Stefano Aloe,
Diario di paternità
Giulia Baselica

Stefano Aloe, Diario di paternità, Bergamo, Lemma Press, 2017.

Un piccolo libro – per il formato e il non elevato numero di pagine – e un libro grande, in cui una dolorosa storia individuale sa trasformarsi in un luminoso messaggio di speranza, di fiducia e di amore; infine un libro composito: nell’essenza un diario, che contiene riflessioni, ricordi, brevi cronache, narrazioni fantastiche, versi, sintetiche trattazioni letterarie e culturali.

La sofferenza per la paternità negata da una Medea dei nostri tempi diviene, a poco a poco, una riflessione attenta e lucida sulla genitorialità. Così l’autore oltrepassa i confini dell’esperienza autobiografica, precisando le ragioni di questo libro: «Questo diario è una voce d’amore paterno e filiale. Ha forti radici nel vissuto di chi lo ha scritto, ma aspira all’universale che tutti ci accomuna, perché tutti siamo figli, abbiamo o abbiamo avuto genitori, e padri o madri sono molti di noi. Trae origine da un dolore e anche da una gioia troppo grandi – l’avere un figlio, che è la gioia, e il dolore del venirne privato; a entrambi i sentimenti cerca di scampare attraverso riflessione e lirica».

Aloe non scrive contro la maternità che, precisa, è dolce e necessaria quanto la paternità: «per un figlio che si affaccia alle troppe sfumature dell’esistente sono necessari due principi non identici, due sensibilità, orizzonte e verticalità, che incrociate vadano a formare in lui una sorta di tridimensionalità etica e una percezione critica del reale». E, come il maschile e il femminile nella genitorialità, nella narrazione di Stefano Aloe razionalità ed emotività sono presenti e complementari e realizzano il loro armonioso incontro nella poesia, presenza intensa e costante in Diario di paternità: sono proprio le poesie, composte dall’autore, a raccontare con delicatezza l’intimità del legame fra padre e figlio, in tutte le sue varie declinazioni e in ogni generazione protagonista di questo libro.

Ma ben oltre i confini e i ruoli del maschile e del femminile nell’educazione famigliare la storia raccontata ci insegna a riflettere sulla genitorialità nel suo significato più ampio: sui drammi, sul dolore e i danni di cui è causa una genitorialità denegata, misconosciuta o, addirittura proibita. Sulla solitudine, l’impotenza e la sofferenza di chi è, o identitariamente sa di essere, padre o madre, e tutto ciò che desidera è semplicemente poter amare e crescere il proprio figlio, non importa se naturale o elettivo; e di chi è, o identitariamente sa di essere, figlio o figlia e tutto ciò che desidera è amare il proprio genitore, non importa se naturale o elettivo, e condividerne la quotidianità.

Testimone del dialogo silenzioso con il figlio Daniil è, spesso, la natura; un dialogo che ha inizio in «un luogo silenzioso, immerso in un’insenatura ricoperta di vegetazione, cantavano gli uccelli e un mare verde che pareva una piscina lambiva una striscia minuscola di spiaggia», dove «mi fu detto che sarei diventato padre». Dialogo che si rafforza man mano che Daniil cresce, anche se lontano. È la natura a infondere fiducia e speranza «perché i venti non sragionano / e la direzione loro, il senso, segnano / fra lo scompiglio nostro di nubi» e ad accogliere, infine, il sacrificio dell’attesa: «Là sulla montagna, io starò ad aspettare la tua risposta, vapore che si è tramutato in neve. Non è semplice a farsi questa cosa. Ma la Natura è capace di prodigi come questo. E io aspetto, allora, io sono pregno di speranza».

Presenza costante in Diario di paternità è la Russia, e non solo in quanto sconfinata prigione in cui Daniil non può incontrare il suo vero padre, ma anche come fonte meravigliosa di conoscenza, innanzi tutto, letteraria.

Stefano Aloe, noto studioso di letteratura russa, ci ricorda che «la letteratura è potente» perché ci conduce alla conoscenza di noi stessi attraverso storie simili alle nostre e il capitolo intitolato Nella biblioteca di un padre è un irresistibile invito a leggere i romanzi Padri e figli di Ivan Turgenev, Il dono di Vladimir Nabokov, Una serata da Claire di Gajto Gazdanov.

Ma la letteratura russa diventa qui, anche, motivo di gioiosa ispirazione, che dà luogo a un autentico divertissement di tono postmoderno, intitolato La bici di Saša Puškin, nel quale il grande poeta dell’Ottocento Aleksandr Puškin è trasferito nell’epoca attuale insieme ai suoi contemporanei: questo nostro Puškin degli anni Duemila ha una bicicletta di fabbricazione cinese, regalo della vecchia balia Rodionovna, e registra i suoi versi su un iPhone.

Se La bici di Saša Puškin è dedicato ai ragazzini di Mosca, Il Leopane è un’invenzione per (e anche di) Daniil: è un «grosso felino, ma di indole notevolmente mansueta», ha grosse zampe, ma non per aggredire, bensì per abbracciare «il primo che gli capita a tiro». E come il Leopane, Diario di paternità, che al di là della vicenda autobiografica sa offrirsi come patrimonio universale e condiviso, accoglie in un grande abbraccio ogni lettore che gli capita a tiro.