Sull’ultimo Bordini
Michela Davo

Un vuoto d’aria è l’ultimo libro di Carlo Bordini, uscito postumo nel 2021 per «Lo Specchio», a cura di Francesca Santucci e con un saggio di Guido Mazzoni. Il volume è diviso in due sezioni, Assenza e Vuoto d’aria, a loro volta articolate in varie sottosezioni, cui si deve aggiungere l’Appendice finale. Una spiegazione del titolo viene fornita da Bordini stesso, nella nota Al lettore posta in apertura della raccolta: «Ho chiamato questo libro Un vuoto d’aria perché rileggendone certi punti ho avuto la sensazione di star vivendo il senso di leggerezza e di panico di un vuoto d’aria».1 È una definizione che sembra fare da contrappunto a un’altra, impiegata anni prima per descrivere la propria esistenza.

Quando Bordini si avvicina ai trotskisti, durante gli anni dell’università, la sua vita gli appare come un «lungo vuoto sognante».2 Gli anni delle lotte politiche (1962-1970) erano stati contrassegnati anche dalla sostanziale assenza di attività poetica, ripresa nel corso degli anni Settanta, dopo l’espulsione dal Partito Comunista e l’avvicinamento a un altro tipo di società («marginali, freak, drogati, comuni reichiane, militanti in crisi, brigatisti»).3 La parte centrale dello stesso decennio costituisce invece un simbolico punto di svolta. Nel 1975 Bordini pubblica Strana categoria, la sua prima raccolta poetica, e viene incluso nell’antologia Il pubblico della poesia, di Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli. Un anno più tardi, nel 1976, il saggio dedicato a Pasolini (Pasolini, un coraggio a metà) offre una dichiarazione poetica a mezza voce, laddove Bordini attribuisce a se stesso la medesima ritrosia rilevata nell’autore in esame:

Pasolini ha avuto lo stesso coraggio di vivere la vita fino in fondo, pagando di persona, fino alla morte. Ma non ha avuto il coraggio di portare questo nei suoi libri. […] E forse io dico questo e sento questo perché sento di essere coinvolto nella sua stessa mancanza di coraggio».4

Questa ideale affinità con Pasolini viene in certo modo fossilizzata a partire dagli anni Ottanta, che si aprono all’insegna di un cambiamento sostanziale: Bordini ottiene un posto da ricercatore in Sapienza e «diventa un garantito […]; da quel momento le sue esperienze, le sue avventure e il suo tratto anarchico rimarranno privati».5 In questo senso, è significativo che la prima poesia della sua ultima raccolta sia Assenza, in cui si condensano, allo stesso tempo, una netta presa di distanza dalle giovanili speranze politiche e una attestazione della propria condizione attuale («tutto è finito ma tutto non è finito e il presente è ghiaccio / ghiacciato / come l’insetto nell’ambra»).

Seguendo il prospetto tematico tracciato da Mazzoni, si può dire che Un vuoto d’aria si componga di un nucleo centrale, una sorta di canzoniere d’amore per Myra Jara Toledo, e di due linee principali di contenuto, la politica e la famiglia. Parallelamente, colpisce la sotterranea ma costante presenza della morte e del suo nesso con l’amore, cui alludono i versi 1-7 di Pizarnik:

Quello che mi attira in te è la tua mancanza di speranza,
O meglio il riporre la speranza in un binomio che
come si sa è indistruttibile (c’è qualcosa nella morte
che ricorda l’amore, diceva
Lee Masters),
nel binomio infatti di due assoluti: l’amore
e la morte.

Questo binomio viene rappresentato in almeno tre modi: anzitutto attraverso il ricordo di persone scomparse, spesso parenti (Questa è una poesia dedicata a mio nonno, Le mie prozie), tra i quali è nodale la figura della madre, «la prima donna che mi ha ucciso» (X, v. 14; ma si veda anche Non ho mai amato mia madre, né); oppure ponendo la morte come un fatto inevitabile e atteso (New York, Colpo di sonno), talvolta persino desiderato e ricercato attraverso il suicidio (S. Baraldini, Questo amore fuori). In questa direzione svolgono una funzione centrale i versi 7-8 di Questo amore fuori («io, la mia prossima morte / tu i tuoi impulsi suicidi»), dove i due approdi coesistono nella coppia, in un «[…] amore assurdo, irrealistico e quindi / in qualche modo sublime» (ivi, vv. 9-10). Ma la morte compare anche nella descrizione di un futuro chimerico: se in Festa viene immaginato un incontro tra il poeta e Myra settantenne, in A proposito di avere una figlia in cielo a una genitorialità considerata possibile solo in paradiso («Ma sì, certo che avremo un figlio, e / questo figlio lo faremo in paradiso», vv. 1-2; «e un figlio così tipi come noi / possono farlo solo in cielo, si sa», vv. 11-12) viene contrapposta una forma di beatitudine davvero raggiungibile, quella umana, terrestre e sempre parziale (in opposizione alla religione cattolica, cui vengono riservati sottili colpi di sferza almeno in Ho baciato una ragazza davanti all’oceano pacifico e in Forse perché in fondo siamo cattolici, e la vita). In questo senso acquisisce allora un ruolo particolare la poesia Come faremo con questo amore che non vuol morire, indicativamente posta a chiusura alla raccolta; ma si pensi anche a un precedente verso di Pericolo, «amore è questa delicatezza nell’uccidere questa premura» (amore, v. 7), inserito in un contesto narrativo in cui l’omicidio e l’uccisione assumono particolare rilevanza.6 Si tratta per altro di un tema che Bordini aveva già mostrato di apprezzare. Anni prima, probabilmente nel 1976, aveva infatti definito così i caratteri principali del suo prossimo romanzo (Memorie di un rivoluzionario timido): «E una cosa è sicura: deve mostrare uno che ama la vita e che, anche se in modo indiretto, si uccide. Non un tipo esangue. Un tipo come me, capace di provare tutte le esperienze, di viverle fino in fondo, curioso, avido di amici, di donne, di attività; ma, nello stesso tempo, questa vitalità si corrompe nella ricerca del buio e della morte».7

L’architettura dei testi di Un vuoto d’aria conserva una cifra anarchica, evidente anche nel ricorso consapevole a imprecisioni ortografiche e grammaticali, e recupera forme e stilemi della produzione precedente: di questo, di alcuni riadattamenti grafici resi necessari e della genesi editoriale del volume dà conto Santucci nella Nota al testo.8 Invece, come ricorda Mazzoni, la forma delle poesie talvolta rimanda alla struttura delle sedute di psicoanalisi («Nella sua opera la psicoanalisi è ovunque. Non è solo un contenuto: è una forma, è una macchina semiotica»).9 In almeno un caso, tuttavia, l’analogia non è solo architettonico-formale, bensì anche intertestuale. Il testo di Dialogo tra due innamorati conserva caratteristiche simili all’impianto narrativo adottato da Ronald Laing in Mi ami?, uscito nel 1976. Ma l’influsso di una tradizione della quale vengono esplicitamente contestati gli insegnamenti («non fare mai quello che ti è stato insegnato / sconvolgi tutte le regole / usa le tecniche per il contrario per cui sono state inventate», Arti marziali, vv. 1-3) è talvolta percepibile anche sul piano più strettamente lessicale: Era una notte fresca, immobilmente chiara (Tolstoi) è un testo che per ambientazione e scelte linguistiche (il titolo stesso, ma anche la ricorrenza dei termini «lunare», «silenzio» e «silenzi», «solitudine», «spazi») ricorda Leopardi, autore caro a Bordini.10 Vale inoltre la pena ricordare che il testo precedente, posto in apertura alla sezione La pietà, si apre («forse perché era estate», v.1) riecheggiando il Foscolo di Alla sera, come avviene dopotutto nella già citata Forse perché in fondo siamo cattolici, e la vita. Né si tratta del solo caso in cui Bordini riprende in diverse sedi stilemi tradizionali. L’eco di La Signorina Felicita che Marco Giovenale ha riconosciuto in un componimento di Poesie color mogano pare emergere anche in Quieto vivere, dove i versi 9-12, «e perché se ti amassi davvero ti odierei, troverei che c’è / un quasi / che non posso raggiungere, / saresti quasi perfetta», sembrano a loro volta in dialogo dialettico con lo stesso e noto verso («Sei quasi brutta, priva di lusinga», v. 73).11 La presenza di riferimenti a una lirica di ascendenza petrarchesca mostra caratteri controversi se letta alla luce di un’intervista rilasciata da Bordini a Sebastiano Triulzi nel 2017 e pubblicata su «Diacritica». Accanto alle riserve manifestate per il canone poetico italiano, giustificate in forza di una sopravvivenza, in quest’ultimo, di Petrarca e di una sostanziale assenza di Dante, Bordini ribadiva il proprio apprezzamento per Pasolini, considerato tra i poeti italiani novecenteschi «l’unico» che si sia ispirato a Dante.12 Eppure, ancora una volta a testimoniare una peculiare vena dissimulatoria, Bordini era allo stesso tempo capace di versi pure riconducibili ad almeno vaghe suggestioni petrarchesche; si pensi, a titolo d’esempio, a «Ti ricordavo dolce come l’acqua».13

In molti testi che precedono Un vuoto d’aria, Bordini ha riservato ai suoi rapporti sentimentali descrizioni disincantate e straniate.14 Anche per questo è interessante che il suo ultimo libro sia un canzoniere d’amore, che conserva tuttavia dei tratti a suo modo pasoliniani: con ironia e attraverso un’indagine lucida, volta alla ricerca dell’iperverità, Bordini scrive sì poesie sull’amore, ma lo fa con la rassegnazione di chi ne vede le contraddizioni ed è ormai disposto ad accettarne i compromessi (Quieto vivere, Poesia cinica, Poesia clandestina, Formaggio). In questo senso, il ricorso a forme e temi tipici della precedente produzione, pure in un momento biografico di svolta, fa di Un vuoto d’aria non solo l’ultima raccolta poetica di Bordini, ma anche una sintesi compiuta della sua opera.

Note

1 C. Bordini, Al lettore, in Id., Un vuoto d’aria, a cura di F. Santucci, Milano, Mondadori, 2021, pp. 3-4: p. 4.

2 C. Bordini, Memorie di un rivoluzionario timido, in Id., Difesa berlinese, a cura di F. Santucci, Roma, Sossella, 2018, pp. 25-216: p. 103.

3 G. Mazzoni, Gli insetti nell’ambra, in C. Bordini, Un vuoto d’aria cit., pp. V-XXVIII: p. VIII.

4 C. Bordini, Pasolini, un coraggio a metà, in Id., Difesa berlinese cit., pp. 437-443: p. 442-443.

5 G. Mazzoni, Gli insetti nell’ambra cit., p. IX.

6 C. Bordini, I costruttori di vulcani. Tutte le poesie 1975-2010, Roma, Sossella, 2010, pp. 223-247: p. 244.

7 C. Bordini, Appunti per «Memorie di un rivoluzionario timido», in Id., Il rivoluzionario timido, «il verri», 76, giugno 2021 (Carlo Bordini. Il rivoluzionario timido), pp. 7-17: p. 12.

8 F. Santucci, Nota al testo, in C. Bordini, Un vuoto d’aria cit., pp. 141-158.

9 G. Mazzoni, Gli insetti nell’ambra cit., p. XVII.

10 C. Bordini, Gli scrittori di destra, in Id., Difesa berlinese cit., pp. 491-492, a p. 491; G. Mazzoni, In questo mondo che scade verso la barbarie. Carlo Bordini, ivi, pp. 5-22: p. 7.

11 M. Giovenale, Carlo in bilico, in Carlo Bordini. Il rivoluzionario timido, pp. 41-48: p. 44. Sugli autori cari a Bordini e sulla sua conoscenza di Gozzano si rimanda inoltre a G. Mazzoni, I gesti di Bordini, ivi, pp. 31-40, in particolare p. 32.

12 S. Triulzi, Incontro con Carlo Bordini (Roma, 10 settembre 2017), in «Diacritica», 29, 25 ottobre 2019.

13 C. Bordini, I costruttori di vulcani cit., p. 418.

14 Si vedano, a titolo d’esempio, le pagine 55 e 181 in C. Bordini, Memorie di un rivoluzionario timido, in Id., Difesa berlinese cit., pp. 25-216.