Ancora su Un errore geografico di Romano Bilenchi rivisitato e l’idea di Maremma
Neri Binazzi, Luciano Giannelli

Ripubblichiamo qui, con alcuni arricchimenti e aggiornamenti, l’articolo già comparso nel 2021, sotto il titolo Un errore geografico di Romano Bilenchi rivisitato e l’idea di Maremma, in «Annali di Studi Umanistici», IX, 2021, pp. 47-62.

Vorremmo tornare sul racconto di Romano Bilenchi Un errore geografico.1

La nostra argomentazione è che forse non c’è (non ci fu) nessun errore, ma un perdonabilissimo e ben giustificato “equivoco” di Romano Bilenchi, come del resto dei suoi stessi “detrattori”.

Il giovane Bilenchi, a Firenze (cui si allude nel racconto con F.), è sottoposto, a scuola, a dileggio per l’esser definito maremmano in quanto colligiano: «Appena nominato G. [che cela Colle di Val d’Elsa] mi dissero “Ohé, maremmano!”» p. 117. Si inferisce da parte dei compagni, con sicurezza, che viene da una località di Maremma. E a p. 118 Bilenchi fa dire allo stesso professore: «”Il tuo paese, G., non è in Maremma?”». Ed è inutile che si ribelli e contesti. «”Ma dal mio paese alla Maremma ci sono per lo meno ottanta chilometri. È tutta una cosa diversa da noi. E poi G. è una città” dissi» (p. 118).

Luciano Giannelli certifica che a Colle (e a Volterra, poi si motiverà il riferimento a questa città) maremmano può essere impiegato come un’ingiuria (un po’ demodée).2 E del resto lo stesso Bilenchi: «“da noi maremmano è sinonimo d’uomo rozzo e ignorante”»; diremmo che ignorante vada inteso, alla toscana, come (anche o anche soltanto) alieno dalle buone maniere e malevolo.

Il significato di Maremma (parola fattasi toponimo, o coronimo) cambia nel tempo, si applica oggi di solito all’intera provincia di Grosseto e – abusivamente – a essa sola, mentre si tenta di scordare la consistenza maremmana – comunemente asserita ancor oggi – della parte meridionale almeno di quella che è oggi la provincia di Livorno, ma che fu la Maremma pisana (e Pisa, del resto, era richiamata dalla prima edizione del dizionario della Crusca, cfr. la nota 5). Bilenchi, con quegli ottanta chilometri pare riferirsi invero alla piana di Grosseto, e in riferimento a Grosseto possono essere interpretati anche i vari passi del racconto che si riferiscono al West.3 In realtà – va ribadito – i cecinesi si definiscono ancor oggi maremmani e lo stesso i piombinesi, e tanto richiama naturalmente anche le ben note reminiscenze carducciane.

Una veloce ricognizione lessicografica – che vedremo oltre in dettaglio – consente di rilevare il progressivo affermarsi in diacronia di maremma come nome proprio che si affianca a quello comune che chiama in causa l’origine della voce. Il termine maremma è infatti prosecuzione del latino marĭtima, a sua volta forma sostantivata dell’aggettivo (da regio maritima, senza scomodare Ora maritima di Rutilio Namaziano: «territorio / plaga adiacente al mare»; oppure forma da collegare direttamente al puro neutro plurale maritima “contrade marine”). In ogni caso da marĭtima si giunge a maremma in virtù di un percorso linguistico che prevede la caduta della /i/ post-tonica (è un fenomeno che avviene di frequente nelle parole sdrucciole: si pensi a calida(m) > calda, vĭride(m) > verde, e così via) e l’assimilazione in -mm- del nesso /tm/ che proprio in virtù di quella caduta è venuto a prodursi (anche in questo caso, il fenomeno è consueto, in particolare in una Toscana linguistica insofferente a sequenze consonantiche della tipologia /tm/, che nel parlato più trascurato tendono a essere semplificate: si pensi a ammosfèra “atmosfera”). Del resto, è ovvio ricordare Castellina, Rosignano, Massa, Civitella, tutti disambiguati da marittimo/a.

Allora, si voglia tener conto di questo episodio. Il più anziano degli autori va pochi anni fa con la famiglia in un bel ristorante nelle campagne che digradano da Montespertoli all’Arno; il ristoratore gli chiede di dove fosse, e sentito Colle commenta: Ah, vu ssiehe maremmani. Alle ovvie (bilenchiane) rimostranze, l’oste replica tranquillo, quanto perentorio: per noi icché gliè di là d’Ersa gliè Maremma. La Maremma la comincia all’Ersa.

Che cosa c’è al di là della riva sinistra dell’Elsa? Oltre a un cambiamento anche brusco del profilo del paesaggio, che si osserva specialmente venendo proprio da Montespertoli, e che vedremo ripreso da Marco Lisi, quando si passa dal “ridente” ipercoltivato territorio fiorentino a profili di colline boscate differenti, con “assaggi” – su certi guadi – di crete o biancane,4 c’è storicamente la diocesi di Volterra. E cos’era o è Volterra se non una città proiettata verso il mare, e che aveva comunque giurisdizione su zone marittime?

Allora, torniamo indietro, a un mondo pastorale, alla transumanza. Si pensi a tutte le Via/Strada Maremmana che ci sono in un’ampia area che, a ovest di Firenze, spazia tra Lastra a Signa, Montelupo, Empoli (dove Via Maremmana si articola in tre tratti discontinui), San Miniato. Più che a un reticolo, siamo di fronte a frammenti che si fa fatica a ricondurre a una direttrice comune: non è dunque escluso che tutte le vie Maremmane che in questa zona, ironia della sorte, quasi sempre finiscono per impaludarsi, possano richiamare una estensione del significato di Maremma che non è quella consueta (analoga a quella dell’oste di cui sopra o anche diversa, come vedremo in finale).

Ma anche se – sempre escludendo l’orbita radiale fiorentina – da ovest ci spostiamo a est ecco che torniamo a imbatterci nella rete delle maremmane. L’area attorno a Bagno a Ripoli, immediatamente a sud-est di Firenze, costituiva del resto, a partire dall’epoca medievale, un luogo di confluenza di vie della transumanza che, provenienti dalle aree montuose circostanti, muovevano verso il Chianti per proseguire poi verso il senese e la pianura costiera. Come traccia onomastica di queste caratteristiche dell’area, troviamo due spezzoni di Via Maremmana tra Bagno a Ripoli e Rignano sull’Arno.

Il borgo di San Donato in Collina rappresentava un punto focale per queste strade, sia per chi attraversava l’Arno a Rosano, provenendo dalla Val di Sieve, o a Rignano, scendendo dal Pratomagno, così come quelle passanti per Grassina: tutte comunque si dirigevano nel Chianti, al Passo dei Pecorai. Una volta poi giunte alle porte della Maremma, confluivano in un numero più limitato di tracciati. Queste vie, dette Maremmane della Transumanza, di origine medievale, ma alcune più antiche, sono rimaste in funzione sino al secondo dopoguerra.5

Da parte sua, la direttrice senese del percorso è segnalata, a Colle di Val d’Elsa, dalla presenza di una via Maremmana Vecchia, a cui negli anni Trenta del Novecento si affiancò una Maremmana Nuova: a sud di Colle le due vie confluivano in una strada che negli anni Settanta riceverà il nome di Traversa Maremmana, e che procedeva verso Roccastrada, nell’entroterra grossetano.

Ritorniamo sul racconto: «Sulla carta, nonostante non gli facessi passare per buona una sola delle sue affermazioni, abolendo i veri confini delle province e creandone dei nuovi immaginari, il professore riuscì a convincere i miei compagni, […], che G. era effettivamente in Maremma», (p. 119). Non è che il professore cassava il confine tra le province di Firenze e Pisa, Firenze e Siena, Siena e Grosseto ponendo il discrimine all’Elsa?

Abbiamo interpellato su questa ipotesi di rilevanza dei confini volterrani amici coltissimi di quella città, i quali hanno finito per essere abbastanza convinti della verosimiglianza di questa idea, pur ribadendo che oggi anche a Volterra maremmano si può impiegare per offendere. L’autopercezione di Volterra come città proiettata come egemone al mare è sfumata nei termini di un collegamento paritario se non subalterno alla nuova cittadina di Cecina , ma basta ripensare alla storia più recente che medievale e al ruolo della viabilità dal tardo XVIII per costatare una temperie diversa.

Si appalesano però di converso in letteratura recentissima percezioni particolari – talora problematiche – di dintorni di Volterra: scrive Marco Lisi nel suo San Gimignano. Una guida per perdersi (Mulazzo, Tarka 2021, p. 44), immaginando un viaggio – tutto per aspre colline – da San Gimignano a Volterra: «durante il viaggio di trasferimento, se tenete gli occhi ben aperti, vivrete l’esperienza del trapasso dal “Mondo” alla “Maremma”».6 Ambiguo risulta invero il passo di Piero Dorfles che parrebbe poter porre nell’«alta Maremma» il paese di Lajatico, collocato a qualche chilometro a nord-nord-ovest di Volterra, nell’alta Valdera, vallata separata ancora dal rilievo delle Biancanelle e dalla valle della Fine dai considerevoli poggi antistanti la breve pianura marittima:

È nel ’39 che Gillo, partendo dalla Clementina, la casa dei cugini Tabet vicino a Bolgheri, ha cominciato a girare l’alta Maremma con un sensale che vendeva delle proprietà nella zona, dove ha visitato varie tenute […] tra le proprietà che gli venivano proposte ha deciso per Lajatico.7

Richiamiamo invece anche la collocazione in Maremma operata da Alessandro Barbero8 per il paese di Serrazzano, nel Comune di Pomarance (Pisa), collocato, a sud di Volterra, piuttosto in alto nelle Colline Metallifere, e dal quale la Maremma piombinese si vede.

Pare opportuno cercar di cogliere la successione di usi e contesti di Maremma e maremmano sull’asse diacronico in un italiano non moderno, dando naturalmente per scontata l’inerente vaghezza del significato (la geometria variabile dell’estensione del significato di ciascuna voce, per noi appunto maremma, tra ‘area marittima/prossima al mare’, ‘zona paludosa’, e coronimo), che qui finisce per essere alimentata dalla vaghezza del referente (come vedremo, la storica indeterminatezza e variazione/variabilità della collocazione ed estensione del coronimo Maremma), con un unico elemento solido che è appunto quello etimologico.9

Da tempo, comunque, perché un’area costiera venga definita maremma deve avere caratteristiche particolari: come scrive la prima Crusca (con una definizione che sarà anche quella del Tommaseo-Bellini), trattasi di “campagna vicina al mare”, dove campagna dovrà intendersi come ‘campo di pianura’ (lo preciserà, tra gli altri, il Giorgini-Broglio: «Campagna estesa e in piano, vicino al mare»).

Crusca I Campagna vicino al mare. Lat. regio maritima
Tommaseo-Bellini Campagna vicina al mare
Giorgini-Broglio Campagna estesa e in piano, vicino al mare, dove l’aria è ordinariamente malsana
In prossimità con un litorale caratterizzato da maree ben poco apprezzabili, queste terre basse diventano luogo in cui le acque interne ristagnano, formando luoghi paludosi e in genere malsani, detti appunto maremme. Il fenomeno è puntualmente spiegato nel Vocabolario Treccani curato da Aldo Duro, che a sua volta tiene conto della definizione del Lessico Universale Italiano. In questi repertori, di maremma si parla prima di tutto proprio in termini corografici:

In geografia fisica, particolare conformazione che assumono le zone costiere pianeggianti davanti alle quali, per l’esiguità delle maree, si forma un cordone litoraneo chiuso, delimitante specchi d’acqua interni in cui sboccano corsi d’acqua, che a poco a poco tendono a colmarli di materiali solidi, producendo paludi e acquitrini.

Una delle prime volte in cui la lessicografia aveva registrato la degenerazione in palude del territorio indicato come maremma era stata la quinta edizione della Crusca (pubblicata, ricordiamo, negli anni 1863-1923), che diversamente dalle edizioni precedenti aveva avvertito il bisogno di precisare le caratteristiche di una maremma che fino ad allora la Crusca aveva definito senz’altro “campagna vicina al mare”:

Pianura estesa adiacente al mare, di aria, generalmente parlando, non buona, per acqua stagnante.

A questa definizione la quinta Crusca fa seguire un’esemplificazione particolarmente ricca, che presenta spesso maremma al plurale. Scorriamo qualche esempio:

Il moro è arbore noto (…), richiede luoghi sabbionosi, e le più volte maremma.

Quanto più scendi nelle valli al basso / In laghi di maremme e di pantani

E nelle maremme ancora della Italia molte volte fecero gran danni.

Gli spinge di Croazia e di Boemme / Come mandre a svernar nelle maremme

Su questa stessa falsariga si muoverà il Petrocchi, i cui primi esempi prevedono forme al plurale:

Luogo basso e paludoso lungo il mare. Le maremme toscane. Maremme venete.

Quando il riferimento geografico è la Toscana, la qualifica di maremma tende a investire soprattutto l’area oggi corrispondente alla provincia di Grosseto, e sottoposta fino al XVIII secolo alla giurisdizione senese. Seguiamo ancora i testimoni citati dalla quinta Crusca:

Inanzi al tempo della guerra fu (il bestiame) loro tolto nella maremma di Siena.

Il gichero, detto aro, nasce abbondantissimo nel contado di Gorizia, ed in Italia per tutto, massime in Toscana, ne’ campi, nelle vigne, nelle fosse, rasente le macchie e nelle maremme di Siena.

Se ci avverrà di bonificare le nostre maremme, guardiamoci dunque dall’introdurre una coltura che non è fatta per esse.

L’ultima testimonianza della serie, di Gino Capponi, ci ricorda che su quest’area si erano concentrati i progetti di bonifica del Granducato lorenese: già nella prima metà del Settecento Sallustio Bandini aveva affidato la propria proposta al celebre Discorso sulla Maremma senese (1737), pubblicato postumo nel 1775; pochi anni prima, Leonardo Ximenes aveva illustrato ai Georgofili e dato alle stampe Della fisica riduzione della Maremma senese Ragionamenti due a’ quali si aggiungono quattro perizie intorno alle operazioni sulla pianura grossetana ed all’arginatura del Fiume Ombrone (1769).

In Italia, le maremme – in ambito lessicografico – sono insomma una faccenda soprattutto toscana, e infine specificatamente senese-grossetana. Questa specificazione viene progressivamente recepita dalla lessicografia contemporanea, che, a differenza di quella del passato, affianca al nome comune la sua prosecuzione antonomastica, definendo con Maremma il territorio che, con qualche proposta di estensione a nord fino al corso della Cecina e a sud fino alla Tuscia viterbese, ha come riferimento principale l’attuale provincia di Grosseto.

Si veda intanto lo Zingarelli (1959):

marémma, f. *MARITIMA. Plaga bassa vicina al mare. | Campagna della Toscana e del Lazio lungo il Tirreno; spec. della provincia di Grosseto. | […] | I paesi lontanissimi. || –anaccio, m. peg. Maremmano zotico10

e si consideri poi la seguente tabella:

Migliorini Terra bassa e paludosa (per lo più d’aspetto squallido, infestata dalla malaria) lungo il mare Per antonomasia, Quella che va lungo il Tirreno, soprattutto nella provincia di Grosseto.
De Felice-Duro Formazione tipica, simile alla palude, ecc. Come nome proprio, Maremma toscana (e, per antonomasia, Maremma), la regione costiera della Toscana meridionale compresa tra Cecina e Tarquinia.
Treccani In geografia fisica, particolare conformazione che assumono le zone costiere pianeggianti davanti alle quali, per l’esiguità delle maree, si forma un cordone litoraneo chiuso, delimitante specchi d’acqua interni in cui sboccano corsi d’acqua, che a poco a poco tendono a colmarli di materiali solidi, producendo paludi e acquitrini. 2. per estens., spesso al plur., zona paludosa, malsana In Italia è chiamata per antonomasia Maremma (o Maremma Toscana) la fascia costiera della Toscana compresa tra il fiume Cecina e i Monti della Tolfa.
Sabatini-Coletti geogr. Pianura bassa e perlopiù paludosa situata lungo il mare o sotto il suo livello M. toscana o M., per antonomasia, zona pianeggiante che si estende tra la Toscana meridionale e il Lazio settentrionale, in passato paludosa, oggi bonificata e coltivata.
Più nell’indeterminato come indicazione di aree specifiche, e più tradizionale, resta il Devoto-Oli:

marémma s.f. L’aspetto assunto da una costa il cui cordone litoraneo rimane chiuso, delimitando specchi d’acqua interni, più o meno estesi- [lat. maritima (regio)]

Eppure, stando all’autorevole testimonianza di Emanuele Repetti, si può dire che almeno fino a metà Ottocento tutto il litorale toscano poteva fregiarsi del titolo di Maremma (parola che a sua volta secondo il geografo non comparirebbe prima dell’anno Mille); data la sua estensione, evidentemente legata a un caratteristico e diffuso profilo corografico, questa Maremma Toscana doveva essere distinta in sotto-sezioni, che l’autore elenca puntualmente nel terzo volume del Dizionario geografico fisico storico della Toscana (1839):

Sotto il nome specifico di Maremma o di Marittima toscana, che i geografi antichi, gli storici, gli economisti, e gli antiquarj raramente troveranno indicato innanzi il mille, sotto questo nome di Maremma, viene comunemente designata una porzione più o meno estesa del continente che guarda, o che si avvicina alla spiaggia del Mare toscano, a partire dalla bocca di Magra fino alla foce del Chiarone, passato il Lago di Burano. – La qual Maremma suole suddividersi in altrettante sezioni, quanti furono i contadi o distretti delle città marittime; cioè la Maremma Lunense o di Lunigiana, la Maremma Pisana, la Volterrana, la Populoniese, ora Massetana, la Grossetana, già Rosellense, la Sovanese, ossia Orbetellana.

Va notato che molti anni dopo, una simile definizione dei confini settentrionali della Maremma si ritrova nelle Fonografie valdelsane di Cepparelli: «Proprio a Sarzana, lassù ’n quelle maremme, pare…».11

Chiari per il riferimento al mare e alla giurisdizione, i confini di ciò che si definisce Maremma sono più sfuggenti per ciò che riguarda l’entroterra, come lo stesso autore sottolinea nel Dizionario corografico della Toscana (1855):

Questo nome di Maremma [Toscana], già Marittima, fu dato dopo il mille alla porzione più o meno estesa che guarda la spiaggia Toscana a partire dalla bocca di Magra fino alla bocca del Chiarone passato il lago di Burano. Dissi più o meno estesa stanteché se si conoscono i confini lungo il litorale, non si sa ancora dove nell’interno di terraferma la Maremma si stenda; tantoché dalla parte di Pietrasanta se questa città, più litoranea che altro, può comprendersi in Maremma, cessa ben tosto questo nome a un miglio circa dentro terra dove alla Maremma sottentrano i monti dell’Alpe Apuana; e dalla parte di Massa Marittima non si saprebbe indicare dove quella Maremma incominci, e molto meno si potrebbe segnalare nelle Valli dell’Ombrone sanese, dell’Albegna e della Fiora, dove il nome di Maremma equivale quasi a quello di mal’aria.

Non crediamo di doverci entusiasmare per quanto il Repetti dice a proposito di Massa Marittima; una interpretazione che intendesse riferirsi a ciò che è e sta oltre Massa Marittima a nord e a nord-est, cioè oltre le Colline Metallifere, vale a dire – guarda un po’ – Volterra e Colle di Val d’Elsa ci appare capziosa; si direbbe che Repetti si riferisca a chi tiene le spalle al mare, e chi conosce la configurazione dei terreni subito dopo Massa in direzione di Follonica (o in direzione di Grosseto stessa da Paganico), intende bene il senso di quanto Repetti qui afferma. A dispetto di quanto diciamo nella conclusione circa le selvagge plaghe che separano la Toscana “classica”, ben coltivata e antropizzata, dalla Maremma; che ora vogliamo vedere – con gli occhi del solito mezzadro prebellico ben stanziale e strettamente vincolato al podere – come misteriosa e minacciosa.

Riprendendo quella accezione di “paesi lontanissimi”, senza altre specificazioni, indicata dallo Zingarelli 1959, ci preme riferirci a france maremme, espressione di lunghissima tradizione usata per indicare un lontano e indistinto altrove,12 e attestata in lessicografia fin dalla prima Crusca, che dedica a france maremme un paragrafo interno della voce maremma:

§ France maremme, si dice per Dinotare un paese lontanissimo.

Il primo esempio di Crusca è un volgarizzamento del Davanzati, che con France maremme traduce il tacitiano de Gallis nostris: «Chi è quegli, che venuto a Roma di Spagna, o d’Asia, per non dire dalle France maremme [ne quid de Gallis nostris loquamur], cerchi di Saleio Basso?». L’altro esempio è del Salviati («Voi pensate a mandar per soccorso nelle France maremme»).

Le successive edizioni della Crusca mantengono queste testimonianze, salvo poi aggiungere, nella V impressione, quella settecentesca del commediografo senese Iacopo Nelli: («eh, dove vorebb’ella andare adesso, nelle France maremme?»)

France maremme tornerà poi, nella formulazione di Crusca, nel Tommaseo-Bellini («Si dice per Dinotare un Paese lontanissimo»), e poi nel Giorgino-Broglio, con ampia esemplificazione:

Fam. e scherz. Di paese molto lontano. Pare che sia andato nelle france maremme, per aver fatto un viaggiuccio di mare. Ha mandato la serva a comprar roba in mercato, e son tre ore che non è tornata: Che sia andata nelle france maremme?

L’espressione è anche nel Petrocchi, che si limita a darne la definizione di “Paese lontanissimo”. Abbiamo già visto prima e qui richiamato quanto si trova al lemma maremma dell’edizione 1959 dello Zingarelli, ed in effetti la registrazione più recente di France maremme sembra essere quella della decima edizione dello stesso vocabolario (1970).

La locuzione l’abbiamo attestata fino a pochi decenni fa, almeno in un uso individuale e comunque residuale.13 Prima, nelle Fonografie Valdelsane di Cepparelli (1896) abbiamo «par che vu vienga da le francie maremme voi» (p. 94).14 E che almeno in area fiorentina france maremme si possa considerare di disponibilità diffusa perlomeno fino agli anni Trenta del Novecento, lo dimostra un personaggio della commedia La famiglia di Bruno Carbocci (prima rappresentazione: Roma 1925). Qui la colorita (e naturalmente popolana) zia Zorampeide, accusata dalla nipote di parlare in modo trascurato (affidando alla forma ciarabacai l’incarico di esprimere in onomatopea l’idea una lingua confusa e improvvisata), chiama in causa le france maremme per esprimere una sorta di lontano chissà dove nella battuta in cui esprime il proprio disappunto davanti all’insofferenza linguistica della nipote. Ecco lo scambio di battute (I, 2):

ZORAMPEIDE: (urtandola con una gomitata) C’è da piglià nulla di fora?
NELLINA: Ma via! Ferma! Col fora! Si parlasse un po’ meglio… Uh, questo ciarabacai!
ZORAMPEIDE: (mortificata, da sé, avvolgendosi la sciarpa intorno al collo). Lei l’è delle france maremme! … Ma quande iersera la battiede i’ capo nell’imposta, la dientò più fiorentina di noi!

Ma ancora nei primi anni Duemila le indagini per la redazione del Vocabolario del fiorentino contemporaneo, condotte su rappresentanti anziani della comunità,15 hanno mostrato, in una testimonianza raccolta nel quartiere di Santa Croce, una confidenza con france maremme definita al tempo stesso dalla nitida consapevolezza del suo profilo semantico-stilistico (il valore di modalità espressiva per riferirsi a luoghi indistintamente remoti), e dalla sua percezione sociolinguistica come forma tipica del parlato di Firenze:

(R.: si dice andare nelle France maremme?) Come no? Nel senso… (Perché, un lo so). Ma: L’è andah(o) a lavorà nelle France Maremme. Forse perché… Maremma, all’epoca, l’era lontana. La canzone… Poi era malaria, eccetera. France non lo so (…). È un rafforzativo. Perché sarebbero le Maremme francesi, ma è un rafforzativo del lontano: Pe trovà lavoro gl’è toccah(o) andà nelle Fra… fin nelle France Maremme, capito? Questo sì, questo è un modo di dire proprio nostro.

Del resto, la circolazione di france maremme nella Firenze di metà Novecento ci pare confermato da una singolare testimonianza di Vincenzo Cardarelli che assumeremmo come fortemente pregnante e alla fine esplicativa. Cardarelli era per l’appunto nativo maremmano, della maremma romana (oggi correntemente detta laziale), nato proprio nella Corneto-Tarquinia ricordata da Dante,16 ma a lungo di stanza a Firenze, dove fu uno dei protagonisti della stagione delle riviste. La testimonianza del letterato non serve solo a rivelare la presenza di france maremme nel parlato toscano dell’epoca, ma – come tale – suggerisce che l’espressione potesse non essere soltanto una generica indicazione di lontananza, o avesse almeno una forte ambiguità. Nel 1949, ripercorrendo mentalmente un viaggio in treno da Pisa alla nativa Tarquinia, Cardarelli scrive infatti di aver attraversato proprio quelle lande che la Toscana dei contadini – a suo dire – usava chiamare france maremme:

Tarquinia è un paese abbastanza noto, se non altro per la sua posizione geografica e ferroviaria (…). Nel vasto agro che si distende fra Civitavecchia e il Chiarone, sorge inatteso, con le sue molte torri e i suoi campanili, come una San Gemignano in Maremma. È l’unico paese di aspetto propriamente toscano che s’incontri su questa linea e dista da Roma appena un centinaio di chilometri. Ma qui, su queste lande sospette e cosí poco abitate, l’apparizione di una cittadina come Tarquinia, situata sopra un colle non troppo alto e a poca distanza dalla stazione, dà luogo a una vera sorpresa, è una curiosità, una stranezza, che il viaggiatore non dimentica facilmente, specie se gli accada scoprirla venendo da Pisa, dopo aver viaggiato per ore e ore traverso l’ampia regione solitaria, ondulata e selvosa, che i contadini toscani chiamano «france maremme».17

Insomma, quel senso di remoto e insieme di indistinto che, negli ambienti popolari toscani, veniva evocato con l’espressione france maremme, potrebbe avere avuto come riferimento tipico (e a suo modo prototipico), e non sappiamo quanto consapevole, proprio quell’area della Toscana percorsa «per ore e ore», da Pisa in giù, dal treno di Cardarelli, e percepita dai quei toscani che vedremmo come identificati con un mondo contadino stanziale alieno dalla transumanza, sospettoso dei transumanti stessi, come terra incognita, incolta e sinistra, la Maremma dove appunto i transumanti andavano. Un posto – si direbbe – prima morale che fisico. Multiforme, anche: non necessariamente pianeggiante, tutt’altro,18 né inerentemente mefitico, comunque sinistro, come le pendici boscate dei monti che rendono il mare remoto e comunque un qualcosa che sta irrimediabilmente “altrove”. Si badi alla contrapposizione mondo/maremma di Marco Lisi sopra richiamato.

Il nonno dell’autore più anziano, mezzadro disdettato analfabeta, è morto nel 1961 con il desiderio inappagato di vedere la Maremma, là dove i suoi zii avevano abbattuto gli ultimi lupi: era permeato dalla moderna ma parrebbe non recentissima identificazione tra Maremma e zone comunque “grossetane”,19 o sognava le france maremme che pure non chiamava così? E se assumiamo che questa fosse la maremma del mezzadro stanziale, perché tali suggestioni non dovevano essere nella stessa Firenze, tra i ceti popolari, nell’immaginario, e concretamente e tecnicamente tra chi conosceva il mondo della transumanza, e che vedeva la Maremma anche nei territori (relativamente) inospitali che conducevano alle piane marittime, o sapeva, insieme a strati colti (il professore di Bilenchi) che si operavano anche vecchie partizioni che facevano riferimento a giurisdizioni antiche?

Ci pare insomma che una pluralità di fattori potessero indurre gente di Firenze, in un mondo in cui la mobilità di massa odierna o anche solo degli anni ’60 del secolo scorso era inimmaginabile, a rappresentarsi Colle di Val d’Elsa in Maremma. Sbagliando, o forse no.

Note

1 R. Bilenchi, Un errore geografico [1938 su «Letteratura»], in Id., Opere, a cura di B. Centovalli, Milano, Rizzoli, 1997, pp. 117-124. Cfr. Cronologia, ivi, pp. XXII.

2 E, parrebbe, del tutto pregressa a Firenze. Ma il racconto attesterebbe una realtà diversa: «le grida e le offese raddoppiarono: Vidi che gridavano anche le ragazze. “Maremmano, maremmano, maremmano: viene da G.”», ivi, p. 121.

3 Il meno giovane degli autori ricorda di aver visto nel 1959 nella piazza del Duomo di Grosseto dei butteri effettivamente vestiti come cow boys secondo il canone hollywoodiano. Spettacolo oggi impensabile, alla kermesse de La Merca o altrove.

4 Il paesaggio collinare “selvatico” dell’acrocoro centrale toscano (le Colline Metallifere con la loro appendice Montagnola Senese-Montemaggio), e le biancane volterrane non sono ovviamente il paesaggio maremmano come s’immagina in riferimento alle pianure o basse colline marittime. Ma sulla commistione e la geometria variabile della Maremma si è già detto e si confrontino poi le note 14 e 15.

5 E. Morelli, Strade e paesaggi della Toscana. Il paesaggio dalla strada, la strada come paesaggio, Firenze, Alinea, 2007, p. 65

6 M. Lisi, San Gimignano. Una guida per perdersi, Mulazzo, Tarka, 2021, p. 44.

7 P. Dorfles, Chiassovezzano, Milano, Bompiani, 2024. p. 23.

8 A. Barbero, Dante, Bari-Roma, Laterza 2020, p. 141.

9 Questi, in dettaglio, i testimoni di lingua a cui ci siamo affidati per tratteggiare (a grandi linee) profilo ed evoluzione del campo lessicale ‘maremma’, e che ricorderemo nel corso del lavoro: Vocabolario degli accademici della Crusca, I impressione, 1612, e V impressione, 1863-1923; N. Tommaseo, B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino, Unione Tipografica Torinese, 1861-1879; Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, a cura di G.B. Giorgini, E. Broglio, Firenze, Cellini, 1870-1897 (in ristampa anastatica: Firenze, Le Lettere, 1979); P. Petrocchi, Novo dizionario universale della lingua italiana, Milano, Treves, 1887-1901; Lessico Universale Italiano, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1968-1986; Grande dizionario della lingua italiana, a cura di S. Battaglia, Torino, Utet, 1961-2002; N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1959 (VIII ed.), 1970 (X ed.); G. Devoto, G.C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 1982 (XIV ed.; I ed. 1970); E. De Felice, A. Duro, Dizionario della lingua e della civiltà italiana contemporanea, Palermo, Palumbo, 1975; B. Migliorini, Vocabolario della lingua italiana, Torino, Paravia, 1975; Vocabolario della lingua italiana, a cura di A. Duro, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1986-1994; F. Sabatini, V. Coletti, DISC: Dizionario Sabatini-Coletti, Firenze, Giunti, 1997.

10 Sui “paesi lontanissimi” dello Zingarelli torneremo ampiamente oltre.

11 Garibaldo Cepparelli, Fonografie valdelsane, Città di San Gimignano, Quaderni della Biblioteca – Ristampe 2, 1990, con ristampa anastatica dell’edizione Bemporad, Firenze 1896, p. 31. Va detto che l’apparente sostegno alla connessione Sarzana/Maremma in Dante di Barbero, citato, che indica (p. 128) in Maremma l’esilio (dato comunemente come sarzanese) di Guido Cavalcanti, è totalmente dubbio, si veda la discussione in Dante a p. 141 e connessa nota 12 a p. 306, sull’alternativa tra Sarza e Serrazzano come scioglimento dei toponimi richiamati nelle cronache medievali.

12 Naturalmente, ci si chiede se originariamente non sia un riferimento alla Camargue o ad altre lande marittime francesi.

13 Massimo Fanfani – che ringraziamo – ci comunica che sentiva al Malmantile (sulle alture a sinistra dell’Arno all’altezza delle Signe) persone che usavano questa espressione; d’altro canto è assicurato dalla madre del più giovane degli autori l’uso espressivo, appunto, di france maremme da parte del proprio padre, nato nel 1914 a Badia a Ripoli, all’epoca uno dei tanti ‘orti’ alle porte di Firenze, da una famiglia di mezzadri che era originaria dell’area di Gambassi-Montaione, dove aveva a lungo lavorato. Si cfr. la nota 12.

14 Cepparelli attesta quindi la locuzione per la Valdelsa anche a sinistra del fiume (Cepparelli è di San Gimignano, anche se fa riferimento a un mélange linguistico e magari etnografico “pan-valdelsano”). Ovviamente, il riferimento a qualcosa di “maremma” è “sempre più in là”, a dispetto del “confine” che invoca il nostro oste tra Arno e Montespertoli, ponendolo appunto al corso dell’Elsa; vedi d’altronde la nota 13 per un’altra – solo possibile – attestazione dalla Valdelsa. Non sappiamo poi giustificare convincentemente questa grafia francie. Cepparelli è solitamente molto attento alla grafia, ma per una interpretazione franciche dobbiamo notare che non viene mai segnato il pur abbondantissimo dileguo della laringale (pur tipico della maggior parte del territorio valdelsano) e che poi francico ci pare vocabolo alquanto improbabile nel contesto dato.

15 Cfr. Vocabolario fiorentino.

16 Certamente il passo dantesco (Inferno, XIII; 3, 9) da Cecina a Corneto è alla base d tante indicazioni dei limiti della Maremma, anche viste prima in lessicografia; va notato però che nelle terzine del canto non si fa poi mai alcun riferimento – esplicito o implicito – a Maremma o maremma.

17 V. Cardarelli, Il cielo sulle città, Milano, Bompiani, 1939, p. 13.

18 Questo riferimento a terreni non pianeggianti, ed anzi questa inclusione di aree chiaramente montane è alla base della stessa interpretazione anche corrente di Maremma come provincia di Grosseto (parzialmente “legittimata”, se non anticipata, da una insistenza lessicografica prima vista sulla collocazione grossetana delle maremme), cfr. anche la successiva nota 19.

19 Gli abbattimenti erano richiamati come collocati nella zona di Prata, in montagna. Si badi che l’epiteto di maremmano, stavolta benevolo, è affibbiato a Renato Fucini, maestro della poesia vernacolare pisana, da Athos Valori, che gli dedica nel 1980 il sonetto Er maremmano (A. Valori, Il vernacolo del Valori, La Goliardica, Pisa 2000, p. 144), ma il Fucini è definito «nato nella maremma grossetana» da Edmondo De Amicis nella prefazione che troviamo nella trentesima edizione Trevisini de Le poesie di Neri Tanfucio, Milano, s.d., che scrive «era nato a Monterotondo Marittimo nella maremma grossetana, era vissuto qualche tempo a Livorno, a Empoli, a Vinci, aveva studiato a Pisa […] Siccome era allora ingegnere del Municipio di Firenze, lo vedevo sovente per le vie della città» (E. De Amicis, I sonetti del Fucini, riportato (riprodotto) alle pp. 7-18 della citata edizione Trevisini, p. 11). Scontata pure una possibile ignoranza di Edmondo De Amicis della collocazione assolutamente montana di Monterotondo, resta l’identificazione non recente di maremma con ciò che è ‘grossetano’ (comunque ricadente in provincia di Grosseto) ed evidentemente una tradizione ad oggi di una condizione di maremmano di una persona che ha trascorso la sua vita – come certifica lo stesso De Amicis – altrove.