Il diario cinese
di Edoarda Masi
Un caso di rifiuto editoriale
degli anni Sessanta
Irene Mordiglia
Pubblicare, non pubblicare: quali meccanismi regolano la mediazione editoriale? Perché un testo diventa un libro? Perché non lo diventa mai, o non lo diventa subito? In un saggio pubblicato per la prima volta nel 1999 e riproposto in italiano sulle pagine dell’«Ospite ingrato» con il titolo Una rivoluzione conservatrice nell’editoria, Pierre Bourdieu rispondeva a queste e ad altre domande partendo da una premessa: per indagare il processo di selezione che distingue il “pubblicabile” dall’“impubblicabile” «si deve evidentemente esaminare il dispositivo istituzionale (comitati di lettura, lettori, direttori di collana, specializzati o meno, ecc.) che, in ogni casa editrice, è incaricato di fare una cernita dei manoscritti proposti».1 Per comprendere a pieno come questo dispositivo operi all’interno di una casa editrice, prosegue Bourdieu, sarà necessario considerare la struttura del campo editoriale all’interno del quale la singola casa editrice svolge la sua attività. È la struttura del campo editoriale che determina «le dimensioni e la struttura dell’unità responsabile della decisione»;2 è la struttura editoriale che definisce «il peso relativo, nei rapporti tra i diversi agenti, dei diversi criteri di valutazione».3 Ogni casa editrice occupa all’interno della struttura editoriale nel suo complesso una posizione: «è questa posizione strutturale – sostiene Bourdieu – che orienta le prese di posizione [dei responsabili della selezione editoriale], le loro strategie in materia di pubblicazione […], definendo il sistema dei condizionamenti e degli scopi che a loro si impongono e i “margini di manovra”, spesso piuttosto stretti, lasciati al confronto e alle lotte tra i protagonisti del gioco editoriale».4
Secondo Bourdieu, possiamo dedurre le linee portanti della politica culturale di una casa editrice dalla posizione che essa occupa all’interno del sistema editoriale. Lo studio statistico di esperienze editoriali diverse permetterebbe inoltre di determinare alcune tendenze costanti dell’attività editoriale: ad esempio, ad una mancanza di ingenti risorse economiche corrisponderebbe una maggiore propensione alla sperimentazione destinata a perdersi via via che la casa editrice si sposta «verso posizioni dominanti».5 Bourdieu propone quindi un metodo interpretativo in cui il macro spiega il micro perché il generale determina il particolare: l’autonomia dei «luoghi di decisione» è un’illusione dettata dall’ignoranza dei «condizionamenti del campo».6
Al metodo di determinazione dei meccanismi della mediazione editoriale proposto da Bourdieu vorrei contrapporre un metodo a mio avviso meno arbitrario e astratto, il metodo del contesto storico: quali vantaggi ha? In che termini la sua applicazione si traduce in acquisizione di conoscenza? Per rispondere a queste domande, applicherò questo procedimento di ricerca a un caso di rifiuto editoriale, poco noto e poco documentato, che ebbe luogo tra il 1960 e il 1961 presso la casa editrice Einaudi.
II
Nel dicembre 1960 Edoarda Masi, giovane sinologa e bibliotecaria di professione, scrive a Franco Fortini: «sono un’amica di Maria Regis e Renata Pisu e con loro una dei pochissimi italiani che in questi ultimi anni hanno abitato in Cina per un periodo piuttosto lungo. E ho raccontato qualche cosa della nostra vita laggiù».7
Fortini, consulente della casa editrice torinese, legge il resoconto della Masi, lo apprezza e vuole pubblicarlo:
Anche Panzieri era stato in Cina, nel settembre-ottobre 1955, con una delegazione del Psi guidata da Nenni. Un’esperienza che aveva raccontato subito nelle Note di un viaggio in Cina pubblicate su «Mondo operaio» (novembre 1955) e in un diario rimasto inedito fino al 1982.19
All’incirca nello stesso periodo Fortini viaggiava per il continente cinese come membro di un’altra delegazione italiana, questa volta patrocinata dal Centro studi per le relazioni economiche e culturali con la Cina: un soggiorno breve e rigidamente organizzato da cui Fortini si rendeva conto di poter trarre solo «impressioni, note di colore», che non toccavano «la realtà dell’uomo della strada, la condizione umana del cinese odierno».20
Il racconto dell’esperienza vissuta in prima persona da una conoscitrice della cultura e della lingua cinese, qual era Edoarda Masi, rappresentava nel 1960 un tipo di testimonianza nuovo rispetto al panorama editoriale italiano. Fortini ne è consapevole e per questo si dimostra sin dall’inizio un interlocutore curioso e incoraggiante per Edoarda Masi. La quale ha dunque valide ragioni per proseguire il lavoro di revisione del testo, in vista di una imminente pubblicazione. Ma sulla volontà di Fortini prevalgono altre ragioni, altre volontà: «il mio libro vada all’inferno – scrive la Masi nell’aprile del 1961 – ci sono cose tanto più importanti. Solo desidero che la cosa finisca presto e, giacché ha preso la piega storta, di riavere il testo perché, contrariamente a quanto quei signori hanno creduto, non provo nessun gusto a esibire i miei fatti personali, e non mi piace di sapere chi l’ha in mano».21 Con l’amarezza della Masi si conclude il percorso di ricostruzione di un fatto condotto sulla documentazione dell’epoca.
III
Il saggio di Bourdieu mette in rapporto la dimensione minima del dispositivo istituzionale preposto al vaglio dei testi da pubblicare e la dimensione massima del settore editoriale nella sua totalità. In questo rapporto, secondo Bourdieu, il termine massimo (la struttura del campo editoriale) orienta, determinandolo, il termine minimo (il dispositivo istituzionale): la scelta di non pubblicare il diario della Masi dovrebbe dunque esser stata dettata dalla posizione che la casa editrice Einaudi occupava nel mercato dell’editoria del 1960. In tal modo Bourdieu crea una sproporzione notevole tra un fatto e la sua spiegazione: i particolari di questo rapporto, i passaggi intermedi che lo costituiscono, si perdono nella vaghezza di una teoria che si pretende valida a priori.
Il metodo della ricerca storica, la disciplina del contesto, procede invece come progressiva determinazione di rapporti minimi: a poco a poco, passaggio dopo passaggio, il singolo fatto storico assume significato alla luce di un contesto inteso come «insieme di altri significati».22 Un contesto che va ricostruito: da dove partire? Dove inizia il contesto? Individuerei il punto zero del nostro percorso di indagine nel testo stesso del diario della Masi: che tipo di testo era? Quali elementi potevano risultare sospetti o sgraditi a coloro che, in casa editrice Einaudi, lessero il diario e lo giudicarono non pubblicabile? Possiamo tentare di rispondere a queste domande perché, a differenza di altri casi di rifiuto editoriale, il contenuto del libro è pubblicamente fruibile da tutti: infatti, nel 1993, a più di trent’anni dalla sua stesura, il diario della Masi è stato pubblicato da Feltrinelli con il titolo Ritorno a Pechino.23
Il diario, trascritto in terza persona, racconta la vita dell’autrice e di altri giovani comunisti europei giunti all’Università di Pechino nel settembre del 1957 attraverso descrizioni impressionistiche che oscillano tra reportage e romanzesco: «Dmitrij li guardava con un sorriso russo dove la benevolenza non sa farsi ironia. L’aria calda, la grande stanza piena di fiori chiari. A quell’ora evidentemente non partivano aeroplani. Più che un aeroporto era la terra. Poi Dmitrij se n’era andato, e avevano continuato ad aspettare soli» – questo l’incipit del libro.
Siamo negli ultimi mesi del 1957: la spinta innovatrice dei “Cento fiori” si sta esaurendo per lasciar spazio al movimento repressivo contro gli elementi di destra e alla diffusione della pratica del xiafang, l’invio forzato degli intellettuali nelle fabbriche e nelle campagne. La vita degli europei come Edoarda Masi si immerge nel «penetrante silenzio» che avvolge la Cina, dove la popolazione è classificata in «buoni» e «non buoni»:
La prospettiva adottata dalla Masi non aveva convinto i redattori einaudiani, in testa Solmi, dell’opportunità di pubblicare il diario. Che tipo di approccio alla Cina maoista veniva privilegiato in quegli anni dalla casa editrice Einaudi? Una rapida scorsa del Catalogo storico einaudiano evidenzia un ritardo della casa editrice relativo alle pubblicazioni sulla Cina moderna. Oltre al già citato Asia Maggiore di Fortini, il catalogo presenta un solo altro volume sull’argomento: Le origini ideologiche della rivoluzione cinese di Enrica Collotti Pischel, pubblicato nel 1958 nella collana dei «Libri bianchi».26
Il volume era stato promosso e curato da Renato Solmi fin dal 1956. Enrica Pischel lavorava al libro dalla fine dell’anno prima, sollecitata soprattutto da Solmi a concluderlo in fretta. Ma nel marzo del ’56 il saggio non è ancora pronto e Solmi informa l’autrice che occorre fare in fretta perché «tra poco uscirà il libro di Fortini (Asia Maggiore) di cui il tuo dovrebbe essere il pendant scientifico-storico».27 Nel maggio del 1957 Solmi, che si trova a Francoforte, scrive a Daniele Ponchiroli una lunga lettera nella quale espone pregi e difetti della trattazione della Pischel:
Le origini ideologiche della rivoluzione cinese esce nel dicembre del 1958. Un secolo di storia cinese, dalla guerra dell’oppio del 1840-42 alla proclamazione della Repubblica socialista del 1949, è interpretato dalla Pischel come lungo e complesso processo rivoluzionario che modifica le strutture sociali, economiche e politiche ma, prima ancora, le categorie morali, religiose e culturali della civiltà cinese. Questo processo storico, di cui la Pischel individua come tappe fondamentali la rivoluzione dei T’ai-p’ing, la cosiddetta “riforma dei gentiluomini”, la rivolta dei boxer, il radicalismo teorico elaborato da Sun Yat-Sen, l’attivismo degli studenti universitari di «Gioventù nuova», si conclude nell’adesione all’unica ideologia che può definitivamente portarla al superamento di millenni di stabilità, chiusura rispetto al mondo, disuguaglianze e squilibri: il socialismo.
Il volume è introdotto da una nota editoriale, pubblicata anonima, ma sicuramente redatta da Solmi, nel quale il lavoro della Pischel è presentato come «strumento non solo di conoscenza storica ma anche di orientamento nella realtà politica – così strettamente, ormai, solidale e connessa – del mondo contemporaneo».29 È interessante leggere queste note editoriali che accompagnano i «Libri bianchi» perché esse, oltre a fornire le coordinate bio-bibliografiche dell’autore del libro, dichiarano la motivazione per cui esso era stato pubblicato. Ci troviamo dunque di fronte a scritti che rivendicano, senza ambiguità o facili equilibrismi, scelte non soltanto editoriali ma politiche e ideologiche. Solmi constata la superficialità del punto di vista occidentale rispetto alla complessa realtà della Cina moderna; la Pischel, scrive Solmi, è particolarmente qualificata a colmare questa mancanza di conoscenza, non solo per la sua approfondita preparazione scientifica ma anche, e soprattutto, perché inspirata da una
IV
Tra la fine del 1960 e i primi mesi del 1961 Franco Fortini si adopera invano per la pubblicazione di un libro: il libro non viene pubblicato, o almeno non subito e non dall’editore a cui per primo era stato proposto. Sulla volontà del consulente Fortini hanno prevalso le ragioni di altri consulenti in probabile accordo con l’editore.
Partendo dalla corrispondenza privata tra una giovane studiosa e un affermato intellettuale che collabora con un’importante casa editrice siamo arrivati a vedere, seppur di sfuggita, alcuni dei meccanismi della mediazione editoriale attivi in casa Einaudi nei primi anni Sessanta. Recuperando il testo del diario rifiutato, leggendolo con le categorie ideologiche con cui potevano averlo letto Fortini, Solmi, Panzieri ed altri, confrontando il libro rifiutato con un libro pubblicato, in quello stesso periodo, sullo stesso argomento, abbiamo costruito intorno a un fatto il suo contesto.
Il metodo di Bourdieu si fonda sul principio di causalità: la struttura del campo editoriale e la posizione che in essa vi occupa l’Einaudi determinerebbero l’impossibilità per Fortini di imporre la pubblicazione di un libro considerato ideologicamente scomodo. In tal modo Bourdieu perviene alla spiegazione di un effetto dalla determinazione della sua causa. La disciplina del contesto storico azzera invece ogni gerarchia tra sopra e sotto, tra causa/e e effetti definendo il contesto come groviglio di significati in rapporto dinamico e reciproco tra loro. La determinazione di questi rapporti – come questi rapporti si sono svolti e non perché – è la spiegazione a cui la disciplina del contesto storico vorrebbe pervenire.
1 Pierre Bourdieu, Una rivoluzione conservatrice nell’editoria, in «Actes de la recherche en sciences sociales» 126-127, marzo 1999; poi in «L’ospite ingrato» (Semestrale del Centro studi Franco Fortini), numero monografico Editoria e industria culturale, 2, 2004, pp. 19-59.
2 Ivi, p. 20.
2 Ibidem.
4 Ivi, p. 21.
5 Ibidem.
6 Non avendo nessuna funzione selettiva, il comitato di lettura di una casa editrice non è altro, secondo Bourdieu, che una «banca di capitale sociale e di capitale simbolico attraverso cui la casa editrice può esercitare il suo potere su accademie e premi letterari, su radio, televisioni e giornali» (ibidem).
7 Lettera di Masi a Fortini, 28 novembre 1960, conservata presso l’Archivio del Centro Studi Franco Fortini di Siena (d’ora in avanti AFF).
8 AFF, Lettera di Fortini a Masi, 8 dicembre 1960.
9 AFF, Lettera di Fortini a Masi, 8 gennaio 1961.
10 Testimonianza di Renato Solmi a chi scrive.
11 Vd. Intervista a Edoarda Masi, in «Criticamente», 19 giugno 2004: «In quell’occasione ho avuto un rapporto un po’ più discorsivo con Panzieri il quale mi consigliò: “Non lo dare ad altri editori perché perderebbe il suo carattere”. Oggi non è più così, ma allora Einaudi aveva una certa sua nobiltà. Le case editrici non erano tutte uguali come oggi».
12 «Avevo conosciuto Raniero Panzieri, quando ero in partenza per un anno di studio all’Università di Pechino. […] La Cina in quegli anni era lontanissima dal nostro pubblico, e parevano esploratori tre studenti italiani all’Università di Pechino – i primi dall’Europa occidentale dopo il ’49. Panzieri si mostrò entusiasta, mi invito a mandargli delle corrispondenze. (Che non ci furono: la Cina reale era troppo diversa da quella dipinta dalla superficialità giornalistica, troppo ricca e complessa e contraddittoria per essere comunicata in brevi articoli a un pubblico troppo ignaro)». Testimonianza di Edoarda Masi raccolta nel libro Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, a cura di P. Ferrero, Milano, Edizioni Punto rosso, 2005, p. 172. La Masi ha ricordato il suo soggiorno in Cina del 1957 in una lunga intervista a Radio Popolare.
13 AFF, Fortini a Masi, 22 febbraio 1961.
14 Una parte cospicua di queste carte è stata pubblicata nel volume Un giorno o l’altro, a cura di M. Marrucci e V. Tinacci, Macerata, Quodlibet, 2006. Il parere editoriale sul diario, riprodotto nel volume, non è datato.
15 Ivi, p. 282.
16 Ibidem.
17 Ivi, p. 283.
18 F. Fortini, Asia Maggiore. Viaggio nella Cina, Torino, Einaudi, 1956; poi Asia maggiore. Viaggio nella Cina e altri scritti, Roma, manifestolibri, 2007.
19 Il diario è pubblicato in R. Panzieri, L’alternativa socialista. Scritti scelti 1944-1956, a cura di S. Merli, Torino, Einaudi, 1982, pp. 165-74.
20 F. Fortini, Asia maggiore, cit., p. 177.
21 AFF, Masi a Fortini, 23 aprile 1961.
22 «La disciplina storica è, anzitutto, la disciplina del contesto; ogni fatto può acquistare significato solo entro un insieme di altri significati» (E.P. Thompson, Società patrizia cultura plebea. Otto saggi di antropologia storica sull’Inghilterra del Settecento, a cura di E. Grendi, Torino, Einaudi, 1982, p. 258).
23 E. Masi, Ritorno a Pechino, Milano, Feltrinelli, 1993. Paolo Di Stefano ha segnalato l’uscita del libro della Masi definendo la vicenda «un caso insolito dell’editoria italiana» (P. Di Stefano, Edoarda Masi: «La mia Cina rifiutata da Einaudi», in «Corriere della sera», 29 aprile 1993).
24 Ivi, p. 97.
25 «Guardavamo (guardavo) alle cose cinesi attraverso lenti deformanti» (ibidem, p. 15).
26 E. Collotti Pischel, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, Torino, Einaudi, 1958.
27 Archivio Einaudi (d’ora in avanti AE), incart. Collotti Pischel, 14 marzo 1956.
28 AE incart. Solmi, 28 maggio 1957.
29 Nota editoriale a E. Collotti Pischel, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, cit.
30 Ibidem.
31 Nella già citata lettera inviata a Ponchiroli il 28 maggio per sostenere il libro della Pischel, Solmi riferisce un parere di lettura su China auf eigenen Wegen di L.L. Matthias: pur riconoscendo che lo studio sia dotato di sistematicità e profondità analitica, Solmi constata che esso ha «il guaio di essere scritto per un pubblico borghese» muovendo la propria analisi «da un punto di vista che si pretende al di là dell’opposizione comunismo-anticomunismo» (AE, incart. Solmi, 4 maggio 1957). Nel ’62 la collana dei «Libri bianchi» ospiterà, sempre di Enrica Collotti Pischel, La rivoluzione ininterrotta, seguito nel ’65 da La Cina rivoluzionaria. Nel ’64, invece, veniva pubblicata la raccolta di documenti sulla disputa cino-sovietica Coesistenza e rivoluzione curata dalla Pischel con Paolo Calzini.