Ho riletto con attenzione Lontananze di Francesco Diaco e vorrei muovere all’autore alcune obiezioni, partendo da un mio convincimento rafforzatosi negli ultimi tempi: il discorso su Fortini e la sua opera è meglio che non si riduca a un confronto tra “fortiniani” o addetti ai lavori. Non ho pregiudizi verso gli studiosi che si applichino da specialisti a un autore anche per me fondamentale, ma la piega scolastica che a volte anche la riflessione sull’opera di Fortini ha assunto in passato andrebbe evitata. Più importante e urgente mi pare oggi costruire un’immagine veritiera di Fortini che possa circolare extra nos e raggiungere altri, soprattutto quanti lo ignorano o conoscono poco le sue opere.
Dovremmo, perciò, ripensare le più valide tra le sue difficili «questioni di frontiera» politiche, letterarie e poetiche, riformulandole in un mondo sconvolto rispetto a quello in cui egli visse. Il vecchio pubblico (una minoranza che per cause naturali va scemando) conosce Fortini per quel che fu o gli apparve: intellettuale prima protestante e poi marxista critico e “comunista speciale”; poeta che non si quietava nella poesia; saggista combattente e polemico. Ma vede ora – diciamocelo onestamente – la sua figura allontanarsi e appannarsi nella memoria (come accadde all’immagine di Lisiát, di cui egli scrisse proprio in Questioni di frontiera) per svolgere – come il suo amato Brecht – la funzione preziosa ma inattuale dei classici che non parlano più immediatamente al nostro presente. (E non è detto che tale funzione non possa indebolirsi o svanire…). Il pubblico nuovo ignora chi fu Fortini, la sua biografia, i problemi con cui si misurò, le scelte di poetica e di politica che fece in vita. E s’accosta ai suoi scritti, sì, apparentemente vergine (di sicuro senza il peso dei ricordi e delle bastonate della storia) ma sovraccarico degli stereotipi dell’oggi che inducono a interpretazioni non solo impertinenti ma grossolane. Ecco perché l’idea, affacciata nel 2013 da Ezio Partesana, di un «Manuale per Fortini»,1 che mettesse assieme «tutte le informazioni indispensabili per chi volesse leggere e studiare Fortini senza aver avuto, per età anagrafica o possibilità di studio, modo di sapere chi fosse e cosa abbia detto e scritto nel corso della sua vita», mi parve ottima.Finora è stato purtroppo difficile far convergere su quella articolata proposta almeno le energie di alcuni tra gli studiosi vecchi e nuovi della sua opera. Tuttavia questo non ha impedito ad alcuni di noi di collaborare agli incontri presso la Libreria Popolare di Via Tadino a Milano nel 2014, nel ventennale della sua morte (svoltosi, certamente, in tono minore rispetto al decennale a Siena del 2004). E si è arrivati alla pubblicazione di Come ci siamo allontanati. Ragionamenti su Franco Fortini. Quanto faticosamente lo sanno i curatori, gli autori e il coraggioso editore, Luciano Duò, purtroppo mancato proprio nell’agosto 2016.Ora, per tornare alla recensione di Diaco, se, come egli ha giustamente individuato, oggi «è l’attualità dello stesso insegnamento fortiniano a essere oggetto di dibattito», sarebbe stato meglio pronunciarsi più esplicitamente su tale problema. La sua recensione, invece, pare a me combattuta tra criticare e appoggiare, ma con varie riserve, il lavoro confluito nel volume della Arcipelago Edizioni. Sia chiaro: non ci si aspettava, di certo, una «recensione […] puramente elogiativa o da spot pubblicitario». Ma sta di fatto che, pur intendendo aprire un confronto schietto con i curatori e gli autori, tanto da definirci «compagni e maestri degni di stima e gratitudine», Lontananze rischia di apparire una mezza stroncatura, magari timida e in qualche punto pedante o reticente. Alcuni dei suoi rilievi distraggono dal discorso necessario sulla attualità/inattualità di Fortini e danno rilievo eccessivo, invece, a particolari che, tenuto conto del difficile contesto in cui l’iniziativa ha dovuto farsi strada, andrebbero giudicati secondari. (Mi riferisco alla discutibile sottolineatura delle imprecisioni tipografiche o – davvero? – sintattiche, alla sua «impressione di scarsa originalità rispetto alla bibliografia già esistente», all’accenno ad «autori [che] ripetono con poche varianti quanto avevano già esposto in altra sede»). E proprio sul tema centrale (attualità/inattualità di Fortini) noto una certa reticenza. Faccio due esempi che personalmente mi riguardano. Diaco attenua la divergenza tra la mia tesi e quella di Luca Daino ricorrendo alla categoria di «ipercorrettismo» che trovo un po’ neutra ed evasiva; e sorvola pure sulla mia critica alla tesi di Luca Lenzini sul Fortini «fuori tempo», che a me pare “destoricizzante”. Avrei considerato volentieri, piuttosto, e con molta attenzione, un parere più chiaro su entrambe le questioni.
Il suo riassunto dei saggi presenti in Come ci siamo allontanati è però preciso e meditato. E le obiezioni critiche mosse a Partesana e La Monica aprono a un confronto in profondità con entrambi, com’è auspicabile e del resto riconosciuto dai diretti interessati. (Ma – tanto per capire la consistenza di un altro mio dubbio – nel caso del saggio di La Monica, il lavoro di Gianluigi Simonetti, Dopo Montale. Le “Occasioni” e la poesia italiana del Novecento, era da considerare nel nostro caso così «imprescindibile»?)
In conclusione a me pare che, anche quando Diaco sottolinea gli aspetti positivi di Come ci siamo allontanati (« è giusto rallegrarsi che un libro del genere sia riuscito a vedere la luce pur in assenza di fondi statali»), rispuntino riserve non lievi («bisognerebbe leggere e ascoltare con più pazienza prima di scrivere, e puntare sempre a interventi dotati di maggiore necessità e minore volatilità»). Tanto che – in tutta sincerità – mi pare che un lettore malizioso sia incoraggiato a pensare che l’unico merito della nostra iniziativa sia stato quello di aver contrastato (ma troppo alla garibaldina!…) un’astratta «caoticità appiattente dell’informazione contemporanea». Un tale lettore lo lascio perdere. Ma mi sbarazzerei pure di qualche traccia sotterranea d’ossequio al mondo accademico. Che capitalizza – è vero – insostituibili competenze e strumenti ben più rodati e filologicamente raffinati degli autori di questo libro (o dei miei, per non implicare altri nel mio ragionamento). Se però proprio gli accademici hanno calato una pietra tombale sulla figura di Franco Fortini, allora, «pur nella sua lacunosa e disomogenea asistematicità», questo volume a me pare funzioni. Funziona, appunto, «da “introduzione a Fortini”, da propedeutica guida orientativa», proprio come auspicava il progetto di Ezio Partesana, cui ho accennato. E c’è da difenderlo con più decisione, senza complessi d’inferiorità, raccogliendo le forze disperse e lavorando meglio e più sodo, anche in vista dell’imminente centenario della nascita di Franco Fortini.
Note
1 Vd. E. Partesana, Progetto di un manuale per Fortini.