La creazione
di un bantustan sovrano
Jalal Abukhater

Riflessioni sulla richiesta unilaterale di riconoscimento di uno Stato palestinese avanzata dall’ANP all’Assemblea delle Nazioni Unite in programma il 20 settembre 2011.

L’autore è un giovane blogger palestinese di 17 anni, che risiede a Gerusalemme e studia a Ramallah, Cisgiordania. La versione originale di questo articolo è apparsa per la prima volta sul blog Electronic Intifada poche settimane fa.

I call it resistance

La nostra non è una battaglia per il riconoscimento di uno Stato simbolico; è una lotta per ottenere i diritti fondamentali che ci sono negati. Da oltre sessanta anni infatti stiamo lottando per il nostro diritto al Ritorno, per il diritto a vivere nella terra dei nostri padri, il diritto ad essere trattati come cittadini uguali agli altri, il diritto a vivere una vita dignitosa. Ma i nostri rappresentanti ora stanno rischiando tutto per ottenere il riconoscimento di uno Stato sovrano su una piccolissima porzione della nostra ben più grande terra. Si tratta di una mossa disperata che ci condurrà a ciò che letteralmente è espresso con il termine bantustan.

Come scrive Virginia Tilley, non è un’esagerazione sostenere che questo progetto, ben noto a molti, arrechi al Movimento Nazionale Palestinese il danno più evidente di tutta la sua storia, ricacciando le aspirazioni dei palestinesi in un vicolo cieco dal quale sarà impossibile tornare indietro.

L’ironia della sorte è che, attraverso questa manovra, l’Autorità Nazionale Palestinese sta facendo sua esattamente la stessa formula fatale contro la quale l’African National Congress ha combattuto così aspramente per decenni, perché la leadership dell’ANC vedeva chiaramente che si trattava di un disastro. Questa formula può essere facilmente riassunta in una parola: Bantustan.

Hiding from me

Se non impariamo dalla storia recente, che cosa spereremo di ottenere? Ci stanno trascinando in una trappola dove i diritti di milioni di profughi cacciati dalle loro terre sono a rischio. Ma chi sta veramente ascoltando le nostre legittime preoccupazioni? Pochi mesi fa ho posto la questione a diversi gruppi della sinistra israeliana contrari all’occupazione e chiesto loro di appoggiare la proposta di un unico stato democratico, come unica soluzione che ponga fine alla lotta e garantisca giustizia ed uguaglianza per entrambe le parti. Se avessi imparato qualcosa dalle discussioni delle ultime settimane, userei lo stesso tono, se non più duro, per affrontare questo argomento: smettiamola di parlare in modo generico di speranza e muoviamoci nella direzione di una reale comprensione del significato delle azioni e delle conseguenze della creazione di uno Stato palestinese sovrano.
Se vedessimo la Cisgiordania e la Striscia di Gaza immediatamente liberate non appena le Nazioni Unite ci riconoscessero come uno Stato, io non mi preoccuperei molto perché poi la leadership palestinese sarebbe a mala pena capace di occuparsi della più grande questione riguardante i profughi. Ma la realtà dice ancora altro. Ali Abunimah, in un editoriale per la versione in inglese di Al Jazeera, faceva notare che

il Libano è membro delle Nazioni Unite dal 1945, ma questa sua posizione non ha impedito ad Israele di occupare la zona meridionale del suo territorio dal 1978 al 2000. L’occupazione israeliana del Libano non è finita per merito di una qualche pressione internazionale, ma soltanto perché la Resistenza libanese ha cacciato Israele e le sue milizie collaborazioniste. Allo stesso modo, dal 1967 Israele continua ad occupare le alture del Golan, che appartengono alla Siria (anch’essa membro delle Nazioni Unite dal 1945). Non c’è praticamente nessuna resistenza armata sulle alture del Golan, né ci sono state pressioni internazionali perché Israele sia estromesso o i profughi siriani possano ritornare nelle loro case.

Per quale ragione la situazione nel presunto Stato palestinese dovrebbe essere diversa?

Kid between pumpkins

Mentre l’occupazione israeliana della Cisgiordania continuerà ad avanzare anche dopo il 20 settembre, i nostri rappresentanti continuano ad insistere che ora è tempo di dichiarare la costituzione di uno Stato, ignorando le conseguenze di questa azione. La delegazione palestinese presso le Nazioni Unite è stata avvertita che la loro iniziativa metterà a rischio i diritti dei palestinesi della Diaspora del 1948 e che «porrà fine allo status giuridico di osservatore presso l’assemblea dell’ONU, attualmente detenuto dall’OLP», secondo quanto sostiene l’esperto di diritto internazionale dell’Università di Oxford Guy Goodwin-Gill.

Qahwa

Nel suo documento di sette pagine Goodwin-Gill, membro del team che nel 2004 ottenne dalla Corte Internazionale di Giustizia la sentenza di condanna, sebbene non vincolante, del Muro israeliano, fa luce sui rischi legali impliciti nel riconoscimento di uno Stato palestinese: «milioni di rifugiati potrebbero perdere la loro rappresentanza presso le Nazioni Unite». Il legale continua affermando che

molti palestinesi rivendicano il diritto di partecipare alle scelte dei propri rappresentanti. Personalmente credo che le iniziative in corso per assicurare il riconoscimento dello Stato non riflettono pienamente il ruolo del popolo palestinese come principale parte in causa nella soluzione dei problemi del Medio Oriente.

«Occorre che l’Autorità Nazionale Palestinese cerchi  una soluzione condivisa che garantisca i diritti di tutti i palestinesi che intende rappresentare», conclude Goodwin-Gill.

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Ogni qual volta che qualcuno parla della richiesta del riconoscimento dello Stato palestinese in calendario per settembre all’ONU, senti pronunciare la parola “veto”. Tutti sembrano certi che gli Stati Uniti useranno il loro potere di veto al Consiglio di Sicurezza per fermare qualsiasi tentativo unilaterale di cercare una dichiarazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967. Qualcun altro dice che la delegazione alle Nazioni Unite cercherà altre vie per evitare il voto del Consiglio di sicurezza; altri ancora dicono che la dichiarazione all’ONU sarà la fine di un percorso.

Gli interessi del popolo palestinese sono a rischio di pregiudizio e frammentazione, a meno che non si compiano reali passi avanti per assicurare la loro rappresentanza attraverso OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ad oggi l’unico rappresentante effettivo di tutti i palestinesi. Il mantenimento del ruolo di osservatore  dell’OLP si renderà necessario finché al suo posto non ci sarà uno Stato competente e pienamente capace di assumersi queste responsabilità nei confronti della stragrande maggioranza del popolo palestinese. Molti attivisti non palestinesi, associazioni per i diritti umani e avvocati internazionali stanno esprimendo le loro preoccupazioni, ma non tutti sono capaci di contestare la decisione della leadership palestinese perché ritengono che questo sia un compito esclusivo dei palestinesi.

Toys

Tuttavia, purtroppo, non molti palestinesi sono perfettamente consapevoli dei rischi e gli oltre 6.5 milioni di loro che fanno parte della Diaspora dovranno fare i conti con le conseguenze di un’iniziativa intrapresa da un leader per il quale loro non hanno votato o con cui magari dissentono e che, malgrado ciò, parla al posto loro. I rappresentanti di Ramallah invece sono perfettamente consapevoli delle conseguenze, ma la loro iniziativa è il risultato della collera davanti al fallimento per il processo di pace a cui loro avevano lavorato per decenni. Questa collera li sta spingendo verso un’iniziativa irrazionale, che tuttavia continuano in qualche modo a sbandierare come un successo del loro operato. Questo piano mira a rompere i legami tra  palestinesi di tutto il mondo; la leadership palestinese dovrebbe saperlo molto bene e cercare piuttosto un’iniziativa vantaggiosa per tutti.  Dal canto loro, se avremo successo, otterremo il nostro Stato. Secondo la mia opinione, se falliremo, eviteremo le conseguenze di aver avuto successo e potremo cercare un’altra soluzione. Questo è irrazionale, ne sono consapevole.

Ma la maggior parte dei palestinesi è pronta ad accogliere positivamente il risultato dell’iniziativa di settembre. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dal canto suo invece, si oppone alla richiesta perché beneficia dell’appoggio dei coloni degli insediamenti illegali della Cisgiordania.  Netanyahu vuole mantenere il controllo delle aree strategiche e delle risorse idriche. Mira a conservare il nostro status quo, costituito da molte prigioni a cielo aperto separate le une dalle altre e sparse per la Cisgiordania. Ma io non vedo la ragione secondo la quale il Presidente Obama si opporrebbe. Personalmente, io dubito che gli Stati Uniti useranno il loro potere di veto. Con questa soluzione, gli USA potrebbero porre fine a sessantaquattro anni di lotte ininterrotte e favorire il piano del Sionismo.

La soluzione dei due stati causerà la frammentazione dei palestinesi, una maggiore separazione tra gli abitanti della Cisgiordania e quelli della Striscia di Gaza, coloro che vivono in Israele e quelli della Diaspora. Sottrarrà cioè con la forza i diritti di milioni di persone.

[traduzione Sara Montagnani, foto di Motaz Abuthiab]