fin dal 1898 nelle prestigiose «Revue des Deux Mondes» e «Revue de Paris». Nata Anna-Élisabeth Bibesco Bassaraba de Brancovan nel 1876, l’autrice discendeva da una genealogia illustre, cosmopolita e poliglotta. Il padre, Grégoire Bibesco, era figlio di un gospodaro della Valacchia, imparentato con la stirpe bizantina dei Mavrocordat ed erede dei principi rumeni Bassaraba di Brancovan. La madre, Rachel Musurus, proveniva da una famiglia in cui la politica si era sempre intrecciata all’alta cultura (Marco Musuro, il dotto cretese sodale di Erasmo da Rotterdam, ne era antico esponente): il padre, fanariota, era stato ambasciatore della Sublime Porta a Londra e in tarda età aveva tradotto la Commedia di Dante in greco antico; i fratelli maggiori furono entrambi diplomatici e versati nelle lettere; Rachel, cresciuta con educazione inglese, divenne una virtuosa di pianoforte. Nata e cresciuta a Parigi, la principessa Anna-Élisabeth entra nel circolo della «migliore aristocrazia autoctona» grazie al matrimonio con il conte Mathieu-Fernand-Frédéric-Pascal de Noailles – rampollo di una dinastia tra le più blasonate della nobiltà francese –, manifestando sempre un particolare orgoglio per l’«acquisita francité», come dimostrato dalle copertine dei suoi libri invariabilmente firmate «Comtesse Mathieu de Noailles».

A coronamento di un fecondo percorso di studi, Marzia Minutelli cura ora per i tipi fiorentini di Passigli la pubblicazione della raccolta d’esordio dell’autrice franco-rumena, offrendone la traduzione integrale con versione originale a fronte e corredandola di un brillante e appassionato saggio introduttivo, un’ampia e dettagliata biografia, note alle poesie e notizie sul testo. Costituita di 59 componimenti stesi nell’arco di sette anni, l’opera è fondamento ideale della poetica di un’artista che «était de celles que la Nature crée adultes», come scrisse di lei il cugino e mentore Robert de Montesquiou. Proprio per il suo valore seminale – vi compaiono temi e modalità retoriche che torneranno continuamente, con riprese e variazioni, nella produzione successiva – Minutelli sceglie di muovere da qui «alla riscoperta di questa virtuosa della parola», per la quale tuttavia, più che di «riscoperta», bisognerebbe parlare di vero e proprio «recupero», data la pressoché totale mancanza di una ricezione critica della sua figura in ambito italiano. Seguendo le riflessioni della curatrice, è legittimo chiedersi perché, a inizio Novecento, quando la stella di Noailles più splendeva oltralpe, neppure «qualche timido riverbero di tanta luce» sia giunto nella nostra penisola, benché fin dal 1905 la contessa avesse collaborato con la rivista «Poesia» di Filippo Tommaso Marinetti e dal 1910 avesse stretto una salda amicizia con D’Annunzio. A questo riguardo, non si può non condividere l’idea che «una ragione storica della passata indifferenza nei confronti della scrittrice» possa rintracciarsi in «una pregiudiziale sessista», «se non misogina», in una nazione come l’Italia che «almeno fino a tutti gli anni Cinquanta» rimase «culturalmente attardata e provinciale». Senza dubbio, Noailles avrebbe meritato ben altra attenzione, da scrittrice di originale talento quale fu e in contatto con la migliore intellighenzia del suo tempo, tra cui personalità quali Maurice Barrès, François Mauriac, Marcel Proust, Paul Valéry, Colette, Georges Bernanos, Jean Rostand, Jean Cocteau, Henri Bergson, Rainer Maria Rilke, Edith Wharton. Inoltre, al di là dell’intrinseco valore artistico, è la sua stessa figura di intellettuale a spiccare per le posizioni progressiste di aristocratica socialista, anticlericale, repubblicana, dreyfusarda della prima ora, attivista durante la prima guerra mondiale in favore del popolo armeno trucidato dai Turchi e sensibile al dramma dei soldati, cui prestò soccorso in ospedali improvvisati, rinvigorendone gli animi con testi patriottici e mettendo al loro servizio la propria vena di scrittrice, offrendosi di inviare lettere alle famiglie lontane. Visse intensamente, Anna de Noailles, e sui ricorrenti problemi fisici, sulle fragilità nervose e sulla dolorosa necessità di fronteggiare lutti e perdite, prevalse un potente e a lungo indomito slancio vitale.

Nel saggio introduttivo, Minutelli illustra con chiarezza i tratti salienti della raccolta, a partire da quel «culto idolatrico» della natura che ne è cifra tematica distintiva e che è da ricondursi alle esperienze vissute dall’autrice in un luogo determinante della sua «geografia emozionale», ovvero la località di Amphion-les-Bains sul lago Lemàno o di Ginevra, dove Anna trascorse con la famiglia le estati della sua infanzia. Lì, nel «verde microcosmo» del villaggio savoiardo, libera e a contatto con la natura, la bambina «assistette al progressivo acuirsi di un’ingenita sensibilità creaturale», che le rivelò anche la sua vocazione di poeta: «le lac Léman m’apportait tout», avrebbe scritto più tardi nella sua autobiografia (Le livre de ma vie, 1932). Molte liriche del Cœur innombrable sono dunque un inno alla bellezza e alla varietà del creato, in tutte le sue manifestazioni, dalla più alta alla più umile, in un’aderenza al dato naturalistico che non si riduce però a «mero impressionismo descrittivo»: lo spettacolo del mondo, rivissuto dall’autrice nell’interiorità, diventa per lei strumento euristico di avvicinamento alla sua essenza più profonda. All’entusiasmo quasi dionisiaco per la multiforme varietà della vita si accompagna – forse quale ineliminabile rovescio della medaglia – la percezione angosciante della propria finitudine: priva del sostegno della fede e «penetrata viceversa di un ateismo nichilista ogni giorno più tormentoso», la scrittrice sperimenta con sgomento l’impossibilità di una completa «fusione con la palpitante sostanza del mondo», che a lei come a tutti i viventi – segnati dal limite ultimo della morte – è preclusa. Da questa impasse, Noailles trova una via d’uscita nell’accettazione dell’«assidua vicenda di generazione e distruzione degli enti», che vede nel sonno eterno – l’«infinita notte» su cui si chiude la raccolta, al cui buio la poetessa si affacciò intempestivamente, a soli 10 anni, per l’improvvisa scomparsa del padre – un tramite per il «ricongiungimento alla terra», per il riassorbimento di «ogni cosa creata nel tutto di cui è parte». Di questa tensione struggente tra limitatezza umana e desiderio di comunione con il tutto è sintesi lo stesso titolo Le cœur innombrable: il cuore infatti, come ben illustra Minutelli, oltre ad essere parola-chiave dell’opera (compare infatti in 48 componimenti su 59, e in altri ancora è richiamato dal parasinonimo «âme»), è sineddoche dell’io lirico e metafora della natura stessa, accompagnato da un aggettivo che suggerisce una volontà panica di immedesimazione con l’intero esistente, nei suoi regni minerale, vegetale e animale. E che il cuore fosse per Noailles organo par excellence della vita interiore, dal cruciale significato simbolico, è dimostrato dal fatto che la scrittrice chiese che le fosse espiantato – «prassi corrente in età medioevale e oltre tra regnanti, alti dignitarî e principi del clero» – per essere sepolto nel cimitero di Publier-Amphion. Nel 1933, anno della morte, la salma venne dunque tumulata nella tomba di famiglia al Père-Lachaise, mentre il cuore prese la via dell’Alta Savoia dove venne deposto nel 1937, negli stessi anni in cui ad Amphion veniva realizzato il Jardin votif “Anna de Noailles”, tuttora esistente sulle rive del lago Lemàno.

Al ricco inquadramento critico e al denso profilo storico-biografico segue nel volume la traduzione dei testi, con cui Minutelli consente ora anche al pubblico italiano di leggere l’opera d’esordio dell’autrice di lingua francese nella sua interezza. Scorrendo le pagine una dopo l’altra, un dato esteriore si impone con evidenza: nonostante la tracimante ricchezza d’ispirazione e la copiosa inventività dei contenuti, a livello formale Noailles si mantiene fedele ad un tipo di versificazione tradizionale, restando immune da «qualsivoglia tentazione avanguardistica» (sulla scorta del nume tutelare Victor Hugo, un cui distico tratto dagli Chants du crépuscule è posto come epigrafe della raccolta). In anni di forti innovazioni metrico-retoriche che si diffondevano in tutta Europa, la posizione di Noailles è controcorrente: ecco allora la scelta dell’alessandrino cesurato quale metro di elezione, alternato a volte all’esasillabo o surrogato dall’ottosillabo, in strutture che, pur non riprendendo forme chiuse come quella del sonetto, si organizzano in modi quasi accademici nello schema e nel ritmo (per lo più in quartine, suites continues o distici, a rima incrociata e alternata, più raramente baciata), sebbene a volte le partizioni metriche vengano trascese da un vis imaginativa che non rientra nella rigidità della struttura, e anche la prosodia presenti infrazioni all’ordine rimico e strofico, compresa «l’eretica noncuranza nel computo sillabico delle e mute e degli iati».

A partire da una situazione di questo tipo, seguendo il principio-guida del «rispetto» che ha orientato tutto il suo personale avvicinamento all’opera di Noailles, Minutelli è riuscita ad elaborare una trasposizione dei componimenti in versi regolari: l’alessandrino, di gran lunga prevalente, è stato quindi reso con il verso martelliano o doppio settenario, con cui viene solitamente traslato nella poesia italiana; l’esasillabo e l’ottosillabo sono stati resi, rispettivamente, con settenario e novenario. I sistemi rimici sono stati spesso preservati e – laddove non sia stato possibile farlo – sono stati sostituiti da altri legami fonici come assonanze, consonanze e paronomasie. Rispetto alla collocazione nel complesso naturalis dei vocaboli nella lirica noailliana, Minutelli informa che esigenze metriche, sintattiche e rimiche hanno invece talvolta portato ad un incremento delle alterazioni nell’ordo verborum. Si consideri ad esempio, nella poesia Le Jardin et la Maison, il verso «Les petits orangers fleurissant dans leurs caisses», secondo di un distico, che diventa «degli aranci nei vasi la fragranza di zagara», dove l’iperbato si accompagna alla ricerca preziosa dell’allitterazione, presente anche nel testo originale, e alla creazione dell’assonanza tra «zagara» e «cala», parola su cui si chiude il primo verso del distico («La paisible maison respire, au jour qui baisse»; «Pacifica la casa respira al dì che cala»), a mimare la rima baciata del testo francese. Spesso però il dettato resta fedele all’originale, come dimostra un altro distico del medesimo componimento: «Et comme elle, penché sur l’horizon, mon cœur / S’emplit d’ombre, de paix, de rêve et de fraîcheur…» è tradotto infatti con «E come lei, recline sull’orizzonte, il cuore / Si empie d’ombra, di pace, di sogno e di frescore…», dove l’ordine è preservato e la parola «frescore», variante di «frescura» e forma più poetica ed aulica di «freschezza», consente di mantenere la rima con «cuore».

«Nell’intento di mimare l’espressività del discorso poetico», Minutelli ha anche dato a sintassi e lessico «una spolveratura […] di color temporale liberty». Ecco allora affiorare nella traduzione lemmi dannunziani («anima estuosa» che traduce «âme impétueuse»; «inazzurra il colle» per «la colline est bleue»; «nell’ardente fumea dell’estate» per «dans la buée ardente de l’été»; «il glauco vostro occhio» per «l’azur de votre œil»; «la felce e il salce» per «La fougère et le saule») e anche tratti dalla poesia di Pascoli (si veda ad esempio la traduzione del verso «Et le gazon touffu sur le bord des fossés» con «E l’erba che accestisce sul ciglio dei fossati», dove accestire è caratteristica voce pascoliana che dà ancheil titolo a uno dei Primi poemetti; o il caso dello «Spensierato svolio delle vespe» che traduce, di nuovo con lemma pascoliano, «Gai divertissement des guêpes»), autore apertamente richiamato dalla curatrice per l’«esattezza nomenclatoria» nella resa in versi del mondo naturale che risulta affine alla ricerca di Noailles. Un altro poeta che si lascia riconoscere nella trama lessicale delle traduzioni è Montale, a partire da quel «pallida e assorta» che restituisce i due nomi del predicato «grave et pâle» con cui è descritta la ninfa Bitto nell’eponimo poemetto pastorale. Ancora, il verso «Et tout l’été luisant sommeille» è tradotto con «E falba l’estate sonnecchia», dove «falba» è aggettivo raro, già pascoliano e dannunziano, che sembra però anche collegarsi, per la comune descrizione di un’assolata giornata estiva, ad un testo degli Ossi di seppia («Gloria del disteso mezzogiorno / quand’ombra non rendono gli alberi, / e più e più si mostrano d’attorno, / per troppa luce, le parvenze, falbe»). Inoltre, la quartina noailliana in cui il verso è inserito in posizione finale («La nature comme une abeille / Est lourde de miel et d’odeur, / Le vent se berce dans le fleurs / Et tout l’été luisant sommeille») esemplifica nuovamente la ricerca prosodica e stilistica di Minutelli, che nella traduzione («La natura come una pecchia / È greve di miele e di odori, / Il vento si culla tra i fiori / E falba l’estate sonnecchia») riesce a conservare la rima del testo di partenza utilizzando il letterario «pecchia» per «abeille» – di lunga tradizione e attestato anche in D’Annunzio – posto in rima con la voce «sonnecchia» che traduce «sommeille», con ulteriore e sotterraneo richiamo al montaliano «meriggiare pallido e assorto». Emblematico delle cure profuse da Minutelli nell’impegno traduttorio è anche il trattamento riservato al titolo della raccolta, caso ben illustrato dalla stessa curatrice. Per l’aggettivo innombrable, «subito scartato l’arcaico e letterario innumere», dalla pur «tentante aura gozzaniano-montaliana», e ugualmente escluso infinito perché meno vicino al dettato originale – sebbene il determinante sia associato proprio al cuore in testi di altre raccolte di Noailles –, Minutelli ha optato, tra la variante colta innumerabile, di autorevole tradizione letteraria, e la variante di esito popolare innumerevole, di carattere meno sostenuto, per quest’ultima soluzione, trovando supporto alla sua scelta nel fatto che D’Annunzio – pur non disdegnando nella sua vasta produzione l’uso di innumerabile – si serve anche spesso di innumerevole, altresì in riferimento al cuore come ad esempio in un sintagma delle Laudi che costituisce appunto un evidente omaggio all’ammirata collega («pel cuore / Innumerevole avido di eterna / Vita»).

Convinta con Jacobson che un testo letterario – specialmente se in versi – sia per sua natura intraducibile, Minutelli ha comunque accettato la sfida, fiduciosa che «l’atto interpretativo connaturato all’esercizio traduttorio» dia vita ad una scrittura che «conserva e trasmette tuttavia qualcosa del testo di partenza». E certamente la traduzione riesce a restituire, della poesia di Noailles, «l’accento spontaneo e appassionato, il lirismo immaginoso e cangiante, l’invenzione verbale inestinguibile e la liquida armonia delle combinazioni sonore». Per la prima volta alle prese con la trasposizione linguistica da un poeta straniero e guidata da «un’etimologica simpatia» per l’oggetto della sua indagine, Minutelli ha trasformato il «capriccio estemporaneo» con cui si era inizialmente avvicinata a questi testi in una «scommessa» che si può dichiarare vinta, e per il cui successo pare non secondario il fatto che la curatrice abbia prestato a Noailles qualcosa della sua «propria sensibilità» e di quei versi che le «escono dalla penna fin dall’infanzia»: in altri termini, Minutelli ha svelato in quest’opera anche le sue proprie parole di poetessa – «alla confortante distanza di sicurezza dell’interposta persona» – ponendole rispettosamente al servizio della scrittrice tradotta, dando così prova di una declinazione affatto peculiare di quella «sorta di metodo Stanislavskij» da lei sempre «più o meno volontariamente» seguito nei suoi lavori ecdotici ed ermeneutici, alla ricerca di un’adesione profonda al temperamento dell’autore indagato. Il volume risponde insomma pienamente a molteplici istanze, a partire dall’obiettivo principale di ridare visibilità ad Anna de Noailles all’interno del panorama critico italiano, consolidando le basi per un pieno recupero della sua figura. Ci si augura quindi che questo sia solo l’inizio di un nuovo percorso di studi e traduzioni, che in Italia diano finalmente il giusto risalto ad un’autrice che, anche per aver «guadagnato al dominio poetico spazî […] di cui in tempi di diffusa coscienza ecologica si può forse più equanimemente apprezzare l’effettiva estensione», merita di ottenere il credito che le spetta per il suo originale e prezioso contributo alla storia della poesia.