Per un canone realista.
Barthélemy Amengual
scrittore di cinema
(dalla parte di André Bazin)
Alessandro Cadoni
A che giova riprendere in mano i suoi saggi? In un tempo avaro, direi avarissimo, di seria riflessione sullo stile, l’opera di questo impareggiabile saggista francese riporta a galla un legame possibile tra teoria e pratica critica, analisi dello stile e costituzione di un canone. C’è, tra le tante, una sua opera in particolare che riporta a questo orizzonte: Du réalisme au cinéma, edito da Nathan nel 1997.1 Parto da una constatazione: si tratta di un libro che corrisponde di per sé a un’operazione in funzione del canone critico. Nelle sue oltre mille pagine sono stati riuniti molti tra i più notevoli saggi brevi di Amengual, che ha saputo portare, nell’ambito degli studi sul cinema, questa forma della scrittura critica a un notevolissimo livello di compiutezza. Si pensi anche a chi ha operato, negli effetti del volume, tale scelta antologica (non d’autore, dunque), Suzanne Liandrat-Guigues, la curatrice, e Michel Marie, direttore di collana e autore di uno scritto introduttivo: si tratta di critici accademici interessati tanto alle teorie quanto al pensiero espresso attraverso il film: penso agli interessi di Liandrat-Guigues per il saggismo cinematografico e per il film-saggio, testimoniati da un’importante raccolta di saggi da lei curata (con Murielle Gagnebin), L’essai et le cinéma.2
Ora: basta questo interesse, diciamo così, autorevole, basta l’uscita di un’antologia come questa a far entrare un critico nel canone? Perché è fuor di dubbio che un Amengual non ha goduto della stessa fortuna di altri classici (pensiamo a Bazin, da lui stesso sentito assai vicino). In un certo senso, un’operazione editoriale del genere è un primo passo, cui deve seguire un riscontro e un approfondimento sul metodo. La figura di Amengual suscita ammirazione condivisa; eppure una seria riflessione è forse frenata dalla difficoltà di sistematizzare il suo pensiero, improntato a un pragmatismo testuale di natura materialista unito a una cultura umanistica di respiro non comune: e in più condito – critico di razza – da una scrittura di fine composizione, lessicale e sintattica, oltre che carica di immaginazione. Per inciso, il valore conoscitivo della scrittura in Amengual è confermato, se mai ce ne fosse bisogno, da una bella intervista della maturità in cui il critico, parlando della sua “giovinezza cinematografica” (era nato e s’era formato ad Algeri, dov’era vissuto sino al 1968, per poi spostarsi in Francia), ammette che, nella primissima «età della ragione», sui vent’anni, aveva tentato la via narrativa, scrivendo un romanzo, poi rimasto inedito.3 Ma è forse necessario fermarsi ancora un poco su questa «felicità della scrittura» (così Liandrat-Guigues nell’introdurre Du realisme au cinéma), ove nulla vi è di bellettristico, o di puramente formale. Lo spiega Hervé Joubert-Laurencin, in un intenso profilo parallelo di Bazin e Amengual:
Ma che tipo di critico è Amengual? Nei suoi saggi l’argomentazione si distende su un ritmo analitico che rivendica eticamente l’attaccamento al testo. Si può rinvenire nel suo lavoro – ancora in parallelo ad André Bazin – uno dei primi esempi della moderna analisi del film. A un’erudizione di stampo accademico si uniscono il rifiuto di un a priori teorico e uno spirito militante – già notato da Michel Marie – che fanno di lui un critico aperto, attento com’è alle mutevolezze dell’humaine condition, unico dogma del suo pensiero. Per rispondere alla precedente domanda mi pare utile porsene un’altra: all’operazione di canone della critica sopra descritta – la pubblicazione della scelta antologica di saggi brevi – corrisponde una critica attenta al canone? Mi pare proprio che tale quesito trovi risposta positiva, rivelata implicitamente tra le linee dello stile argomentativo. Bisogna però specificare che Amengual non si pone mai come un’autorità che impartisce dall’alto: il giudizio di valore non è affatto rifiutato, ma è spesso da osservare nella filigrana di una scrittura carica di tensione conoscitiva, tra le righe dell’analisi, nel metodo e nella scelta dei temi di lettura piuttosto che in dichiarazioni esplicite e chiuse. Il suo non è un canone autoritario, ma piuttosto, in senso benjaminiano, una costellazione, dove i testi (i film) sono le stelle, i dati oggettivi, mentre al critico spetta il compito di tracciare i percorsi, secondo argomentazioni «chiare e dichiarate».8 Ciò che ne risulta è una sorta di biblioteca Warburg, una cineteca ideale dove i rapporti di vicinanza tra i film sono attraversati da linee di pensiero che ne mostrano, in un percorso di storia culturale ancora vitale, la loro importanza estetica e storica.
Andiamo allora a vedere queste linee di raccordo del canone amengualiano di testi e autori. La prima, che qui interessa particolarmente, è indicata nel titolo stesso della raccolta di saggi: il realismo, concetto troppo normativo, oppure per sua natura fluido e ambiguo, sacco onnicomprensivo in cui infilare, all’occorrenza, qualsiasi cosa, come ebbe a scrivere Roman Jakobson.9 Ma qual è, per Amengual, lo spazio della ‘realtà’ nella rappresentazione filmica? In che rapporto ci si pongono gli autori da lui presi in considerazione? Per tentare di arrivare a una prima verifica è opportuno, avendo a che fare con una gran mole di testi, selezionare un campione.
Sia un primo esempio l’analisi di Les Amants, il film del 1958 di Louis Malle. Amengual parte diretto, elencando una serie di «difetti» di cui il film è stato accusato: su tutti, la mancanza assoluta di coerenza estetica in una rappresentazione che peccherebbe di «confusione». Eppure il critico si chiede immediatamente se tali difetti non possano tradursi in pregi; se, ancora, una simile confusione non sfoci in mescolanza, affermandosi come tratto distintivo d’una paradossale coerenza rappresentativa. Una volta rilevato l’ibridismo stilistico di Malle – il classicismo della Carte de Tendre; un certo romanticismo dato dalla musica di Brahms; una tipologia narrativa che passa arbitrariamente dal tono minuzioso e memoriale della cronaca a esaltazioni lirico-erotiche – egli giunge infatti a una sintesi: «sorto da una giustapposizione meccanica, un movimento dialettico trasforma un assemblaggio eteroclito in unità eteroclita» (p. 830).10
Attraverso lo stile, dunque, il dispositivo sa dar vita non già a un assemblaggio, vale a dire a un insieme abborracciato di elementi differenti, quanto piuttosto un carattere nuovo e unitario, seppur composito. La mescolanza non causa la convivenza degli stili, ma ne facilita la fusione in uno nuovo, misto appunto. È un movimento orizzontale – di affiancamento dei linguaggi disparati – che si trasforma in verticale, con la fusione che segue alla sovrapposizione. Questo stile misto può rendere conto di quei segreti che infine, secondo Amengual, originano il misterioso eppure inequivocabile rapporto con la realtà che è base della rappresentazione nel film di Malle. Un canone attento al binomio realtà / rappresentazione dovrà inevitabilmente abbandonare, almeno parzialmente o almeno in taluni casi, l’urgenza politica, o, diciamo così, il rispecchiamento lukácsiano. E può invece abbracciare – sconfinando in campo letterario – il sistema estetico fondato da Mimesis di Erich Auerbach: un saggio che corrisponde, in certa misura, a un canone, nella sua ostinata alternanza di acume analitico e spirito militante. Parte dell’attenzione di Auerbach è centrata sull’irruzione della mescolanza degli stili (Stilmischung) rispetto alla separazione (Stilstrennung), posta dall’estetica antica come principio della scrittura. La mescolanza degli stili è, per Auerbach, lo spettro attraverso cui valutare un possibile indice di realtà nella rappresentazione. Ciò che dal critico, nelle sue conclusioni, viene sottolineato come “idea direttiva” dei suoi saggi è l’innesto della tensione tragica nell’ordine quotidiano. È questo, in sostanza, ciò che Auerbach vuole dire quando scrive che «Stendhal e Balzac, facendo oggetto di rappresentazione seria, problematica o addirittura tragica, persone comuni della vita quotidiana […], infransero la regola classica della separazione dei livelli stilistici».11 Allo stesso modo Malle, per Amengual, inventa nel suo film un mondo che è autorizzato dalla giustapposizione degli stili. E quello che appare come «l’habite d’Arlequin» del film è anche «la condizione della sua verità, del suo realismo, della sua qualità» (p. 829).
Il saggio opportunamente posto in apertura della raccolta, D’une résistance l’autre: notes sur la genèse du style néoréaliste italien (1970), è una sorta di pietra angolare del discorso di Amengual e inaugura il suo interesse privilegiato per il cinema italiano moderno o, meglio, per il cinema moderno tout court. Anche qui la composizione filmica nasce dalla mescolanza di elementi eterogenei. C’è forse una ragione per la quale, in Malle, possono convivere Carte du Tendre e letteratura, diciamo così, nobile, musica romantica e intrusione brutale del reale: e Amengual ne individua il principio nell’effetto stilistico globale inaugurato dalle pratiche realizzative del Neorealismo, in sé intessuto di istanze disparate: in primis le idee importate – in ottica di politica e resistenza culturale – dalla letteratura nordamericana durante il fascismo; in secondo luogo, la fotografia del reale in chiave sociale, ricomposta, però, in funzione del racconto.
Oltre il neorealismo, negli sviluppi del cinema italiano moderno Amengual individua nuove forme di rapporto con la realtà. Fra gli altri casi – Pasolini, Antonioni, il primo Bertolucci – lo sguardo si posa su quello esemplare di Fellini. Nel volume ci sono tre saggi dedicati a Fellini. In particolare, i primi due12 tracciano un percorso netto che va dallo spettacolo come movimento interno alla narrazione (il circo; il varietà; il fumetto; il fotoromanzo) allo spettacolare che informa, prima della trama, la struttura del film (es., la metafora del luna-park in 8½). Eppure, anche in questo vortice mentale, in questo ripiegamento surreale d’aspetto solipsistico, Amengual individua le tracce della realizzazione d’una rappresentazione della realtà: certo nei suoi aspetti di opposizione, tradotti qui stilisticamente. «Vi sono – secondo Amengual – ineluttabili nozze tra il reale e l’immaginario» (p. 410). Insomma, il cammino di Fellini andrebbe dalla parte di Lumière alla parte di Méliès: ma non è detto che questi siano i due vertici di un’opposizione. Può rivelarsi infatti quel fenomeno che, a proposito di Pasolini, aveva in mente Franco Fortini, quando parlava di «duplicità nell’ubiquità polare».13 Scrive Amengual:
Ancora in questo stesso saggio, a margine di alcuni passaggi stralciati dal IV tomo di Qu’est-ce que le cinéma di Bazin, dedicato, com’è noto, a Un’estetica della realtà: il neorealismo:14
Si potrebbe parlare di «realismo ontologico», la nota categoria di Bazin, come neorealismo trascendentale, al di là della pura etichetta: su una simile linea Amengual si avvicina anche a Pasolini, prendendo in esame Edipo re e Il fiore delle mille e una notte. Tra i due film egli propone un rapporto di valore tutt’altro che scontato a favore del secondo: il primo, analizzato sotto la lente psicanalitica, è visto come un deterioramento individualistico del mito, laddove nel secondo viene individuato un mirabile esempio di dialogo critico fra due culture mediterranee, quella araba e quella latina. Al di là delle motivazioni alla base di questa scelta, anche qui è presente un’attenzione ai tratti di mescolanza (contaminazioni diremmo, con Pasolini stesso): mescolanza stilistica, certamente, ma anche tematico-culturale. Ciò è evidente da quanto Amengual nota nella traduzione pasoliniana delle novelle orientali: fin dalla scelta degli interpreti e dei décors si intuisce quella «confusione culturale» che pure a Pasolini – come Amengual ricorda – è stata spesso rimproverata (proprio come accadeva a Malle). In realtà questa confusione dà luogo a una «fusione»: un racconto e uno stile nuovo. La figura di Ninetto Davoli ne è la dimostrazione: «Crespo, d’un olivastro assai bruno, rapido e lento, pesante e leggero, questo attore-mascotte del poeta traccia un legame tra l’Italia meridionale e quell’Oriente di cui essa fu parte» (p. 464).
Del resto, il riferimento a Pasolini è più che occasionale. Il poeta e regista, e prima ancora il saggista, non è per Amengual solo uno degli oggetti d’analisi d’uno sguardo critico fondato sul realismo, ma ne è anche un fondamento teorico. È proprio in Pasolini, infatti, che Amengual riconosce l’origine del suo concetto di realismo: e lo fa in un saggio del 2000, alla fine della sua infaticabile riflessione sul film. Guardando indietro al proprio percorso critico, egli inizia con un’ammissione:
Alla luce, dunque, dell’ammissione secondo cui il discorso sul realismo si rinforza grazie al cinema di poesia di Pasolini, possiamo meglio capire l’attenzione di Amengual per i tratti di mescolanza stilistica e per la continua dialettica tra piano della rappresentazione e piano della realtà. Non si può qui aggirare un discorso preciso, che riguarda l’abbattimento delle barriere che dividono testo dal contesto, tanto da far sì che il testo stesso sparisca nella nuova vita delle interpretazioni o, peggio ancora, nell’astrazione di griglie analitiche. La realtà è un testo parlante che offre al cinema il “lessico” del suo linguaggio. Per quanto potente sia la sintassi, il lessico, al di là della dittatura dei significanti e se è vero che al cinema il lemma corrisponderebbe all’oggetto fisico, resta la parte basilare di qualsiasi messaggio, se almeno con l’Amengual di Clefs pour le cinéma siamo convinti che ogni sera ci corichiamo sul letto, e non sulla parola letto.20 E allora, al di là dell’«imperialismo della semiologia» e delle teorie sull’effetto del reale, c’è sempre, in critici come Amengual, la convinzione, prima di tutto etica, che il linguaggio non sia una barriera, ma un ponte di collegamento fra atto di rappresentazione e realtà.
Note
1 B. Amengual, Du réalisme au cinéma, Anthologie établie par Suzanne Liandrat-Guigues, Paris, Nathan, 1997.
2 S. Liandrat-Guigues – Murielle Gagnebin (cur.), L’essai et le cinéma, Seyssel, Champ Vallon, 2004.
3 Cfr. B. Amengual, Une jeunesse cinématographique, Entretien par Pierre Guibert, «Archives», 94, Septembre 2003, pp. 11-12.
4 H. Joubert-Laurencin, Barthélemy Amengual en vérité des descriptions baziniennes, in Id., Le Sommeil paradoxal. Ecrits sur André Bazin, Montreuil, Editions de l’oeil, 2014, p. 198, trad. mia, corsivo del testo.
5 V. Albera, Le fonds Barthélemy Amengual, «1895», n. 48, 2006, pp. 74-115, dove è descritto il Fondo Amengual conservato presso l’Università di Lausanne.
6 B. Amengual, ¡Que viva Eisenstein!, Lausanne, L’Age d’Homme, 1980.
7 Teorie del realismo, a cura di E. Bruno, Roma, Bulzoni, 1977.
8 M. Onofri, Il canone letterario, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 45.
9 R. Jakobson, Il realismo nell’arte, in Tzvetan Todorov (cur.), I formalisti russi, Torino, Einaudi, 1968, pp. 106-7.
10 Tutti i numeri di pagina senza altra indicazione si riferiscono a Du réalisme au cinéma. Le citazioni son proposte in trad. mia.
11 E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, Einaudi, 1956, vol. II, p. 339.
12 Itinéraire de Fellini du spectacle au spectaculaire, del 1963 (pp. 379-399), e Fin d’itinéraire. Du «côté de chez Lumière» au «côté de chez Méliès», del 1981 (pp. 401-424).
13 F. Fortini, Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. 24
14 A. Bazin, Che cosa è il cinema [1973], Milano, Garzanti, 1999, pp. 275-333.
15 Per la traduzione italiana delle prime tre citazioni ho fatto riferimento all’edizione italiana, Bazin 1999, pp. 280 e 329; le ultime due, nelle quali il fondatore dei «Cahiers du cinéma» si riferisce alla Strada, non sono, mi pare, lì incluse.
16 B. Amengual, Pasolini, le discours indirect libre et le cinéma de poésie, «Positif» 467, Janvier 2000, p. 78.
17 Ibidem, p. 79.
18 P.P. Pasolini, Cinema di poesia [1965], in Empirismo eretico [1972], pref. di Guido Fink, Milano, Garzanti, 2000, p. 179.
19 G. Deleuze, L’immagine-movimento. Cinema 1, Milano, Ubulibri, 1984, p. 95.
20 B. Amengual, Per capire il film, Bari, Dedalo, 1981, p. 8 [or. Clefs pour le cinéma, Paris, Seghers, 1971].