Niccolò Machiavelli,
Favola di Belfagor
Filippo Luca Sambugaro

Niccolò Machiavelli, Favola di Belfagor, a cura di P. Stoppelli, Milano, Mondadori, 2021.

«I dannati attribuiscono alle mogli la causa della loro perdizione. Una scusa o la verità? Per scoprirlo, all’inferno si decide di mandare sulla terra un diavolo. Il malcapitato scelto per sperimentare la condizione del matrimonio è Belfagor arcidiavolo, che scoprirà le gioie e soprattutto i dolori dell’amore…». In questo modo, dal paratesto nella quarta di copertina, ci viene presentata la Favola di Belfagor di Niccolò Machiavelli, a cura di Pasquale Stoppelli. Il libro, uscito per Mondadori nel marzo 2021 e composto da poco più di un centinaio di pagine, va a unirsi alla Mandragola (2016, sempre a cura di Pasquale Stoppelli) e al Principe (1986, curato da Tommaso Albarani e con un saggio di Vittore Branca) nella collana «Oscar Classici». Della Favola Stoppelli si occupa da diverso tempo, tramite molteplici interventi e una importante monografia uscita nel 2007.1

Ciò che appare evidente, fin dalle prime pagine, è la sapiente fusione, da parte del curatore, di un contenuto specialistico con una forma accessibile e scorrevole. Il risultato finale che il lettore si trova fra le mani è un’edizione accurata e preziosa di uno dei testi forse meno conosciuti di Machiavelli, ma in grado di interessare sia il circolo degli studiosi sia il largo pubblico.

Il libro è suddiviso in quattro sezioni. Nell’ampia parte introduttiva (Introduzione, Nota ai testi, Cronologia di Niccolò Machiavelli e Nota bibliografica), Stoppelli espone attentamente la vicenda – intra ed extra diegetica – della Favola. Attraverso nove capitoli brevi ma efficaci, il curatore sfrutta un approccio metodologico solido e mai superficiale per esporre al lettore tutte le informazioni di cui necessita per l’approccio al testo: tramite una ricostruzione storica, filologica e critica e grazie al supporto di documenti e di strumenti informatici (verso i quali Stoppelli si è ampiamente orientato negli ultimi anni), il testo viene spiegato e commentato in ogni aspetto. Dopo un dovuto approfondimento sulla natura della vicenda narrata, Stoppelli quindi si sofferma attentamente sull’origine della fabula, riportando le osservazioni relative a un possibile plagio da parte di Giovanni Brevio (XV – XVI sec.). Dopo averne dimostrato l’impossibilità, il curatore ragiona dunque sulle possibili alternative relative al soggetto della Favola:

E se Brevio non ha ripreso Machiavelli, i casi sono due: o Machiavelli ha ripreso Brevio oppure l’uno e l’altro hanno riscritto ciascuno a suo modo un testo in circolazione che raccontava del matrimonio e delle altre avventure del diavolo sulla terra. (p. XXIV)

Ed è qui che Pasquale Stoppelli indica la soluzione per lui più affidabile – e già proposta, senza seguito, nel ventesimo secolo da Letterìo di Francia –, ovvero una fonte anonima per entrambi gli autori. Riassume il curatore:

L’invenzione del racconto di Belfagor che prende moglie a Firenze, con tutto quello che segue, non sarebbe né di Machiavelli né di Brevio, ma di un Anonimo che avrebbe adattato il racconto di Le Fèvre all’ambiente fiorentino, attribuendo a una vicenda favolistica un’identità cittadina fatta di luoghi precisi, personaggi storici, usi e abitudini congruenti con quelli propri fiorentini. (p. XXV)

Attraverso evidenze testuali e congetture ben supportate – come, ad esempio, conteggio e confronto statistico dei caratteri tra la Favola machiavelliana e quella di Brevio –, Stoppelli inquadra il testo in una cronologia più certa (preferendo la proposta degli anni 1525-26 rispetto a quella che lo vedeva come un’opera di qualche anno precedente) e razionalizza con cura filologica i suoi rapporti intertestuali. A concludere questa prima sezione, le già citate Nota ai testi e Nota bibliografica e la Cronologia; quest’ultima, nello specifico, appare concisa ma minuziosa, con una descrizione puntuale degli avvenimenti più importanti di ogni anno di vita dell’Autore a partire dal 1498 (dopo una esposizione cumulativa degli anni giovanili di formazione).

La seconda sezione del libro, ovvero quella dedicata al testo della Favola, si compone complessivamente di una decina di pagine. Anche qui risulta subito evidente come il peritesto – ovvero, in questo caso, le note di commento a piè di pagina – non prevarichi il testo, mantenendo la sua funzione di supporto al lettore senza mai “soffocarlo”. Le note, chiare e precise, hanno talvolta valore di glossa linguistica (come obbligato: “sottoposto”), mentre in altri casi indicano riferimenti intertestuali interni all’opera stessa di Machiavelli, o esterni.

Estremamente preziosa risulta poi la terza sezione, quella dedicata ai Documenti. Vengono infatti riportati in questo spazio cinque elementi testuali che Stoppelli cita come esempi o evidenze nell’Introduzione. Gli autori riportati sono, in ordine: Giacomo di Vitry (con due exempla), Pietro di Limoges e i già nominati Jean Le Fèvre e Giovanni Brevio. Il curatore sceglie però, giustamente, di presentare prima questi autori attraverso una breve nota biografica, per poi citare i brani prima in lingua originale e successivamente in traduzione. Tramite questa semplice accortezza, il lettore, se interessato, può approfondire personalmente ciò che Stoppelli sostiene nell’Introduzione.

A chiudere il libro – contenuto nella lunghezza ma, va sottolineato, completo e ricco di materiale informativo – vi è infine un testo anonimo fiorentino di fine Quattrocento, ovvero la Storia di uno spirito in una fanciulla (il cui codice si trova nel fondo Antinori della Laurenziana),2 a proposito del quale Stoppelli segnala che l’unica edizione è apparsa nel 2016 sulla rivista online «Arnovit. Archivio novellistico italiano dal Novellino a Basile».3 Dando in appena due pagine una perfetta collocazione e descrizione al testo, il curatore aggiunge in chiusura:

Fra il testo dell’Antinori e il supposto Anonimo di Belfagor, a cui si dovrebbe per ragioni cronologiche far riferimento, non esiste alcuna relazione, né è possibile stabilire priorità. È sufficiente constatare che nella cultura volgare fiorentina di fine Quattrocento le possessioni demoniache incontravano interesse come tema narrativo, un interesse che veniva però declinato nel registro del comico e non, come nella letteratura devota dei secoli precedenti, sul piano dell’esemplarità religiosa. (pp. XXXI-XXXII)

Note

1 P. Stoppelli, Machiavelli e la novella di Belfagor. Saggio di filologia attributiva, Roma, Salerno, 2007.

2 Ms. 130.

3 Diavoli, esorcismi e possessioni: una storia inedita del secondo Quattrocento (ms. Antinori 130), a cura di Angela Maria Iacopino, in «Arnovit», 1, 2016.