Tutt’un gruppo di contadine era immobile davanti alla Madonna Sistina. Pensavo alla vertiginosa staffetta che da Atene era corsa ad Alessandria, Roma, a Firenze, perché Raffaello potesse vedersi apparire quella ragazza volante radiante col suo figlio in braccio, severo e demonico. Ricordavo Piacenza, la chiesa dove la grande immagine era rimasta nel buio fino a che non aveva viaggiato a Dresda e ai nostri tempi gli hitleriani l’avevano celata in miniere di sale e poi Dresda era bruciata come Nagasaki. La contadina, col suo fazzoletto annodato sotto la gola grassa, la sottana ampia e gli stivali, guardava e prendeva appunti, un lapis fra i ditoni, su di un suo taccuino. A Jasnaja Poljana, sopra il divano dove Sofia aveva partorito i figli a Leone, avevo visto la testa della Sistina, in una vecchia grande foto color avana; e nei vicini scaffali della biblioteca, i libri e le riviste dell’Europa di mio padre.
Le contadine e i soldati levavano gli occhi a Raffaello, non potevo sapere che cosa vedessero o pensassero ma quel che vedevano e pensavano riguardava tutto il mondo.
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Fu tra il 1962 e il 1964, scrivendo in versi La poesia delle rose, Dalla collina, Il seme; e in prosa, Astuti come colombe, Le mani di Radek, Mandato degli scrittori e fine dell’antifascismo. Da quei versi non trascrivo nulla, per eccesso di fiducia e di sfiducia nella loro consistenza e perché, si sa, la comprensione del sé è cosa di altri.
Da quelle prose credo invece di poter copiare un passo, anche se, probabilmente, esso dice alcunché di poco distante da quel che i versi sperano di aver saputo, più che dire, essere.
«Ma basterà rammentare come si siano ricevute, all’inizio della vita e ancora ieri, le parole che ci hanno insegnato in quale direzione cercare i nostri compagni. Allora, in quello che scrivo, o che altri scriverà, ci potrà essere come la lima fine di acciaio nascosta nella pagnotta dell’ergastolano, una parte metallica. Che possa appropriarsene solo chi l’abbia chiesta e per questo meritata. Contrabbandata sotto specie in che tutti, anche i nemici, possono comunicare; ma solo a lui e a quelli come lui destinati».
