Ancora su Un errore geografico di Romano Bilenchi rivisitato e l’idea di Maremma
Neri Binazzi, Luciano Giannelli
Vorremmo tornare sul racconto di Romano Bilenchi Un errore geografico.1
La nostra argomentazione è che forse non c’è (non ci fu) nessun errore, ma un perdonabilissimo e ben giustificato “equivoco” di Romano Bilenchi, come del resto dei suoi stessi “detrattori”.
Il giovane Bilenchi, a Firenze (cui si allude nel racconto con F.), è sottoposto, a scuola, a dileggio per l’esser definito maremmano in quanto colligiano: «Appena nominato G. [che cela Colle di Val d’Elsa] mi dissero “Ohé, maremmano!”» p. 117. Si inferisce da parte dei compagni, con sicurezza, che viene da una località di Maremma. E a p. 118 Bilenchi fa dire allo stesso professore: «”Il tuo paese, G., non è in Maremma?”». Ed è inutile che si ribelli e contesti. «”Ma dal mio paese alla Maremma ci sono per lo meno ottanta chilometri. È tutta una cosa diversa da noi. E poi G. è una città” dissi» (p. 118).
Luciano Giannelli certifica che a Colle (e a Volterra, poi si motiverà il riferimento a questa città) maremmano può essere impiegato come un’ingiuria (un po’ demodée).2 E del resto lo stesso Bilenchi: «“da noi maremmano è sinonimo d’uomo rozzo e ignorante”»; diremmo che ignorante vada inteso, alla toscana, come (anche o anche soltanto) alieno dalle buone maniere e malevolo.
Il significato di Maremma (parola fattasi toponimo, o coronimo) cambia nel tempo, si applica oggi di solito all’intera provincia di Grosseto e – abusivamente – a essa sola, mentre si tenta di scordare la consistenza maremmana – comunemente asserita ancor oggi – della parte meridionale almeno di quella che è oggi la provincia di Livorno, ma che fu la Maremma pisana (e Pisa, del resto, era richiamata dalla prima edizione del dizionario della Crusca, cfr. la nota 5). Bilenchi, con quegli ottanta chilometri pare riferirsi invero alla piana di Grosseto, e in riferimento a Grosseto possono essere interpretati anche i vari passi del racconto che si riferiscono al West.3 In realtà – va ribadito – i cecinesi si definiscono ancor oggi maremmani e lo stesso i piombinesi, e tanto richiama naturalmente anche le ben note reminiscenze carducciane.
Una veloce ricognizione lessicografica – che vedremo oltre in dettaglio – consente di rilevare il progressivo affermarsi in diacronia di maremma come nome proprio che si affianca a quello comune che chiama in causa l’origine della voce. Il termine maremma è infatti prosecuzione del latino marĭtima, a sua volta forma sostantivata dell’aggettivo (da regio maritima, senza scomodare Ora maritima di Rutilio Namaziano: «territorio / plaga adiacente al mare»; oppure forma da collegare direttamente al puro neutro plurale maritima “contrade marine”). In ogni caso da marĭtima si giunge a maremma in virtù di un percorso linguistico che prevede la caduta della /i/ post-tonica (è un fenomeno che avviene di frequente nelle parole sdrucciole: si pensi a calida(m) > calda, vĭride(m) > verde, e così via) e l’assimilazione in -mm- del nesso /tm/ che proprio in virtù di quella caduta è venuto a prodursi (anche in questo caso, il fenomeno è consueto, in particolare in una Toscana linguistica insofferente a sequenze consonantiche della tipologia /tm/, che nel parlato più trascurato tendono a essere semplificate: si pensi a ammosfèra “atmosfera”). Del resto, è ovvio ricordare Castellina, Rosignano, Massa, Civitella, tutti disambiguati da marittimo/a.
Allora, si voglia tener conto di questo episodio. Il più anziano degli autori va pochi anni fa con la famiglia in un bel ristorante nelle campagne che digradano da Montespertoli all’Arno; il ristoratore gli chiede di dove fosse, e sentito Colle commenta: Ah, vu ssiehe maremmani. Alle ovvie (bilenchiane) rimostranze, l’oste replica tranquillo, quanto perentorio: per noi icché gliè di là d’Ersa gliè Maremma. La Maremma la comincia all’Ersa.
Che cosa c’è al di là della riva sinistra dell’Elsa? Oltre a un cambiamento anche brusco del profilo del paesaggio, che si osserva specialmente venendo proprio da Montespertoli, e che vedremo ripreso da Marco Lisi, quando si passa dal “ridente” ipercoltivato territorio fiorentino a profili di colline boscate differenti, con “assaggi” – su certi guadi – di crete o biancane,4 c’è storicamente la diocesi di Volterra. E cos’era o è Volterra se non una città proiettata verso il mare, e che aveva comunque giurisdizione su zone marittime?
Allora, torniamo indietro, a un mondo pastorale, alla transumanza. Si pensi a tutte le Via/Strada Maremmana che ci sono in un’ampia area che, a ovest di Firenze, spazia tra Lastra a Signa, Montelupo, Empoli (dove Via Maremmana si articola in tre tratti discontinui), San Miniato. Più che a un reticolo, siamo di fronte a frammenti che si fa fatica a ricondurre a una direttrice comune: non è dunque escluso che tutte le vie Maremmane che in questa zona, ironia della sorte, quasi sempre finiscono per impaludarsi, possano richiamare una estensione del significato di Maremma che non è quella consueta (analoga a quella dell’oste di cui sopra o anche diversa, come vedremo in finale).
Ma anche se – sempre escludendo l’orbita radiale fiorentina – da ovest ci spostiamo a est ecco che torniamo a imbatterci nella rete delle maremmane. L’area attorno a Bagno a Ripoli, immediatamente a sud-est di Firenze, costituiva del resto, a partire dall’epoca medievale, un luogo di confluenza di vie della transumanza che, provenienti dalle aree montuose circostanti, muovevano verso il Chianti per proseguire poi verso il senese e la pianura costiera. Come traccia onomastica di queste caratteristiche dell’area, troviamo due spezzoni di Via Maremmana tra Bagno a Ripoli e Rignano sull’Arno.
Ritorniamo sul racconto: «Sulla carta, nonostante non gli facessi passare per buona una sola delle sue affermazioni, abolendo i veri confini delle province e creandone dei nuovi immaginari, il professore riuscì a convincere i miei compagni, […], che G. era effettivamente in Maremma», (p. 119). Non è che il professore cassava il confine tra le province di Firenze e Pisa, Firenze e Siena, Siena e Grosseto ponendo il discrimine all’Elsa?
Abbiamo interpellato su questa ipotesi di rilevanza dei confini volterrani amici coltissimi di quella città, i quali hanno finito per essere abbastanza convinti della verosimiglianza di questa idea, pur ribadendo che oggi anche a Volterra maremmano si può impiegare per offendere. L’autopercezione di Volterra come città proiettata come egemone al mare è sfumata nei termini di un collegamento paritario se non subalterno alla nuova cittadina di Cecina , ma basta ripensare alla storia più recente che medievale e al ruolo della viabilità dal tardo XVIII per costatare una temperie diversa.
Si appalesano però di converso in letteratura recentissima percezioni particolari – talora problematiche – di dintorni di Volterra: scrive Marco Lisi nel suo San Gimignano. Una guida per perdersi (Mulazzo, Tarka 2021, p. 44), immaginando un viaggio – tutto per aspre colline – da San Gimignano a Volterra: «durante il viaggio di trasferimento, se tenete gli occhi ben aperti, vivrete l’esperienza del trapasso dal “Mondo” alla “Maremma”».6 Ambiguo risulta invero il passo di Piero Dorfles che parrebbe poter porre nell’«alta Maremma» il paese di Lajatico, collocato a qualche chilometro a nord-nord-ovest di Volterra, nell’alta Valdera, vallata separata ancora dal rilievo delle Biancanelle e dalla valle della Fine dai considerevoli poggi antistanti la breve pianura marittima:
Pare opportuno cercar di cogliere la successione di usi e contesti di Maremma e maremmano sull’asse diacronico in un italiano non moderno, dando naturalmente per scontata l’inerente vaghezza del significato (la geometria variabile dell’estensione del significato di ciascuna voce, per noi appunto maremma, tra ‘area marittima/prossima al mare’, ‘zona paludosa’, e coronimo), che qui finisce per essere alimentata dalla vaghezza del referente (come vedremo, la storica indeterminatezza e variazione/variabilità della collocazione ed estensione del coronimo Maremma), con un unico elemento solido che è appunto quello etimologico.9
Da tempo, comunque, perché un’area costiera venga definita maremma deve avere caratteristiche particolari: come scrive la prima Crusca (con una definizione che sarà anche quella del Tommaseo-Bellini), trattasi di “campagna vicina al mare”, dove campagna dovrà intendersi come ‘campo di pianura’ (lo preciserà, tra gli altri, il Giorgini-Broglio: «Campagna estesa e in piano, vicino al mare»).
Crusca I | Campagna vicino al mare. Lat. regio maritima |
Tommaseo-Bellini | Campagna vicina al mare |
Giorgini-Broglio | Campagna estesa e in piano, vicino al mare, dove l’aria è ordinariamente malsana |
Quanto più scendi nelle valli al basso / In laghi di maremme e di pantani
E nelle maremme ancora della Italia molte volte fecero gran danni.
Gli spinge di Croazia e di Boemme / Come mandre a svernar nelle maremme
Il gichero, detto aro, nasce abbondantissimo nel contado di Gorizia, ed in Italia per tutto, massime in Toscana, ne’ campi, nelle vigne, nelle fosse, rasente le macchie e nelle maremme di Siena.
Se ci avverrà di bonificare le nostre maremme, guardiamoci dunque dall’introdurre una coltura che non è fatta per esse.
In Italia, le maremme – in ambito lessicografico – sono insomma una faccenda soprattutto toscana, e infine specificatamente senese-grossetana. Questa specificazione viene progressivamente recepita dalla lessicografia contemporanea, che, a differenza di quella del passato, affianca al nome comune la sua prosecuzione antonomastica, definendo con Maremma il territorio che, con qualche proposta di estensione a nord fino al corso della Cecina e a sud fino alla Tuscia viterbese, ha come riferimento principale l’attuale provincia di Grosseto.
Si veda intanto lo Zingarelli (1959):
Migliorini | Terra bassa e paludosa (per lo più d’aspetto squallido, infestata dalla malaria) lungo il mare | Per antonomasia, Quella che va lungo il Tirreno, soprattutto nella provincia di Grosseto. |
De Felice-Duro | Formazione tipica, simile alla palude, ecc. | Come nome proprio, Maremma toscana (e, per antonomasia, Maremma), la regione costiera della Toscana meridionale compresa tra Cecina e Tarquinia. |
Treccani | In geografia fisica, particolare conformazione che assumono le zone costiere pianeggianti davanti alle quali, per l’esiguità delle maree, si forma un cordone litoraneo chiuso, delimitante specchi d’acqua interni in cui sboccano corsi d’acqua, che a poco a poco tendono a colmarli di materiali solidi, producendo paludi e acquitrini. 2. per estens., spesso al plur., zona paludosa, malsana | In Italia è chiamata per antonomasia Maremma (o Maremma Toscana) la fascia costiera della Toscana compresa tra il fiume Cecina e i Monti della Tolfa. |
Sabatini-Coletti | geogr. Pianura bassa e perlopiù paludosa situata lungo il mare o sotto il suo livello | M. toscana o M., per antonomasia, zona pianeggiante che si estende tra la Toscana meridionale e il Lazio settentrionale, in passato paludosa, oggi bonificata e coltivata. |
Chiari per il riferimento al mare e alla giurisdizione, i confini di ciò che si definisce Maremma sono più sfuggenti per ciò che riguarda l’entroterra, come lo stesso autore sottolinea nel Dizionario corografico della Toscana (1855):
Riprendendo quella accezione di “paesi lontanissimi”, senza altre specificazioni, indicata dallo Zingarelli 1959, ci preme riferirci a france maremme, espressione di lunghissima tradizione usata per indicare un lontano e indistinto altrove,12 e attestata in lessicografia fin dalla prima Crusca, che dedica a france maremme un paragrafo interno della voce maremma:
Le successive edizioni della Crusca mantengono queste testimonianze, salvo poi aggiungere, nella V impressione, quella settecentesca del commediografo senese Iacopo Nelli: («eh, dove vorebb’ella andare adesso, nelle France maremme?»)
France maremme tornerà poi, nella formulazione di Crusca, nel Tommaseo-Bellini («Si dice per Dinotare un Paese lontanissimo»), e poi nel Giorgino-Broglio, con ampia esemplificazione:
La locuzione l’abbiamo attestata fino a pochi decenni fa, almeno in un uso individuale e comunque residuale.13 Prima, nelle Fonografie Valdelsane di Cepparelli (1896) abbiamo «par che vu vienga da le francie maremme voi» (p. 94).14 E che almeno in area fiorentina france maremme si possa considerare di disponibilità diffusa perlomeno fino agli anni Trenta del Novecento, lo dimostra un personaggio della commedia La famiglia di Bruno Carbocci (prima rappresentazione: Roma 1925). Qui la colorita (e naturalmente popolana) zia Zorampeide, accusata dalla nipote di parlare in modo trascurato (affidando alla forma ciarabacai l’incarico di esprimere in onomatopea l’idea una lingua confusa e improvvisata), chiama in causa le france maremme per esprimere una sorta di lontano chissà dove nella battuta in cui esprime il proprio disappunto davanti all’insofferenza linguistica della nipote. Ecco lo scambio di battute (I, 2):
NELLINA: Ma via! Ferma! Col fora! Si parlasse un po’ meglio… Uh, questo ciarabacai!
ZORAMPEIDE: (mortificata, da sé, avvolgendosi la sciarpa intorno al collo). Lei l’è delle france maremme! … Ma quande iersera la battiede i’ capo nell’imposta, la dientò più fiorentina di noi!
Il nonno dell’autore più anziano, mezzadro disdettato analfabeta, è morto nel 1961 con il desiderio inappagato di vedere la Maremma, là dove i suoi zii avevano abbattuto gli ultimi lupi: era permeato dalla moderna ma parrebbe non recentissima identificazione tra Maremma e zone comunque “grossetane”,19 o sognava le france maremme che pure non chiamava così? E se assumiamo che questa fosse la maremma del mezzadro stanziale, perché tali suggestioni non dovevano essere nella stessa Firenze, tra i ceti popolari, nell’immaginario, e concretamente e tecnicamente tra chi conosceva il mondo della transumanza, e che vedeva la Maremma anche nei territori (relativamente) inospitali che conducevano alle piane marittime, o sapeva, insieme a strati colti (il professore di Bilenchi) che si operavano anche vecchie partizioni che facevano riferimento a giurisdizioni antiche?
Ci pare insomma che una pluralità di fattori potessero indurre gente di Firenze, in un mondo in cui la mobilità di massa odierna o anche solo degli anni ’60 del secolo scorso era inimmaginabile, a rappresentarsi Colle di Val d’Elsa in Maremma. Sbagliando, o forse no.
1 R. Bilenchi, Un errore geografico [1938 su «Letteratura»], in Id., Opere, a cura di B. Centovalli, Milano, Rizzoli, 1997, pp. 117-124. Cfr. Cronologia, ivi, pp. XXII.
2 E, parrebbe, del tutto pregressa a Firenze. Ma il racconto attesterebbe una realtà diversa: «le grida e le offese raddoppiarono: Vidi che gridavano anche le ragazze. “Maremmano, maremmano, maremmano: viene da G.”», ivi, p. 121.
3 Il meno giovane degli autori ricorda di aver visto nel 1959 nella piazza del Duomo di Grosseto dei butteri effettivamente vestiti come cow boys secondo il canone hollywoodiano. Spettacolo oggi impensabile, alla kermesse de La Merca o altrove.
4 Il paesaggio collinare “selvatico” dell’acrocoro centrale toscano (le Colline Metallifere con la loro appendice Montagnola Senese-Montemaggio), e le biancane volterrane non sono ovviamente il paesaggio maremmano come s’immagina in riferimento alle pianure o basse colline marittime. Ma sulla commistione e la geometria variabile della Maremma si è già detto e si confrontino poi le note 14 e 15.
5 E. Morelli, Strade e paesaggi della Toscana. Il paesaggio dalla strada, la strada come paesaggio, Firenze, Alinea, 2007, p. 65
6 M. Lisi, San Gimignano. Una guida per perdersi, Mulazzo, Tarka, 2021, p. 44.
7 P. Dorfles, Chiassovezzano, Milano, Bompiani, 2024. p. 23.
8 A. Barbero, Dante, Bari-Roma, Laterza 2020, p. 141.
9 Questi, in dettaglio, i testimoni di lingua a cui ci siamo affidati per tratteggiare (a grandi linee) profilo ed evoluzione del campo lessicale ‘maremma’, e che ricorderemo nel corso del lavoro: Vocabolario degli accademici della Crusca, I impressione, 1612, e V impressione, 1863-1923; N. Tommaseo, B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino, Unione Tipografica Torinese, 1861-1879; Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, a cura di G.B. Giorgini, E. Broglio, Firenze, Cellini, 1870-1897 (in ristampa anastatica: Firenze, Le Lettere, 1979); P. Petrocchi, Novo dizionario universale della lingua italiana, Milano, Treves, 1887-1901; Lessico Universale Italiano, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1968-1986; Grande dizionario della lingua italiana, a cura di S. Battaglia, Torino, Utet, 1961-2002; N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1959 (VIII ed.), 1970 (X ed.); G. Devoto, G.C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 1982 (XIV ed.; I ed. 1970); E. De Felice, A. Duro, Dizionario della lingua e della civiltà italiana contemporanea, Palermo, Palumbo, 1975; B. Migliorini, Vocabolario della lingua italiana, Torino, Paravia, 1975; Vocabolario della lingua italiana, a cura di A. Duro, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1986-1994; F. Sabatini, V. Coletti, DISC: Dizionario Sabatini-Coletti, Firenze, Giunti, 1997.
10 Sui “paesi lontanissimi” dello Zingarelli torneremo ampiamente oltre.
11 Garibaldo Cepparelli, Fonografie valdelsane, Città di San Gimignano, Quaderni della Biblioteca – Ristampe 2, 1990, con ristampa anastatica dell’edizione Bemporad, Firenze 1896, p. 31. Va detto che l’apparente sostegno alla connessione Sarzana/Maremma in Dante di Barbero, citato, che indica (p. 128) in Maremma l’esilio (dato comunemente come sarzanese) di Guido Cavalcanti, è totalmente dubbio, si veda la discussione in Dante a p. 141 e connessa nota 12 a p. 306, sull’alternativa tra Sarza e Serrazzano come scioglimento dei toponimi richiamati nelle cronache medievali.
12 Naturalmente, ci si chiede se originariamente non sia un riferimento alla Camargue o ad altre lande marittime francesi.
13 Massimo Fanfani – che ringraziamo – ci comunica che sentiva al Malmantile (sulle alture a sinistra dell’Arno all’altezza delle Signe) persone che usavano questa espressione; d’altro canto è assicurato dalla madre del più giovane degli autori l’uso espressivo, appunto, di france maremme da parte del proprio padre, nato nel 1914 a Badia a Ripoli, all’epoca uno dei tanti ‘orti’ alle porte di Firenze, da una famiglia di mezzadri che era originaria dell’area di Gambassi-Montaione, dove aveva a lungo lavorato. Si cfr. la nota 12.
14 Cepparelli attesta quindi la locuzione per la Valdelsa anche a sinistra del fiume (Cepparelli è di San Gimignano, anche se fa riferimento a un mélange linguistico e magari etnografico “pan-valdelsano”). Ovviamente, il riferimento a qualcosa di “maremma” è “sempre più in là”, a dispetto del “confine” che invoca il nostro oste tra Arno e Montespertoli, ponendolo appunto al corso dell’Elsa; vedi d’altronde la nota 13 per un’altra – solo possibile – attestazione dalla Valdelsa. Non sappiamo poi giustificare convincentemente questa grafia francie. Cepparelli è solitamente molto attento alla grafia, ma per una interpretazione franciche dobbiamo notare che non viene mai segnato il pur abbondantissimo dileguo della laringale (pur tipico della maggior parte del territorio valdelsano) e che poi francico ci pare vocabolo alquanto improbabile nel contesto dato.
15 Cfr. Vocabolario fiorentino.
16 Certamente il passo dantesco (Inferno, XIII; 3, 9) da Cecina a Corneto è alla base d tante indicazioni dei limiti della Maremma, anche viste prima in lessicografia; va notato però che nelle terzine del canto non si fa poi mai alcun riferimento – esplicito o implicito – a Maremma o maremma.
17 V. Cardarelli, Il cielo sulle città, Milano, Bompiani, 1939, p. 13.
18 Questo riferimento a terreni non pianeggianti, ed anzi questa inclusione di aree chiaramente montane è alla base della stessa interpretazione anche corrente di Maremma come provincia di Grosseto (parzialmente “legittimata”, se non anticipata, da una insistenza lessicografica prima vista sulla collocazione grossetana delle maremme), cfr. anche la successiva nota 19.
19 Gli abbattimenti erano richiamati come collocati nella zona di Prata, in montagna. Si badi che l’epiteto di maremmano, stavolta benevolo, è affibbiato a Renato Fucini, maestro della poesia vernacolare pisana, da Athos Valori, che gli dedica nel 1980 il sonetto Er maremmano (A. Valori, Il vernacolo del Valori, La Goliardica, Pisa 2000, p. 144), ma il Fucini è definito «nato nella maremma grossetana» da Edmondo De Amicis nella prefazione che troviamo nella trentesima edizione Trevisini de Le poesie di Neri Tanfucio, Milano, s.d., che scrive «era nato a Monterotondo Marittimo nella maremma grossetana, era vissuto qualche tempo a Livorno, a Empoli, a Vinci, aveva studiato a Pisa […] Siccome era allora ingegnere del Municipio di Firenze, lo vedevo sovente per le vie della città» (E. De Amicis, I sonetti del Fucini, riportato (riprodotto) alle pp. 7-18 della citata edizione Trevisini, p. 11). Scontata pure una possibile ignoranza di Edmondo De Amicis della collocazione assolutamente montana di Monterotondo, resta l’identificazione non recente di maremma con ciò che è ‘grossetano’ (comunque ricadente in provincia di Grosseto) ed evidentemente una tradizione ad oggi di una condizione di maremmano di una persona che ha trascorso la sua vita – come certifica lo stesso De Amicis – altrove.