L’autore è un giovane blogger palestinese di 17 anni, che risiede a Gerusalemme e studia a Ramallah, Cisgiordania. La versione originale di questo articolo è apparsa per la prima volta sul blog Electronic Intifada poche settimane fa.
Come scrive Virginia Tilley, non è un’esagerazione sostenere che questo progetto, ben noto a molti, arrechi al Movimento Nazionale Palestinese il danno più evidente di tutta la sua storia, ricacciando le aspirazioni dei palestinesi in un vicolo cieco dal quale sarà impossibile tornare indietro.
Se vedessimo la Cisgiordania e la Striscia di Gaza immediatamente liberate non appena le Nazioni Unite ci riconoscessero come uno Stato, io non mi preoccuperei molto perché poi la leadership palestinese sarebbe a mala pena capace di occuparsi della più grande questione riguardante i profughi. Ma la realtà dice ancora altro. Ali Abunimah, in un editoriale per la versione in inglese di Al Jazeera, faceva notare che
Mentre l’occupazione israeliana della Cisgiordania continuerà ad avanzare anche dopo il 20 settembre, i nostri rappresentanti continuano ad insistere che ora è tempo di dichiarare la costituzione di uno Stato, ignorando le conseguenze di questa azione. La delegazione palestinese presso le Nazioni Unite è stata avvertita che la loro iniziativa metterà a rischio i diritti dei palestinesi della Diaspora del 1948 e che «porrà fine allo status giuridico di osservatore presso l’assemblea dell’ONU, attualmente detenuto dall’OLP», secondo quanto sostiene l’esperto di diritto internazionale dell’Università di Oxford Guy Goodwin-Gill.
Nel suo documento di sette pagine Goodwin-Gill, membro del team che nel 2004 ottenne dalla Corte Internazionale di Giustizia la sentenza di condanna, sebbene non vincolante, del Muro israeliano, fa luce sui rischi legali impliciti nel riconoscimento di uno Stato palestinese: «milioni di rifugiati potrebbero perdere la loro rappresentanza presso le Nazioni Unite». Il legale continua affermando che
Ogni qual volta che qualcuno parla della richiesta del riconoscimento dello Stato palestinese in calendario per settembre all’ONU, senti pronunciare la parola “veto”. Tutti sembrano certi che gli Stati Uniti useranno il loro potere di veto al Consiglio di Sicurezza per fermare qualsiasi tentativo unilaterale di cercare una dichiarazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967. Qualcun altro dice che la delegazione alle Nazioni Unite cercherà altre vie per evitare il voto del Consiglio di sicurezza; altri ancora dicono che la dichiarazione all’ONU sarà la fine di un percorso.
Gli interessi del popolo palestinese sono a rischio di pregiudizio e frammentazione, a meno che non si compiano reali passi avanti per assicurare la loro rappresentanza attraverso OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ad oggi l’unico rappresentante effettivo di tutti i palestinesi. Il mantenimento del ruolo di osservatore dell’OLP si renderà necessario finché al suo posto non ci sarà uno Stato competente e pienamente capace di assumersi queste responsabilità nei confronti della stragrande maggioranza del popolo palestinese. Molti attivisti non palestinesi, associazioni per i diritti umani e avvocati internazionali stanno esprimendo le loro preoccupazioni, ma non tutti sono capaci di contestare la decisione della leadership palestinese perché ritengono che questo sia un compito esclusivo dei palestinesi.
Tuttavia, purtroppo, non molti palestinesi sono perfettamente consapevoli dei rischi e gli oltre 6.5 milioni di loro che fanno parte della Diaspora dovranno fare i conti con le conseguenze di un’iniziativa intrapresa da un leader per il quale loro non hanno votato o con cui magari dissentono e che, malgrado ciò, parla al posto loro. I rappresentanti di Ramallah invece sono perfettamente consapevoli delle conseguenze, ma la loro iniziativa è il risultato della collera davanti al fallimento per il processo di pace a cui loro avevano lavorato per decenni. Questa collera li sta spingendo verso un’iniziativa irrazionale, che tuttavia continuano in qualche modo a sbandierare come un successo del loro operato. Questo piano mira a rompere i legami tra palestinesi di tutto il mondo; la leadership palestinese dovrebbe saperlo molto bene e cercare piuttosto un’iniziativa vantaggiosa per tutti. Dal canto loro, se avremo successo, otterremo il nostro Stato. Secondo la mia opinione, se falliremo, eviteremo le conseguenze di aver avuto successo e potremo cercare un’altra soluzione. Questo è irrazionale, ne sono consapevole.
Ma la maggior parte dei palestinesi è pronta ad accogliere positivamente il risultato dell’iniziativa di settembre. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dal canto suo invece, si oppone alla richiesta perché beneficia dell’appoggio dei coloni degli insediamenti illegali della Cisgiordania. Netanyahu vuole mantenere il controllo delle aree strategiche e delle risorse idriche. Mira a conservare il nostro status quo, costituito da molte prigioni a cielo aperto separate le une dalle altre e sparse per la Cisgiordania. Ma io non vedo la ragione secondo la quale il Presidente Obama si opporrebbe. Personalmente, io dubito che gli Stati Uniti useranno il loro potere di veto. Con questa soluzione, gli USA potrebbero porre fine a sessantaquattro anni di lotte ininterrotte e favorire il piano del Sionismo.
La soluzione dei due stati causerà la frammentazione dei palestinesi, una maggiore separazione tra gli abitanti della Cisgiordania e quelli della Striscia di Gaza, coloro che vivono in Israele e quelli della Diaspora. Sottrarrà cioè con la forza i diritti di milioni di persone.
[traduzione Sara Montagnani, foto di Motaz Abuthiab]