Maria Luisa Meoni
Un ricordo tra il buon Governo e gli anni di Siena città polifonica
Pietro Clemente

A un mese dalla scomparsa, ricordiamo Maria Luisa Meoni (1943-2022), antropologa all’Università di Siena e membro del Centro di ricerca Franco Fortini dalla fondazione, con un ricordo di Pietro Clemente e un suo scritto uscito su «Dialoghi mediterranei», n. 50, 2021.

I. Un’altra Siena

Il ricordo di Maria Luisa Meoni resta legato ai primi anni del mio insegnamento senese. E alle immagini di una Siena diversa, vivace e plurale, luminosa nella sua bellezza anche di vita democratica. Maria Luisa per me è stata la Siena dove i sindaci passeggiano per il corso e al Rettore si da del tu, la Siena della salvaguardia dal traffico del centro storico e dei gruppi politici che sulle decisioni in Consiglio Comunale relative al Palio si dividono per contrade e non per ideologie. Dove da poco era venuto, per iniziativa dell’ARCI, Dario Fo a presentare Mistero buffo e si facevano prove aperte di teatro nelle contrade. La Siena in cui si festeggiavano due venticinque aprile, uno istituzionale in Piazza del Campo e uno più alternativo a Tocchi. Quando Radio Siena era una specie di Radio Alice e dava voce a tutti, ma la sua colonna sonora era L’avvelenata di Guccini. Piergiorgio Solinas ed io, allievi di Alberto Mario Cirese, arrivavamo da Cagliari per insegnare Etnologia e Storia delle Tradizioni Popolari. All’epoca Cirese era Preside della Facoltà di Lettere, dopo avere passato quasi 15 anni di insegnamento a Cagliari. Da lei e da suo marito Carlo Fini, intellettuale assi fine e Assessore alla Cultura, imparai il linguaggio del Palio e il modo cittadino di viverlo. Quasi tutto il buono dell’antica città lo ho appreso da loro: la storia delle lotte contadine mezzadrili di cui poi ho fatto la mia bandiera di ricerca, il dialogo con gli ex contadini politicizzati e con le istituzioni locali, il lavoro per realizzare i musei delle classi subalterne. Il ricordo che ho di lei è soprattutto legato alle parole accoglienza, ospitalità, condivisione. Carlo istriciaolo e Maria Luisa chiocciolina furono anche i primi maestri di Palio e di vita di contrada. È stata una occasione eccezionale per conoscere la vita della città. Carlo e Maria Luisa ci stavano dentro come pesci nell’acqua e non fu difficile per me nuotarci dentro, esserne traversati. Carlo era uno straordinario, ironico performer e Maria Luisa una grande organizzatrice istituzionale. Lui trasgressivo, lei maestra di garbo. Complementari sempre. Erano due figure significative della cultura critica e militante, ma insieme contradaiola e identitaria, della città di allora. Una circostanza davvero unica per chi veniva da fuori e viveva questa città come una sorpresa straordinaria. Erano anche anni di volantini, di incontri sulla scuola, di conflitti, di studenti che dicevano che il Palio e le paste del Nannini rappresentavano l’ideologia borghese e reazionaria di cui Siena, città del tranquillo ceto medio all’ombra della grande banca, si nutriva. Erano tempi di occupazioni di Facoltà e poi di viaggi in India, di negozi di abbigliamento indiano e di spinelli. Per il 25 aprile ci separavamo da Carlo e Maria Luisa, formalmente impegnati nel PCI, perché lo festeggiavamo a Tocchi, in campagna, in uno dei luoghi di forza della Brigata Spartaco Lavagnini. Era un clima di incontro e mai mancò l’ironia e la discussione ignorando del tutto le nostre differenze di sfumature politiche dentro la sinistra. Con Carlo e Maria Luisa stavamo dentro una idea più larga di comunità culturale oltre che politica. Ci invitavano a cena a casa loro, prima in Via di Camollia, e poi in via della Galluzza, all’inizio anche con Cirese, col quale Carlo aveva un rapporto di scherzo e di poesia, e anche con la mamma di Maria Luisa che abitava con loro. Qualche domenica la passavamo nella loro casa di Stigliano. Essere amici, essere con loro di casa a Siena e insieme essere colleghi all’Università è stato un privilegio.

II. Una Facoltà nuova

Maria Luisa era presente fin dall’inizio nella appena nata Facoltà di Lettere, e dava una mano ad orientarsi ai nuovi venuti che venivano da fuori. Oltre a noi che venivamo da Cagliari, anche a Massimo Squillacciotti che veniva da Roma, e che insegnò a Siena con noi in quegli anni ’70 e ‘80. Maria Luisa seguì i corsi di Cirese, ne fece delle dispense e si fece connettitrice tra gli allievi di Cirese. Guidava la macchina con sicurezza e spesso ci portava in spedizioni per convegni, per musei, per gite di studio. Aveva tante relazioni in città e nel mondo della cultura di sinistra, e ci aiutava a trovare il fotografo giusto, l’assessore giusto, ci indicava i luoghi per trovare informatori per le interviste. A me presentò gli assessori della Provincia che erano legati ai gruppi dirigenti del movimento contadino. Lei e Carlo mi fecero conoscere Caterina Bueno, e da un concerto che fece a Siena nacque sia la amicizia con Caterina, sia il mio primo articolo su «Il nuovo corriere senese» del quale Carlo e Maria Luisa erano animatori. Con loro conobbi Marcello Stefanini e le sue straordinarie mostre fotografiche, Marcello fu in seguito anche fotografo di alcune importanti ricerche antropologiche in Sardegna. Sergio Micheli era a Siena l’uomo del cinema documentario: a casa sua c’erano attrezzature speciali e una sala di visione. Da lui vedemmo un film sull’abbandono delle campagne. E poi piano piano crebbero i progetti di mostre e di musei, scoprimmo Nello Carli e il gruppo che ogni anno a Buonconvento presentava una collezione di oggetti del ciclo della canapa. Fu lì che progettammo la prima mostra della nostra vicenda Il mestiere del contadino.1 Vi fu poi il progetto del Museo Ferretti2 a Grosseto, la nascita presso la Provincia del CEDLAC,3 dove spiccava l’alto senso formale e istituzionale che era proprio di Maria Luisa, che teneva in connessione i politici, spesso vivacissimi “quadri” ex contadini, e gli accademici.

Sembra passata un’epoca da quella Siena così vivace e vitale. All’inizio degli anni ’80, nella società civile la effervescenza politica calava tra i conflitti interni alla sinistra e le piaghe lasciate dal terrorismo, mentre si consumava il declino di una generazione anche con l’uso di droghe pesanti. Il lavoro universitario a Siena restava il presidio più forte e originale sul piano della cultura, la Facoltà di Lettere era ricca di interdisciplinarietà, di scambi, di modi innovativi di fare didattica quasi in comunità con gli studenti. In quegli anni a Siena si era aperto il dialogo con gli archeologi sui temi della cultura materiale e dello sguardo antropologico alla civiltà degli scavi, Andrea Carandini e i suoi allievi dialogavano con Cirese, anche se ormai trasferito a Roma, e con noi. Noi antropologi collaboravamo con gli storici contemporanei e dell’economia (Giorgetti, Pazzagli) con gli storici del teatro sui temi del teatro popolare (Franca Angelini), sulla storia dell’alimentazione (Odile Redon). Nel 1980 ci fu la prima cena medievale nella contrada della Selva organizzata in modo professionale dagli storici francesi in collaborazione con i colleghi di Siena. Nello stesso anno ci fu anche il primo stage di ricerca antropologica sul campo nelle Alpi piemontesi organizzato insieme a docenti e studenti dell’Università di Aix en Provence-Marseille. In quegli anni gli archeologi aprivano nelle sale del Comune di Siena la mostra dello scavo di una villa romana a Settefinestre, in Maremma, mostra che si era basata sulla ricerca archeologica fatta da gruppi di studenti e alternava, proprio come nei nostri stages, apprendimento e ricerca. Cose eccezionali a ripensarci: Maria Luisa aveva in tutte un ruolo di riferimento, di organizzazione, di interfaccia tra città e università. In quel clima creò il laboratorio etnografico, mentre dal canto mio avevo organizzato un laboratorio-centro di ricerca basato sulle fonti orali. Dopo quegli anni io mi trasferii a Roma e Maria Luisa ebbe dal 1994/95 un incarico di insegnamento come professore associato a Pescara4 fino al 1998, anno in cui rientrò all’Università di Siena, presso la sede di Arezzo. I rapporti di collaborazione si diradarono molto, ma restarono quelli di amicizia e di scambio. La mia collaborazione con Maria Luisa, quella più intensa e anche decisiva per il mio lavoro universitario, concepito già da allora in gran parte come “terzo settore” ovvero lavoro nel e per il territorio, e per la creazione di servizi e competenze conoscitive di interesse pubblico, avvenne proprio tra il 1974 e il 1991. In quel periodo avemmo rapporti con tutti gli enti, compresa la Regione Toscana, perizie e sopralluoghi per realizzare musei, in specie a Montarrenti e a Palazzo al Piano, due belle occasioni che la Provincia non valorizzò. Non avemmo grande successo, perché le politiche finanziarie della Regione privilegiarono il settore artistico, il teatro, l’archeologia e videro – in buona sintonia con la storia italiana e con il prevalere di un mondo intellettuale estetizzante – il mondo delle culture contadine e locali come uno spazio marginale. Un errore epocale del quale prima o poi ci si renderà conto. Ma facemmo una intensa battaglia in cui maturarono sia esperienze interdisciplinari, sia una conoscenza forte del territorio e di tutti i suoi protagonisti culturali. La battaglia cominciò a dare frutti solo verso gli anni 2000, ma sempre con nuovi conflitti e marginalizzazioni.

III. Il tempo della politica

Maria Luisa aveva portato nell’Università una storia e una precedente e significativa esperienza politica, che fece in quegli anni da connessione tra ricerca accademica e territorio ed ebbe un ruolo significativo nell’orientamento della Facoltà di Lettere e Filosofia negli anni ’70.

Maria Luisa era nata a Siena nel dicembre 1943 da Rosa Toppi e da Guido Meoni, poco prima del bombardamento alleato che colpì la città a gennaio del 1944, alle soglie della nascita della resistenza senese.5 I genitori venivano da Cortona, e dalla Val di Chiana Aretina, poi furono “casanti” in una villa a Siena, ed infine suo padre fu dipendente comunale. Suo padre Guido era comunista ed aveva alle spalle quel mondo contadino che ci appassionò nella ricerca antropologica di quegli anni. Anche Maria Luisa, figlia unica, fu comunista, e a suo modo impegnata sul fronte della liberazione della donna. Prima della sua storia di studiosa ci fu una storia militante. Una Maria Luisa che non ho conosciuto se non attraverso qualche suo racconto e ora qualche ricordo che ho raccolto.6 Il ricordo più vivace di una Maria Luisa diciannovenne mi viene da Riccardo Margheriti, che condivise con lei la partecipazione al Congresso dei giovani comunisti (FGCI) a Bari nel 1962 In quella occasione i giovani comunisti fecero una manifestazione contro gli USA per le minacce di intervento militare a Cuba, la manifestazione fu attaccata dalla polizia e sia lui che Maria Luisa tornarono a Siena un po’ pesti. Maria Luisa fece parte anche degli organismi federali del PCI di Siena, e fu per un breve periodo funzionaria, ed ebbe l’incarico di seguire la Commissione Cultura e particolarmente il settore dell’Università. Scriveva per «l’Unità» ed ebbe un ruolo importante insieme con Carlo Fini nella redazione del «Nuovo corriere senese», la rivista del PCI senese, e anni dopo anche nella «Voce del campo». La vita giovane e militante di allora è ricordata da Laura Vigni anche come stare insieme, in compagnia, in dialogo e nelle «serate passate insieme ad ascoltare Dario Fo e Enzo Jannacci». La formazione culturale impegnata nella vita civile fu, soprattutto negli anni ’70, una risorsa importante che caratterizzò un fronte culturale che, nonostante i duri conflitti sociali, le minacce di colpo di stato e il terrorismo, favorì la fase più densa di trasformazione culturale civile e politica delle nostre vite. Lo vidi da Siena: la partecipazione agli organi della scuola, il divorzio, l’aborto, la nascita delle USL, la chiusura dei manicomi, la laicità dello Stato, tutti temi che erano stati anche presenti nella mia militanza sarda degli anni ’60, e che continuarono poi a Siena, tra università e vita politica esterna. Nell’Università quella esperienza ci difese dallo specialismo chiuso, ci spinse al dialogo, consentì l’espressione di essa nella grande svolta culturale di quegli anni, forse gli ultimi in cui gli intellettuali ebbero un ruolo.

IV. Ritagli

Negli anni ’70 ebbi ospite a una mia lezione sul teatro popolare toscano il regista e gli attori della Compagnia della Rocca, una cooperativa teatrale, che a Siena praticava la formula delle prove aperte nelle contrade, che miravano a un ampio dialogo tra teatro e cittadinanza. Carlo e Maria Luisa erano i costruttori di questi nessi, e Carlo, assessore alla cultura, in quegli anni puntava molto a un teatro non tradizionale, vivo e dialogante. Discutere di teatro popolare (dei maggi, dei bruscelli, delle maggiolate) con una compagnia teatrale fu davvero una esperienza molto densa. Una situazione simile non mi capitò più. Con Carlo e Maria Luisa si passava dal teatro, al canto popolare, alla poesia, alla vita contradaiola. Ma un tema cui si tornava spesso era la poesia. Il rapporto tra Cirese, esperto di metrica della poesia popolare, appassionato di Montale, che ricordava molti passi della Divina Commedia a memoria e Carlo Fini, poeta ed esperto di poesia novecentesca, si estendeva in particolare a Franco Fortini, poeta e docente di Letteratura italiana nella Facoltà, frequentatore di casa Meoni-Fini coi quali condivideva idee, progetti, racconti. Casa Meoni-Fini aveva dunque due grandi Maestri che erano tra gli ospiti prediletti. Uno era Cirese, maestro di antropologia, nato nel 1921, l’altro era Franco Fortini, del 1917, poeta di frontiera, di militanza poetica, punto di riferimento per tanti, attrattore e affascinatore di studenti. Io ed altri colleghi e amici di area antropologica facevamo spesso comunità con Cirese a casa Meoni, altri – più poetici – facevano comunità nelle cene fortiniane. Carlo era il lato più fortiniano e Maria Luisa quello ciresiano. Le cene con Cirese erano ricche di battute, di scherzi sui quali Carlo era straordinariamente performativo. Diceva a Cirese, che era spesso critico e autocritico sulla storia della sinistra, che era “reatino e reazionario”,7 lo prendeva in giro perché voleva sottoporre il sistema delle contrade e un modello astratto fatto di opposizioni binarie (solo dopo molti anni il Maestro si arrese). Ma con Cirese Carlo attivava anche giochi di poesie a incastro, piccole sfide metriche. Cirese e Fortini erano due ospiti davvero straordinari, una ricchezza per chi aveva modo di condividerli. Carlo diceva scherzando che i due avevano in comune un io smisurato, e che lui aveva creato un io-metro per misurarlo: con Cirese l’io-metro era andato subito al massimo grado della misurazione, con Fortini arrivato al massimo l’io-metro era saltato ed era esploso. Credo che scherzare con intelligenza con persone intelligenti e capaci di scherzo è un segno di grande cultura. Maria Luisa e Carlo erano legati da affetto anche ad altri colleghi della facoltà, coi quali facevano spesso da organizzatori e facilitatori per la loro presenza a Siena. Voglio ricordarne solo tre a cui sia Maria Luisa che i tanti colleghi del comune “corridoio” di Antropologia, Storia e Filosofia, Teatro, Cinema erano legati. Il filosofo Giuseppe Prestipino che era persona affabile e gentile, Franca Angelini docente di Storia del Teatro, molto amica di Carlo, che con lei condivideva l’organizzazione della straordinaria stagione di teatro di quegli anni ’70, Giorgio Giorgetti, storico che guidò i nostri passi nella vicenda dell’agricoltura toscana e della mezzadria, Fu intellettuale colto, affabile, legato al mondo della militanza politica nel PCI amico che ci lasciò purtroppo molto presto. Anch’io condividevo questi affetti e ne ho tanti ricordi.

V. Libri e scritture

Maria Luisa ha scritto saggi e libri su vari argomenti dell’antropologia, mantenendo una area di riferimento che era quella della “cultura materiale”, un campo che allora veniva condiviso con geografi, archeologi, storici, e che aveva un riferimento privilegiato verso la museografia e verso il mondo degli strumenti di lavoro. Maria Luisa condivise molti aspetti dello sguardo ciresiano verso le eredità teoriche del Musèe de l’Homme di Parigi, e in specie quella dell’antropologo e archeologo preistorico André Leroi-Gourhan. Un altro approccio francese, legato a Cirese, fu quello verso l’opera di Marcel Maget, sulla panificazione e l’identità di villaggio.8 Con gli antropologi dell’Università di Aix en Provence-Marseille e i loro allievi condividemmo una ricerca – didattica sul campo in un’area delle Alpi Cozie, a Praly, in Val Germanasca, una valle di tradizione religiosa valdese. In questi stages Maria Luisa rafforzò il dialogo con Helene Balfet del Musée de l’Homme, allieva di Leroi-Gourhan. Si dedicò allo studio di quel luogo di ricerca di alta montagna di difficile uso agricolo del suolo, di grandi pendii in cui il rapporto uomo-strumento-natura era spinto verso sfide particolarmente forti. Questa esperienza le ispirò il libro forse più completo e significativo del suo rapporto con la cultura materiale: Sfumature e valori dell’unicità. Una ricerca antropologica sulla cultura materiale in Val Germanasca, LEA,9 Università di Siena 1990. Ha scritto inoltre su problemi della documentazione e della schedatura degli oggetti, finalizzati alla raccolta e alla museografia antropologica, su temi del lavoro contadino dei mezzadri, che agli inizi fu il terreno comune di riferimento del nostro gruppo di ricerca, ma anche sulla storia degli studi italiani, su Cirese, e su de Martino.

Il suo rapporto di studiosa della cultura materiale con Siena, la sua città, il suo mondo contradaiolo, la sua componente di PCI toscano, aperto e impegnato nella società civile, lo investì in un saggio – libro Utopia e realtà nel Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti. Un’analisi antropologica, Firenze, IFI, 2000, che ebbe una straordinaria prefazione del poeta Mario Luzi, le cui poesie sono state ispiratrici di tante connessioni con le ricerche di antropologia. In questo testo, giustamente ricordato da Roberto Barzanti nel suo necrologio10 come uno dei più significativi, Maria Luisa riprende il dialogo (fondante per molti antropologi) aperto dal grande studioso Emilio Sereni, storico dell’agricoltura, agronomo e politico, con le fonti pittoriche come documenti del mondo rurale11 Con la sua competenza di studiosa della cultura materiale, con l’attività di ricerca fatta sugli strumenti e sui territori della Crete e della Val d’Arbia (sui quali lo sguardo del poeta Luzi ha creato forti memorie evocative) ricostruisce tratti lontani – ma anche vicini e riconoscibili – del mondo contadino alle porte della città. Un tema che si ritrova con grande evidenza anche nel Museo della Mezzadria senese del Novecento, allestito a Buonconvento da Gianfranco Molteni, che continuò il lavoro di Maria Luisa al Cedlac e si formò nel lavoro museografico del quale poi fu protagonista. Il Museo di Buonconvento può essere considerato a buon diritto una comune eredità nostra e del lavoro di Maria Luisa per la memoria e il riconoscimento della dignità del mondo contadino, realizzato attraverso il dialogo con la comunità di Buonconvento e con le istituzioni del territorio.

È difficile che tra colleghi si abbia modo di conoscere come viene attuato il lavoro didattico, come si gestiscono le lezioni, le tesi, i rapporti umani con gli studenti. Maria Luisa ha formato diversi giovani che hanno avuto un ruolo nel lavoro nei musei e nelle tradizioni popolari tra Siena e Grosseto, ma è solo pubblicando un suo ricordo su Facebook nella pagina di Simbdea (Società Italiana per la Museografia e i beni demoetnoantropologici): Cultura materiale, musei, pascoli erbosi: UN SALUTO E UN RICORDO PER MARIA LUISA MEONI (Simbdea 19 marzo 22) che sono emersi riconoscimenti espliciti del suo lavoro di docente:

Con ritardo e dispiacere apprendo della scomparsa della Professoressa Maria Luisa Meoni… mi ha affascinato fino alla tesi e oltre al meraviglioso mondo della Storia delle Tradizioni Popolari, dell’Etnologia, dell’Antropologia Culturale prima, Politica e Urbana poi. Che persona e che Docente memorabile. Oggi faccio tutt’altri mestieri ma in questi come in generale resto, anche grazie alla Professoressa Meoni, un buon osservatore partecipante.

Una delle donne che più hanno contribuito alla mia formazione e crescita. L’ho conosciuta fuori dalla scuola ma il suo esempio è sempre stato illuminante.

Tracce leggere delle nostre storie che rivivono in quelle dei nostri allievi, e che spesso scopriamo solo in tardivi ricordi.

In un suo scritto autobiografico Maria Luisa aveva affidato alla rivista «La Ricerca Folklorica», la storia del suo lavoro universitario di antropologa culturale. Quel testo ci guida ora. E resta un riferimento per ricordarla, leggere i suoi testi, valutare le eredità. Certo è che nella sua breve sintesi biografica resta forte il suo riconoscimento ad Alberto Mario Cirese, come Maestro e punto di riferimento della sua vita professionale. Così, mentre rimando al suo scritto12 per chi vorrà avere una sua immagine di studiosa più puntuale, ho pensato di chiudere questa dedica con l’ultimo testo – credo – che scrisse e che le chiesi per i 100 anni dalla nascita di A.M.Cirese, apparso su «Dialoghi mediterranei»13 il 1 luglio 2021 n. 50. Mi pare un buon modo di dirle addio, credo lo apprezzerebbe.

Note

1 Il mestiere del contadino. Materiali della settima mostra sulla condizione mezzadrile, Catalogo della mostra di Buonconvento, settembre-novembre 1979, Siena, Amministrazione Provinciale di Siena.

2 Roberto Ferretti, fondatore e direttore dell’Archivio delle Tradizioni popolari della Maremma grossetana, protagonista di studi e ricerche sul campo in Maremma morì per un incidente nel 1984. Il Comune di Grosseto, in dialogo col Parco naturale della Maremma di Alberese, chiese di progettare un museo, nei locali del frantoio di Alberese, a partire dalla collezione degli oggetti di Ferretti. Quello fu un importante esercizio di progettazione che però non ebbe esito.

3 Centro di documentazione del lavoro contadino, il Centro fu diretto da Maria Luisa per molti anni ed aveva una funzione di supporto scientifico alle ricerche per realizzare il Museo della mezzadria.

4 Che viene ricordata anche per la collaborazione che offrì al Museo delle Genti di Abruzzo.

5 Le notizie sulla famiglia vengono da Mariangela Colella, nipote di Carlo Fini e di Maria Luisa.

6 Brevissime testimonianze di Roberto Barzanti, Maurizio Boldrini, Florio Carnesecchi, Riccardo Mergheritio e Laura Vigni.

7 Cirese, nato ad Avezzano e figlio di poeta molisano, aveva vissuto gran parte della vita a Rieti, dove aveva anche avviato la ricerca antropologica.

8 Fu curatrice del volume tradotto in italiano: Marcel Maget, Il pane annuale. Comunità e rito della panificazione nell’Oisans, Roma, Carocci, 2004, ed. orig. 1989, con un testo di Alberto M. Cirese, edizione a cura del Museo delle Genti trentine.

9 «LEA» è la collana del Laboratorio Etno Antropologico che Maria Luisa contribuì a fondare.

10 R. Barzanti, Maria Luisa Meoni e l’utopia del buon governo, in «La Nazione», 15 marzo 2022.

11 E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano [1961], Bari-Roma, Laterza, 2010.

12 M.L. Meoni, Autobiografia, in «La Ricerca Folklorica», numero speciale su Autobiografia dell’antropologia italiana, 1, 75, 2017, pp. 197-201.

13 Ringrazio il direttore della rivista Antonino Cusumano per l’autorizzazione alla pubblicazione.