Il lavoro dello slavista
Ripellino, Zveteriemich e Strada tra progetti culturali e politiche editoriali
Alessandra Reccia

Nel 1953, a Mosca moriva Stalin e cominciava il Disgelo, un periodo di distensione dei rapporti diplomatici internazionali e di rivisitazione delle politiche interne. Un importante processo di riabilitazione delle vittime della repressione staliniana portò alla pubblicazione in Unione Sovietica di opere fino a quel tempo bandite e alla discussione di autori perseguitati e censurati. In quello stesso anno entrava nella redazione milanese dell’Einaudi il giovane Vittorio Strada. Questi, interessato e attento ai mutamenti culturali dell’Urss, ben presto propose la traduzione di un romanzo, il cui titolo darà il nome all’intera epoca: l’Ottpel´ di I. Erenburg, pubblicato a Mosca nel 1954 e pochi mesi dopo già disponibile in traduzione al pubblico italiano. Con questo libro entrava nel mercato editoriale italiano la letteratura del disgelo, che si affiancava a quella degli autori contemporanei del realismo. Dopo la Liberazione, infatti, si assiste ad un rinnovato interesse per la cultura russo-sovietica,1 che era stata messa al bando negli ultimi anni del fascismo.2

È quasi ovvio sottolineare il determinante valore ideologico e simbolico che la cultura sovietica rivestiva in Italia e che spiega come mai, dal dopoguerra e fino almeno alla metà degli anni Sessanta, la scelta delle opere o degli argomenti, discussi pubblicamente sia sugli organi di stampa sia nelle sezioni e cellule di partito, dipendeva in Italia quasi esclusivamente dagli organi editoriali e dalle istituzioni culturali della sinistra. Probabilmente alla base di questo monopolio agivano anche ragioni di ordine pratico, dal momento che procurarsi un libro sovietico era oltremodo difficile, quasi impossibile, se non attraverso canali istituzionali, ai quali si poteva accedere solo tramite la mediazione del Partito e dei suoi organi.

In questo settore, fino al principio degli anni Cinquanta, l’Einaudi dominava incontrastata, in quanto era l’unica Casa in grado di avere il progetto politico-culturale e, insieme, i mezzi economici necessari per affrontare un programma di traduzioni e la diffusione capillare delle opere russo-sovietiche. In genere, infatti, quelli che possedevano i capitali difficilmente erano interessati al discorso ideologico che questo genere di pubblicazioni inevitabilmente implicava (attestandosi generalmente sulla letteratura classica). Altri invece, pur mostrando interesse politico, non riuscivano a sostenere, con i propri mezzi, il nascente mercato editoriale italiano.

Non è esistita dunque una seria concorrenza in questo campo fin quando, nel ’53, non si affacciarono sul mercato gli Editori Riuniti, e poi nel ’55 l’agguerritissima Feltrinelli.

La concorrenza editoriale in un settore politicamente strategico, come quello della letteratura sovietica, era un fatto assolutamente nuovo nel panorama culturale italiano.

La distensione aveva significato anche la libertà relativa per gli intellettuali italiani di entrare in Russia, di attivare scambi con singoli intellettuali sovietici o con redazioni e case editrici e quindi, per gli editori, la possibilità di procurarsi manoscritti e opere di prima mano, senza passare per l’ambasciata sovietica e dunque per il Partito. Nel dopoguerra, infatti, i diritti delle opere sovietiche dovevano essere concessi dall’Ambasciata dell’Urss. Un problema pratico, dunque, ma che aveva forti implicazioni politiche oltre che economiche. La questione dei diritti da sola certamente spiega poco. Eppure aiuta a comprendere che nel piano industriale dell’Einaudi l’alleanza con il Pci, che si sapeva indispensabile, ma non si voleva troppo vincolante, assumeva una rilevanza strategica.

Allo stesso modo, il Partito, a cui ancora mancavano mezzi di produzione adeguati, aveva puntato su un organo culturale esterno, importante anche in riferimento alla politica delle alleanze sociali che il Pci stava conducendo. L’illusione, o se si vuole, la scommessa, era quella di allineare o piegare, in nome del riferimento ideologico che si voleva unificante, l’industria alla volontà partitica.3

Nel 1953 la nascita degli Editori Riuniti, che accorpava due piccole case di partito,4 forniva al Pci uno strumento finalmente in grado di stare sul mercato. Un editore moderno, capace di organizzare un catalogo molto articolato, attento ai testi di politica e attualità e ricco di collane di letteratura straniera, con dominanza di titoli russo-sovietici. Così, relativamente alle opere russo-sovietiche, agli inizi degli anni ’50, gli Editori Riuniti si imposero come una delle principali concorrenti di Einaudi,5 tanto da costringere la casa torinese ad abbandonare alcuni importanti piani editoriali, come ad esempio la scelta ripelliniana del Majakovskij o anche la pubblicazione delle Memorie di Erenburg. 6.

Sembra lecito sostenere che per il Partito questa nuova impresa economica e culturale si collegava al fallimento del progetto politico di alleanza con la Einaudi che, pattuito all’indomani della Liberazione, era entrato in crisi durante la Guerra Fredda. Il settore delle opere russo-sovietiche, e non solo letterarie, aveva rappresentato un nodo strategico e, allo stesso tempo, un punto debole di quel patto interno alla sinistra italiana.7

Luisa Mangoni8 descrive molto lucidamente l’articolazione complessa di questo rapporto, mettendoci così in guardia da facili dicotomie, come quella tra cultura e partito, alla quale infatti si dovrebbe almeno aggiungere, come terzo termine, l’industria. Né sarebbe corretto fare una distinzione netta tra intellettuali di partito e intellettuali della casa, poiché le tre redazioni einaudiane erano composte da intelligenze le cui biografie politiche si diversificavano anche di molto.9

Il punto è che, fino almeno al 1951, Einaudi inquadra il problema dei rapporti con il Pci in un preciso progetto politico che mirava a fare della sua Casa un’istituzione culturale di riferimento per la sinistra italiana.

Almeno per ciò che concerne la letteratura sovietica allora, Zveteremich può essere considerato una figura di questo rapporto privilegiato tra Einaudi e il partito. Slavista e insieme militante del Pci, era stato chiamato dalla Casa torinese già dal 1945 per un programma di pubblicazioni di opere sovietiche. Fin da subito attribuì al suo lavoro redazionale una forte connotazione politica, facendo coincidere le finalità dell’impegno di partito con l’attività editoriale.

«La mia attività – scriveva ad Einaudi il 6 maggio del ’45 – intendo impostarla su due punti fondamentali. Il Partito e la tua Casa. E vedo con grande soddisfazione che questi due campi non solo permettono il lavoro nella medesima direzione, ma si integrano».10

La Milano post-bellica, da dove Zveteremich scriveva e lavorava, era la città del Fronte della cultura e del «Politecnico», nell’immediato dopoguerra fortemente impegnata nella ricostruzione del tessuto culturale e sociale, sfaldato dal fascismo. In questo contesto, anche la costituzione della redazione milanese dell’Einaudi, della quale fecero parte, insieme con Zveteremich, Vittorini e Ferrata, fu salutata come un’azione politica rivolta al raggruppamento degli intellettuali del Nord Italia.

Messosi subito al lavoro, Zveteremich approntò un impegnativo piano di edizioni di opere poco o per nulla conosciute della letteratura russa moderna e un programma di traduzioni di letteratura sovietica.11 Quest’ultimo, soprattutto, venne però da più parti criticato, sia per la scelta degli autori, ma anche per le modalità attraverso cui Zveteremich conduceva i rapporti con l’ambasciata.12

L’esigenza di bilanciare la forza del partito portò allora Einaudi ad affiancare i collaboratori provenienti dal Pci con intellettuali “interni”, tant’è che il lavoro di Zveteremich sarà coordinato da Nicosia e Pavese.13 Ma anche a valorizzare collaborazioni “indipendenti”, come quella di Franco Venturi che, dal 1947 a Mosca, si impegnò con Einaudi a suggerire i libri interessanti pubblicati in Urss e ad aggiornarlo sul dibattito intellettuale sovietico, del quale riferiva anche a Felice Balbo, responsabile della collana filosofica, a Gius. Berti, segretario dell’Ass. Ita-Urss e a Emilio Sereni, dirigente del Pci.14

Dal punto di vista delle politiche delle relazioni, la consulenza di Venturi può anche essere letta come un tentativo di dribblare la mediazione del Partito per la pubblicazione di opere sovietiche. In effetti i difficili rapporti con il Pci, che si articolavano anche nel settore delle collane politiche e delle riviste,15 spingevano Einaudi a conquistare spazi di autonomia sempre più ampi ed evidenti, soprattutto nei settori strategici di interesse politico. In quest’ottica può essere letto il caso del
Fiore del verso russo, la raccolta poetica curata da Poggioli nel 1949, la cui pubblicazione provocò a tal punto l’ira dei dirigenti del Pci che Togliatti decise di ritirare dalle stampe torinesi le sue opere in uscita. Una tale reazione però probabilmente si spiega non solo a partire da posizioni ideologiche relative alla composizione del libro e alla biografia del curatore, ma anche con ragioni meramente politiche: con il Fiore saltava infatti l’accordo con il Pci in merito alla pubblicazione delle opere sovietiche e veniva messo seriamente in dubbio il controllo del partito su un settore specifico della produzione culturale di sinistra.

Zveteremich, che avrà parole durissime sul Fiore, andrà via dalla Casa due anni dopo, quando fallirà il progetto della sua Guida popolare della letteratura russa, proposta in collaborazione con Berti, e pensata in origine per bilanciare il “caso Fiore”.16 Il travaglio editoriale della Guida segnerà di fatto un passaggio per i già incrinati rapporti tra la Casa e il Partito, soprattutto per il settore specifico delle opere russo sovietiche.17 Il posto da slavista lasciato libero nella redazione milanese sarà occupato allora, circa due anni dopo, dal giovane Vittorio Strada.

La corrispondenza di Strada con i redattori torinesi è fin da subito fittissima e piena di proposte editoriali, piani e giudizi. Ma è soprattutto dopo la pubblicazione del Disgelo che il lavoro di Strada si farà più articolato, con l’individuazione di una serie di altri titoli legati alla nuova atmosfera culturale sovietica. Dei nuovi libri si veniva a sapere grazie a contatti privati e alla possibilità di procurarsi le riviste letterarie.18 Il nuovo regime concorrenziale, però, se consentiva un accesso diretto alle opere non garantiva agli editori l’esclusività della pubblicazione. L’Urss infatti non aveva aderito alla Convenzione di Berna, che regolava invece la cessione dei diritti nel Vecchio continente. Ciò comportava da un lato una grossa possibilità in termini economici, poiché la casa editrice che per prima pubblicava un’opera sovietica, entro 30 giorni dalla sua uscita in Urss, guadagnava i diritti in tutto il mercato europeo. D’altra parte, però, l’interesse economico legato alle opere sovietiche portò ad una concorrenza spietata che si risolse più di una volta con la pubblicazione di doppioni editoriali.19 Così accadde anche per il romanzo di Viktor Nekrasov, Nella sua città, tradotto nel 1955 sia da Strada che da Zveteremich, rispettivamente per Einaudi e per Feltrinelli e con due titoli diversi.20 La casa milanese, da poco presentatasi sul mercato, si aggiudicò l’anteprima per poche settimane.

Anche per Feltrinelli, come per Einaudi, la letteratura sovietica era un elemento caratterizzante dell’«identità editoriale»21 della Casa e il nuovo impegno editoriale di Zveteremich fu in questo senso fondamentale. Così, in questo settore si aprì direttamente la concorrenza tra i due slavisti, ma soprattutto tra le due case.22 Proprio la vicenda del Nekrasov e il tentativo di reggere il confronto con Einaudi indurranno Feltrinelli ad assumere Sergio D’Angelo, un giornalista di Radio Mosca, come talent scout letterario in Russia. Come è noto D’Angelo si aggiudicherà il manoscritto del Dottor Živago, che sarà pubblicato in anteprima mondiale da Feltrinelli nel ’57 per la traduzione di Zveteremich. Per questo libro la concorrenza si estese addirittura oltre confine, costringendo il traduttore a consegnare la versione italiana in poche settimane, in modo da strapparla alla Gallimard.

Lo Živago avrà un vero e proprio boom editoriale e farà la fortuna di Feltrinelli. La sua pubblicazione, censurata in Urss, darà vita ad un accesissimo dibattito, nel quale l’intellighenzia italiana di sinistra riverserà tutti i nodi irrisolti delle discussioni del ’56, quando l’invasione sovietica di Budapest determinò una delle più profonde spaccature interne al blocco comunista internazionale. La dirigenza del Pci fu vanamente chiamata ad intervenire da Chruščev in persona. L’editore e il traduttore difesero la pubblicazione contro ogni attacco censorio.

In seguito Zveteremich sarà emarginato dal partito e a poco a poco l’intellettuale militante sarà presto inquadrato nell’organizzazione dell’industria culturale italiana. La sua attività editoriale non si limiterà alla sola Feltrinelli.23 Tuttavia la proposta che nell’ambito delle politiche feltrinelliane riuscì a realizzare è senza dubbio la più rilevante. Basti pensare che tra il ’57 e il ’58 oltre allo Živago licenzia per le stampe I quaderni del dottor Čechov, e si impegna per un’antologia di poeti russi contemporanei.24 Mentre è di qualche mese successiva la pubblicazione, ancora una volta in anteprima mondiale, dell’Autobiografia di Boris Pasternak.25

Fu probabilmente la pressione concorrenziale esercitata da Feltrinelli a spingere Einaudi ad affiancare a Strada un altro slavista. Su consiglio di Renato Solmi, entrò a far parte dalla redazione Angelo Maria Ripellino, già docente universitario, raffinato conoscitore della letteratura russa classica e primo-novecentesca. Chiamato a giudicare le proposte di Strada, avrebbe dovuto aiutare quest’ultimo a continuare il filone della letteratura del disgelo,26 ma poi le sue competenze si differenzieranno.

Su richiesta di Einaudi, che aveva già un articolato piano di pubblicazioni russo-sovietiche sia di letteratura che di critica teorica,27 Ripellino presenta un programma serissimo per la diffusione di autori classici, come l’allora sconosciuto Leskov o il Puškin,28 inedito dei Poemetti, e della grande poesia del primo Novecento russo praticamente sconosciuta in Italia.29 Anche se la diffusione di opere russo-sovietiche godeva di una particolare fortuna dovuta all’importanza politica che l’Urss aveva in Italia, il pubblico accolse con freddezza la pubblicazione, poche settimane prima dell’uscita dello Živago, di quella che ancora oggi è la raccolta più completa che possediamo delle poesie di Pasternak, la cui uscita fu completamente sommersa dalla “chiacchiera” rumorosa sul romanzo.30

Autore anche di indispensabili saggi critici sul periodo delle Avanguardie russe, Ripellino fu a tutti gli effetti un intellettuale einaudiano, per il tipo di rigore e cura che metteva nel lavoro e allo stesso tempo per la capacità e l’intelligenza con cui conduceva il suo progetto di divulgazione della letteratura russa.

Strada e Ripellino risultano allora complementari nell’ambito delle politiche culturali einaudiane. Mentre per noi sono, pur nella loro diversità, allo stesso modo rappresentativi del cambiamento del ruolo sociale dell’intellettuale nell’Italia della fine degli anni Cinquanta. Il primo per essere ancora un intellettuale engagé, interessato ad indirizzare socialmente e politicamente la ricerca letteraria, ma non più in senso militante. Il secondo per essere già il prototipo dello specialista, pur rimanendo ancora un intellettuale in senso ampio.

Non può essere messo in discussione, ovviamente, il loro ruolo nell’ambito della diffusione della cultura russo-sovietica. A Strada, come già a Zveteremich, è legato il senso che noi diamo alla migliore letteratura sovietica, il valore anche politico che questa ha assunto nei difficili processi di trasformazione europei dal ’56 al ’68 al ’77 e fino all’89. Senza tema di esagerare, poi, si deve dire che Ripellino ha determinato l’immagine pubblica e accademica che ancora oggi abbiamo della letteratura russa classica e della poesia novecentesca. Si vuole però sottolineare che le loro figure in questi anni già anticipano, pur non essendolo ancora del tutto, i nuovi modelli di intellettuale industriale.

Nelle loro storie editoriali appare chiaro che il fallimento del piano culturale al quale erano stati chiamati fin dal ’45 gli intellettuali di sinistra si era risolto già alla fine degli anni ’50 con la separazione netta delle questioni culturali, lasciate completamente nelle mani dell’industria, da quelle politiche, la cui cura fu affidata invece al partito.

Solo negli anni Sessanta, Franco Fortini, presentando i risultati della sua riflessione sui rapporti tra industria e cultura in Verifica dei poteri, fornirà una delle più lucide e complete teorizzazioni del limite dell’esperienza intellettuale italiana del decennio precedente, individuando inoltre nell’industria, «che non produce soltanto oggetti ma rapporti umani e idee», la falsa alternativa dell’intellettuale militante, ridotto invece tra i due estremi della «saggistica accademica e della informazione».31

Non sfuggiva a questa polarizzazione nemmeno il lavoro dello slavista, che tenderà da allora in poi a spingere sempre di più il discorso sulla letteratura russa e sovietica o nel chiuso dell’accademia o ad adagiarlo sul «rumore di fondo» dei discorsi politico-culturali filo o anti sovietici. Tanto che, finita la stagione d’oro del dissenso, la russistica rientrerà a tutti gli effetti nell’ambito della discussione specialistica: escusa, come ogni altra letteratura straniera, a quelli che non sono in grado di leggerne la lingua e che possono avvicinarla, intuendone l’enorme portata etica, solo come un miraggio o una devozione.

Note

1 Con la Liberazione, il rinnovato interesse per la cultura sovietica portò ad una domanda di opere russo-sovietiche, la quale venne soddisfatta da piccole case editrici, come Quintieri, Monanni e De Carlo, con la pubblicazione soprattutto di antologie di prosa e poesia. Accanto a questi lavori va senza dubbio ricordata la collana I premi Stalin della casa editrice Macchia, alla cui realizzazione collaborò Ettore Lo Gatto. Anche le case di partito, rispondendo ad un’esigenza politica, contribuivano a fornire e/o a diffondere la cultura umanistica sovietica, anche se con pubblicazioni ideologicamente molto allineate alle direttive ufficiali e usufruendo di un ristretto canale di distribuzione, quasi esclusivamente interno al partito. Cfr. anche C. Scandura, Letteratura russa in Italia, un secolo di traduzioni, Roma, Bulzoni, 2002, pp. 11-33.

2 In un primo momento, il fascismo non mostrò una particolare ostilità nei confronti della cultura russa e sovietica. Esisteva anzi una sinistra fascista che, guardando allo statalismo sovietico come ad un modello sociale, in una certa misura, si mostrava interessata alla produzione culturale di questo paese. Marcello Flores ricostruisce l’attenzione dei fascisti all’Urss, indicando il gruppo di Bottai, riunito intorno alla rivista «Critica fascista», a cui appartenevano tanto Gaetano Ciocca, autore di un Giudizio sul bolscevismo, quanto P.M. Bardi, di cui ricorda il resoconto del viaggio in Urss dal titolo Un fascista nel paese dei soviet (cfr. M. Flores, L’immagine dell’Urss, l’Occidente e la Russia di Stalin (1927-1956), Milano, Il Saggiatore, 1990, pp. 197-200). Cesare De Michelis ricorda che tra gli anni Venti e Trenta le opere sovietiche godettero di una buona diffusione con la pubblicazione anche di autori noti quali Erenburg, Leonov, e altri che subiranno una lunga censura come Bulgàgov, Pil´njak, Esenin e Babel´ (C. De Michelis, Russia e Italia, in Id., Storia della civiltà russa, vol. II, p. 697). Solo alla vigilia del Secondo conflitto mondiale, dichiarata l’Urss un nemico ufficiale, ne venne messa al bando tutta la produzione letteraria. In relazione a questi avvenimenti si rinsaldò il nesso simbolico tra cultura russo-sovietica e socialismo. In questo clima Renato Poggioli, ovvero il più importante slavista del tempo, fu costretto ad emigrare negli Stati Uniti, mentre il giovane studioso e traduttore di origine russa Leone Ginzburg, fu incarcerato e ucciso. Di tutto questo periodo resta emblematico il caso della traduzione de L’armata a cavallo di Babel´, tradotta da Poggioli per una collana diretta dall’antifascista Antonicelli e le cui copie vennero fatte sequestrare (cfr. C. De Michelis, Letteratura russa del Novecento, in Id., La Slavistica italiana. Cinquant’anni di studi (1940-1990), a cura di G. Brogi Bercoff, G. Dell’Agata, P. Marchesani, R. Picchio, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, 1994, pp. 209-10).

3 Molti furono i progetti mai, o solo parzialmente realizzati tra il Partito e l’Einaudi, come quello di creare una linea di libri diffusa internamente al partito e parallelamente alla grande distribuzione. In relazione a ciò nasce anche la Pbs-l, una collana rivolta «ai compagni» e alle discussioni di partito, non per la propaganda ma per l’avanzamento culturale del militante. La Pbs-l era stata pensata in relazione al progetto delle biblioteche di sezione o di cellula, per le quali Einaudi aveva incaricato Mario Motta e coinvolto, su indicazione di Pajetta, anche Giolitti. Cfr. L. Mangoni, Pensare i libri, la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp. 403, 558 e 560).

4 Le edizioni di Rinascita e le Edizioni di cultura sociale si fusero negli Editori Riuniti. C’è da supporre che la nascita degli Editori Riuniti sia da mettere in relazione allo sfaldamento dei rapporti con Einaudi e quindi all’esigenza del partito di poter usufruire di una Casa capace di articolarsi all’esterno del partito.

5 La rilevanza degli Editori Riuniti in questo settore si deve alla pubblicazione dell’Opera completa di Gor´kij (1956-65) e delle Opere di Majakovskij (1958), ma anche alle collane di prosa contemporanea Le opere e i giorni e Scrittori del realismo. Inoltre, dal 1961 al 1965, con la collana Scrittori sovietici gli Editori Riuniti si impegnarono in maniera sistematica nell’edizione di autori contemporanei come Erenburg, Evtušenko, Simonov, Šolochov.

6 Archivio Einaudi, incartamento Strada e incartamento Ripellino. Strada, durante il suo periodo moscovita, aveva proposto la pubblicazione oltre che delle Memorie di Erenburg anche dell’Epistolario di Esenin. Queste proposte erano state accolte con entusiasmo da Ripellino che sperava di potervi aggiungere l’Epistolario di Majakovskij.

7 Entrambi infatti mireranno a stabilire in maniera precisa gli ambiti di competenza reciproci, nello specifico i libri e i luoghi di discussione e diffusione delle opere. In una lettera a Giolitti Einaudi parla di circoscrivere i rapporti con il Pci a settori ben determinati della produzione e di differenziare i libri «che impegnano ideologicamente il partito», da quelli «suggeriti dalla Casa editrice» al Partito e ancora, quelli in cui si chiedeva al partito un semplice parere (Mangoni, Pensare i libri, cit., p. 402). Allo stesso modo il Pci affidava alla casa solo la diffusione di certi tipi di opere, distinguendo i libri «che bisogna attivamente diffondere nel partito», da quelli «che è lecito diffondere», per finire con le pubblicazioni invece «che sono da escludere» (ivi, pp. 391 e 326).

8 In tutto il libro della Mangoni è centrale la questione dei rapporti tra la Casa e il Partito. Vale la pena notare che gli intellettuali di partito non venivano imposti alla Casa, la quale anzi se ne serviva sia perché interessata a sfruttare le specifiche competenze disciplinari, sia per la posizione di cui i singoli intellettuali godevano nell’ambito delle relazioni istituzionali del partito. (Cfr. Mangoni, Pensare i libri, cit., p. 326).

9 Basti pensare ad esempio a Muscetta nella redazione romana dal 1945 al 1959 o anche a Giolitti che resterà a lungo un fidato consulente di Einaudi. Si deve anche considerare che molti dei redattori storici della Einaudi iniziano a collaborare con la Casa quando ricoprono anche ruoli politici nel Pci che poi lasceranno (Vittorini, Calvino). Inoltre non bisogna dimenticare la presenza di cattolici di sinistra come Felice Balbo o del gruppo di quelli che provenivano dal partito d’azione.

10 Lettera di Zveteremich a Giulio Einaudi del 6 maggio 1945. Archivio Einaudi (da ora A.E.), Incartamento Zveteremich, cit anche in Mangoni, cit., p. 216.

11 I piani riferiti da Zveteremich alla redazione della Casa sono proposti in due lettere non datate che però possono a ragione essere ritenute dei primi anni del dopoguerra (A.E., Incartamento Zveteremich, ff. 22 e 27-32). La Mangoni data entrambe le lettere all’11 gennaio 1946 (Mangoni, Pensare i libri, cit., p. 329n).

12 La redazione torinese lo criticherà aspramente perché sembrava accettasse troppo facilmente i “net” dell’ambasciata, alla pubblicazione delle opere da lui proposte (Mangoni, Pensare i libri, cit., pp. 214 e 328-29).

13 Mangoni, Pensare i libri, cit., p. 328 n.

14 Ivi, pp. 379-90.

15 La collaborazione esisteva su alcuni progetti, come, per esempio, sulla collana Marxista proposta dalla redazione romana della Einaudi fin dal 1945 e organizzata in accordo con il Partito, o sulla Nuova collana del pensiero ideologico, pensata da Balbo e affidata a Sereni all’Indomani della chiusura del «Politecnico» oppure, almeno all’inizio, sulla Piccola Biblioteca Scientifica Letteraria Pbs-l, per la quale Motta curava i rapporti con il partito. Tra le riviste certamente «La cultura sovietica», in collaborazione con l’Associazione Italia-Urss, diretta da Manacorda, chiusa nel ’46 per volontà di Giulio Einaudi, il quale attribuirà la sua decisione ad una difficoltà economica della Casa, il «Politecnico» e più tardi, dal ’53 al ’56 «Società» (direzione Muscetta-Manacorda). Cfr., Mangoni, Pensare i libri, cit., pp. 325, 393-4, 558, 330.

16 Cfr. Mangoni, Pensare i libri, cit., sul caso Fiore.

17 Nel ’56, scrive giustamente la Mangoni, l’Einaudi arriva preparata alla rottura con il Pci che orami si organizzava almeno dal ‘51 (p. 859) e ricorda che altre pubblicazioni di rottura sono Socialismo e verità di Guiducci, Qui Budapest! di Luigi Fossati (reportage pubblicato sull’«Avanti!»), Riforme e rivoluzione di Giolitti, con il quale l’autore decretava la sua fuoriuscita dal Pci (p. 863). Usciva dal Pci nel 1957 anche Calvino, mentre Bollati e Foà non rinnovavano l’iscrizione. Intanto Muscetta lasciava «Società» e Einaudi si liberava della rivista.

18 Tra l’altro dal 1958 Strada sarà a Mosca. Fra i suggerimenti interessanti va senza dubbio citata la proposta, non andata in porto, di tradurre My di Zamjatin, romanzo censurato già nel 1921 e per il quale il suo autore era stato costretto all’emigrazione (A.E., Incartamento Strada). Quest’opera, che diventerà poi un cult del dissenso, sarà pubblicata nel 1955 per la traduzione di Ettore Lo Gatto dalla casa bergamasca Minerva Italica, ma solo nel 1963 entrerà nel grande circuito editoriale grazie alla Feltrinelli, che ne riproporrà l’edizione.

19 Il caso più eclatante fu certamente quello del Non di solo pane di Dudincev, che avrà nel 1957 ben tre traduzioni differenti (Edizioni Avanti!, Garzanti e Centro Internazionale del libro). Il romanzo era stato discusso anche all’Einaudi e solo un parere negativo di Strada aveva evitato la quarta edizione italiana del libro (Lettera di Calvino a Strada del 17 maggio 1957. A.E., Incartamento Strada).

20 La vicenda è raccontata in S. Garzonio, Pietro Zveteremich e la pubblicazione del «Dottor Živago», in Pietro A. Zveteriemich, l’uomo, lo slavista, l’intellettuale, Messina, Università degli studi di Messina, 2009.

21 G.C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, pp. IX-XIV.

22 Babel’ sarà pubblicato dagli Editori Riuniti che nel 1958 proporranno I racconti di Odessa per la traduzione di Zveteremich. In quello stesso anno la Einaudi farà uscire i Racconti mentre la Feltrinelli lavorerà ad una pubblicazione più articolata tradotta e curata da Frassati che presenterà al pubblico italiano con i racconti anche le opere per il teatro e per il cinema. Vd. N.N. Šestakova, Bibliografia della letteratura sovietica tradotta in Italia dal 1945 ad oggi, in «Rassegna Sovietica», 2, 1987. Giulio Einaudi sperava di procurarsi manoscritti inediti di Babel’, mentre Strada subito dopo la pubblicazione delle Opere in Urss tentava, anche grazie alle informazioni di Ripellino, di entrare in contato con la vedova dello scrittore epurato. Mentre Il disgelo era in un primo momento in programma per Feltrinelli. Einaudi approfitterà dei ritardi nella pubblicazione. Cfr. Lettera di Calvino a Ripellino del 14 gennaio 1957 e di Ripellino a Calvino del 20 gennaio 1957 (A.E., Incartamento Ripellino); lettera di Calvino a Strada del 6 febbraio 1958 (A.E., Incartamento Strada). Cfr. anche Mangoni, Pensare i libri, cit., p. 713n e p. 866.

23 Tradurrà infatti anche per Mondadori, Garzanti e Rizzoli.

24 Molti dei poeti russi proposti erano da poco stati tradotti di suo pugno, insieme con l’amico Mario Socrate, in «Rassegna Sovietica». Garzonio, Pietro Zveteremich, cit.

25 Si tratta infatti della prima edizione integrale dell’Autobiografia di Pasternak: B. Pasternak, Autobiografia e nuovi versi, Milano Feltrinelli, 1958. Nello stesso 1958 presso Feltrinelli, ma a cura di Filippo Frassati, comincerà ad uscire anche l’edizione delle Opere di Babel’.

26 Mangoni, Pensare i libri, cit., p. 844.

27 Lettera di G. Einaudi a Ripellino del 20 dicembre 1955, A.E., Incartamento Ripellino.

28 Il progetto del Puškin, presentato in prima battuta da Poggioli (Mangoni, Pensare i libri, cit., p. 712n), fu approvato da Ripellino con alcune aggiunte e suggerimenti: Lettera di Ripellino a Foa del 17 gennaio 1956. La direzione del progetto sarà proposta a Ripellino in una lettera di L. Foa del 3 febbraio 1956 e Ripellino accetterà l’incarico qualche giorno dopo con la lettera del 7 febbraio 1956. Nel progetto sarà coinvolto anche Tommaso Landolfi. Archivio Einaudi, Incartamento Ripellino. Le opere di Puškin usciranno in due volumi: Romanzi e racconti a cura di Ripellino nel 1959 e Poemi e liriche, a cura di T. Landolfi nel 1960.

29 Non tutte le opere di Puskin erano state pubblicate, anche se alcune di esse erano state antologizzate.

30 In più di una lettera Ripellino si lamenterà dell’accoglienza alle Poesie di Pasternak. Lettere di Ripellino a Calvino del 13 e 22 novembre 1957 e del 10 febbraio del 1958. In un primo momento, di ritorno da un viaggio a Varsavia, quando ancora in Urss si parlava di una prossima pubblicazione dello Živago, Ripellino aveva sperato di poter far coincidere l’uscita delle Poesie di Pasternak in Italia con quello del romanzo in Unione Sovietica. Lettera di Ripellino a Calvino del 1 maggio 1956 (A.E., Incartamento Ripellino).

31 F. Fortini, Verifica dei poteri, in Id., Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003, rispettivamente p. 45 e p. 21.