J.M. Coetzee,
Saggi
Gabriele Bucchi

J.M. Coetzee, Saggi. 2006-2017, trad. it. di M. Baiocchi e P. Splendore, Torino, Einaudi, 2021.

L’itinerario di scrittore di J.M. Coetzee (premio Nobel per la letteratura nel 2003) è stato accompagnato a partire dagli anni Ottanta dalla costante riflessione critica sui testi altrui, di cui offrono testimonianza numerosi interventi, che vanno dal saggio a carattere latamente accademico alla recensione di poche pagine. Questa raccolta, pubblicata nel 2017 col titolo di Late Essays, appare ora in italiano a cura delle stesse traduttrici che avevano già fatto conoscere (sempre presso Einaudi) l’antologia Doppiare il capo. Saggi e interviste (2011) e Lavori di scavo. Saggi sulla letteratura (2010). I saggi che vedono ora la luce in italiano comprendono soprattutto recensioni (in particolare per la «New York Review of Books») insieme a prefazioni a nuove traduzioni di classici (in particolare per edizioni spagnole o sudamericane), ma non mancano interventi di più ampio respiro come quello dedicato a Otto modi di leggere Samuel Beckett (a ribadire la lunga fedeltà allo scrittore irlandese).

A colpirci anche in questa raccolta è l’ampiezza di interessi e di orizzonti di Coetzee, lettore-scrittore che domina come pochi dei suoi contemporanei lo svolgersi della fiction antica e moderna nelle sue implicazioni profonde, storiche e poetiche. La conoscenza storica e linguistica (e si potrebbe dire senz’altro l’erudizione nella sua accezione più nobile e vasta) di cui dà prova resta però sullo sfondo ed emerge sempre attraverso le vicende delle singole opere affrontate e dei loro autori, cui Coetzee – dal grande scrittore che è – sa restituire la vita e il destino in pochi, semplici tratti. Ogni intervento prende le mosse in genere da una storia, da fatti, occasioni, per allargare poi lentamente lo sguardo all’opera di cui si parla e spesso, attraverso questa, all’intera produzione di uno scrittore. Più che esprimere giudizi (che pure non mancano, vedi il caso di Philip Roth), Coetzee sembra voler puntare a una zona che la critica letteraria in genere salta o trascura: quella che copre la relazione profonda e necessaria che lega lo scrittore alla sua materia, il momento misterioso eppure decisivo dell’inventio. Perché Flaubert, più attratto dal mondo antico greco-romano che non da quello a lui contemporaneo, scelse proprio la storia di un’adultera di provincia? Perché Goethe, nonostante disapprovasse il suicidio di Werther, rimase tutta la vita oscuramente turbato dal destino del suo personaggio? Sono domande elementari che qualsiasi lettore si pone, ma che la critica ufficiale (tanto meno quella accademica, costretta nelle maglie di un discorso persuasivo-dimostrativo) preferisce spesso non affrontare. Coetzee invece non solo non le evita, ma le pone al centro dei suoi incontri con altri autori, lasciando invece in subordine altri aspetti (la tecnica narrativa o lo stile, ad esempio) che pure potrebbero interessare uno scrittore che parla di predecessori e colleghi. Se gli incontri con la prosa del romanzo moderno (da Daniel Defoe a Patrick White) sono i più numerosi, non mancano quelli coi poeti di ieri e di oggi (Hölderlin, l’australiano Leslie Murray, il polacco Zbigniew Herbert, lo stesso Robert Walser, considerato giustamente un poeta in prosa) e ritorna anche in questa raccolta, come nelle altre precedenti, accanto alla visione d’insieme di un’opera, l’attenzione alla parola azzeccata, al mot juste in singoli e decisivi passaggi, sia sul piano della scrittura sia su quello della traduzione (i saggi su Goethe e su Hölderlin nascono proprio attorno ad alcune traduzioni, dal tardo Settecento fino alle più recenti). L’approdo a una formulazione critica felice e memorabile (nei racconti di Kleist «manca un terreno saldo, un luogo dove noi lettori possiamo prendere una posizione sicura», p. 67, l’essenza del romanzo L’Assistente di Walser è «la celebrazione della meraviglia di essere vivi», p. 76) non avviene però mai a prezzo di forzature o metaforizzazioni troppo esplicite né rivela – come sembra invece suggerire la quarta di copertina del volume – il «gusto per il dettaglio biografico inatteso», bensì è spesso il punto nevralgico di una messa a fuoco progressiva, perfettamente perseguita attraverso una scrittura scabra e tagliente, distaccata e calorosa al tempo stesso: quella stessa (se pur sottoposta a tensioni meno vertiginose e ad equilibri meno ricercati) che i lettori dei romanzi di Coetzee ben conoscono e che in queste pagine saranno felici di ritrovare.