Due Momenti
Franco Fortini

Raffaello Sanzio, Madonna Sistina (foto: Staatliche Kunstsammlungen Dresden)
1955. Mosca. Era uno degli ultimi giorni di esposizione delle opere della Galleria di Dresda. I sovietici le restituivano alla Repubblica Democratica Tedesca. La folla sboccò per le sale. Vecchie coppie di coniugi che parevano discese dagli anni Venti, di una intellighenzia non ancora del tutto distrutta. Studenti con occhiali di ferro da populisti. Soldati attoniti, la berretta infilata nella spallina sinistra della giubba. Ma i più belli della folla erano quelli della strada, artigiani, operai, contadine dei mercati colcosiani, bàbuske degli ascensori e delle carrette di kvas.

Tutt’un gruppo di contadine era immobile davanti alla Madonna Sistina. Pensavo alla vertiginosa staffetta che da Atene era corsa ad Alessandria, Roma, a Firenze, perché Raffaello potesse vedersi apparire quella ragazza volante radiante col suo figlio in braccio, severo e demonico. Ricordavo Piacenza, la chiesa dove la grande immagine era rimasta nel buio fino a che non aveva viaggiato a Dresda e ai nostri tempi gli hitleriani l’avevano celata in miniere di sale e poi Dresda era bruciata come Nagasaki. La contadina, col suo fazzoletto annodato sotto la gola grassa, la sottana ampia e gli stivali, guardava e prendeva appunti, un lapis fra i ditoni, su di un suo taccuino. A Jasnaja Poljana, sopra il divano dove Sofia aveva partorito i figli a Leone, avevo visto la testa della Sistina, in una vecchia grande foto color avana; e nei vicini scaffali della biblioteca, i libri e le riviste dell’Europa di mio padre.

Le contadine e i soldati levavano gli occhi a Raffaello, non potevo sapere che cosa vedessero o pensassero ma quel che vedevano e pensavano riguardava tutto il mondo.

* * *

Fu tra il 1962 e il 1964, scrivendo in versi La poesia delle rose, Dalla collina, Il seme; e in prosa, Astuti come colombe, Le mani di Radek, Mandato degli scrittori e fine dell’antifascismo. Da quei versi non trascrivo nulla, per eccesso di fiducia e di sfiducia nella loro consistenza e perché, si sa, la comprensione del sé è cosa di altri.

Da quelle prose credo invece di poter copiare un passo, anche se, probabilmente, esso dice alcunché di poco distante da quel che i versi sperano di aver saputo, più che dire, essere.

«Ma basterà rammentare come si siano ricevute, all’inizio della vita e ancora ieri, le parole che ci hanno insegnato in quale direzione cercare i nostri compagni. Allora, in quello che scrivo, o che altri scriverà, ci potrà essere come la lima fine di acciaio nascosta nella pagnotta dell’ergastolano, una parte metallica. Che possa appropriarsene solo chi l’abbia chiesta e per questo meritata. Contrabbandata sotto specie in che tutti, anche i nemici, possono comunicare; ma solo a lui e a quelli come lui destinati».

Dettaglio_Madonna_SistinaMadonna Sistina, dettaglio

Da Paola Agosti e Giovanna Borgese, Mi pare un secolo. Ritratti e parole di centosei protagonisti del Novecento, Torino, Einaudi, 1992, p. 126.