Brodskij legge Miłosz:
Figlio d’Europa (1946)
Quattro versioni a confronto
Sara Martinelli, Magdalena Rasmus

Far rivivere in un’altra lingua un testo letterario è, per dirla con le parole di Antonio Prete, non solo un’opera di alchimia, questo «poter dire l’altro in modo che il mio accento non lo deformi, o mascheri, o controlli»,1 ma anche una prova di audacia. Ed è appunto la prova che affrontano il poeta-traduttore Josif Brodskij e il traduttore Pietro Marchesani con loro rispettive versioni della poesia di Czesław Miłosz – presentate in questo articolo insieme a una loro analisi – dimostrando quanto l’“impossibile” compito del traduttore sia «saper stare tra le lingue».2

Nell’anno 2011 ricorre il centenario della nascita di Miłosz, Premio Nobel per la Letteratura 1980. Nato in Lituania, costretto a lasciare la sua terra d’origine a causa degli eventi tragici del XX secolo, Miłosz ha vissuto a Varsavia, Cracovia, Parigi e negli Stati Uniti, per tornare poi definitivamente in Polonia, a Cracovia. È stato non solo un grande poeta, saggista, traduttore ma anche un testimone e osservatore acuto della sua epoca, letto quasi in tutto il mondo.

Miłosz debutta nel 1933 con Poemat o czasie zastygłym (Poema del tempo congelato), segnato da preveggenze apocalittiche; seguono poi, nel 1936, Trzy zimy (Tre inverni), in cui il poeta si richiama a una simbologia religiosa che conferisce ai versi un particolare pathos, e, nel 1945, la prima raccolta di liriche, Ocalenie (Salvezza), che ha ancora radici nella corrente catastrofista della letteratura fra le due guerre. Fa parte di questa silloge il ciclo Głosy biednych ludzi (Voci della povera gente), che, radicato nell’incubo dell’occupazione fascista, svela la crisi dei valori della cultura europea annichilita dalla guerra. Di fronte al crollo dei principi morali e al compimento della catastrofe portata dal fascismo Miłosz reagisce con la poesia: guidato da un atteggiamento antiromantico, il poeta polacco tende a oggettivare le emozioni, aprendo la lirica a un’amara riflessione storico-filosofica e a un’enunciazione polifonica capace di mostrare la realtà da un punto di vista molteplice. Questa strategia diventa nel dopoguerra la cifra dello stile di questo grande rappresentante della poesia mondiale.

Il Catastrofismo è la corrente letteraria che in Polonia, già a partire dagli anni Venti, attraversa poetiche e stili diversi, dall’umorismo grottesco e nichilista al pathos visionario. Si tratta dell’espressione letteraria dei presentimenti apocalittici che segnavano l’epoca fra le due guerre ed erano il frutto delle continue crisi socio-politiche e della grande crisi economica di quel tempo. Le tendenze apocalittiche si diffondono prima nella prosa degli anni Venti (di cui uno dei massimi esponenti è Stanisław Ignacy Witkiewicz, scrittore di anti-utopie, il quale nelle sue prose dà espressione alla vacuità delle certezze occidentali), e successivamente nella poesia degli anni Trenta, in cui – a eccezione delle visioni grottesche e deformate di Julian Tuwim, l’autore di Bal w operze (Il ballo nell’opera, 1936), il capolavoro del catastrofismo grottesco, e di Konstanty Ildefons Gałczyński, le cui poesie svelano un atteggiamento carnevalesco nei confronti della realtà – prevalgono le tonalità catastrofico-patetiche dei poeti visionari, come in Józef Czechowicz o nei membri del gruppo Żagary. La stessa corrente catastrofista, che nel periodo fra le due guerre parte dal presupposto della caducità del patrimonio della civiltà umana e dalla convinzione dell’impossibile continuità della storia, trova nel periodo dell’occupazione nuove fonti di ispirazione: la Seconda guerra mondiale, con gli orrori dei campi di concentramento, diventa la conferma dei presentimenti apocalittici, della visione escatologica del mondo, e porta inevitabilmente alla necessità di fare i conti con la crudele realtà della storia. Di fronte a questa situazione Miłosz propone di intendere la poesia come una forma d’arte dotata di una propria autonomia, che continua ad avere una responsabilità etica anche in un momento in cui l’etica sembra completamente scissa dall’estetica. Brodskij, poeta russo naturalizzato statunitense, insignito del premio Nobel per la Letteratura 1987, scopre e traduce Miłosz in russo assimilandolo profondamente nella sua poetica.3

Nel panorama culturale dell’Unione Sovietica, in particolare a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, la traduzione ha svolto una funzione fondamentale per i poeti che, non potendo nutrire la speranza di veder pubblicati i propri versi, si sono rifugiati nella parola “altrui”, tanto da dar vita al fenomeno del cosiddetto uchod v perevody, ovvero la fuga nelle traduzioni, l’unica attività che permetteva di guadagnarsi da vivere col lavoro di penna, anche se di secondo grado. Ciò ha creato una brillante pleiade di poeti-traduttori impegnati a volgere nel proprio contesto culturale gli autori più diversi e dalle più svariate lingue, conosciute o meno dallo stesso traduttore – in molti casi, infatti, si trattava di podstročnye perevody, traduzioni interlineari, ovvero non condotte direttamente sull’originale, bensì sulla versione letterale compiuta da un conoscitore della lingua su cui poi il poeta creava una variante autonoma.

I poeti russi trovano quindi nella traduzione il veicolo privilegiato per conoscere – e conoscere a fondo, effetto imprescindibile di ogni lavoro di traduzione – le letterature europee: su tutte quella polacca, attraverso la quale filtravano poi autori di altre nazionalità. Esemplare è il caso di Brodskij che traccia questo percorso testimoniando il suo avvicinamento prima ai poeti polacchi, poi ai cechi, agli ungheresi e agli jugoslavi, per giungere infine ai francesi e agli inglesi, che lasceranno l’impronta più duratura sui suoi versi. È noto d’altronde come per Brodskij la traduzione non costituisse solo una “fuga”, ma un modo per conoscere coloro che ci hanno preceduto e dai quali abbiamo ereditato la lingua, non quella materna, nazionale, ma la lingua intesa come poesia. Le traduzioni brodskiane sono compiute dlja duši, per l’anima più che per il guadagno, e sono da intendersi come parte di quel patrimonio culturale ed esistenziale che ne ha forgiato l’identità, se è vero che «l’uomo è ciò che legge, e tanto più un poeta».4

La poesia in lingua polacca è – nell’opinione di Brodskij – la migliore del XX secolo,5 e un legame particolare unisce il poeta russo a Miłosz; la traduzione delle sue poesie sembra nascere infatti da un’affinità di sentire, da un comune modo di interpretare il mondo e la storia in un secolo “tragico” come quello appena trascorso. Brodskij definisce Miłosz appunto syn veka, ovvero figlio del secolo, un poeta che ha avuto il merito di presentire con un decennio di anticipo l’orrore che si sarebbe compiuto di lì a poco e che avrebbe travolto, in primo luogo, proprio il suo Paese: «La terra desolata che egli descrive nelle sue poesie del tempo della guerra (e in alcune del dopoguerra)» – scrive Brodskij – «corrisponde letteralmente alla realtà: non è Adone, questa volta non risorto, che vi manca, ma milioni di suoi compatrioti».6 La grandezza poetica di Miłosz risiede dunque nell’aver compreso «la necessità di un’intonazione tragica, la tragedia del nostro secolo consiste nell’aver dotato il poeta dell’esperienza necessaria per esprimerla».7

Questa visione del mondo “dopo la Storia”, dopo la fine di tutto,8 che nelle lettere polacche ha portato al delinearsi di una corrente letteraria ben definita, è in realtà tipica di tutta la letteratura est-europea del dopoguerra, per la quale il critico Viktor Kullé parla di «visione post-escatologica».9 Quando Brodskij osserva che il nucleo centrale della poesia di Miłosz è «l’insopportabile percezione dell’impossibilità dell’essere umano di capire la propria esperienza», e che «quanto più il tempo lo separa da essa, tanto minori diventano le possibilità di comprenderla»,10 si riferisce anche a sé stesso e alla sua convinzione che la Storia non abbia nulla da insegnare all’uomo, giacché nel tempo niente accade due volte. In questa visione della storia – osserva Kullé – risiede anche la distinzione tra la visione del mondo post-escatologico di Brodskij e di Miłosz rispetto a quella dell’anti-utopia classica: la loro è estremamente “individuale”. In opposizione al collettivismo proprio del regime comunista entrambi i poeti sostengono l’idea che l’identità dell’uomo non si lasci plasmare dalle ideologie ma mantenga la propria libertà interiore, e «se l’arte insegna qualcosa […] è proprio la dimensione privata della condizione umana».11

Per comprendere meglio la posizione dei due poeti si deve pensare alla generazione cui appartengono (nonostante tra i due vi sia uno scarto di trent’anni: Brodskij nasce nel 1940), quella che ha risposto alla domanda di Adorno «Come si può fare poesia dopo Auschwitz?» in modo affermativo. Ancora illuminanti sono le parole di Brodskij pronunciate in occasione del conferimento del Premio Nobel:

Questa generazione – la generazione nata proprio nel momento in cui i forni crematori di Auschwitz lavoravano a pieno regime, in cui Stalin era allo zenit del suo potere divino, così assoluto da sembrare avallato da Madre Natura in persona –, questa generazione è venuta al mondo, si direbbe, per continuare quello che, in teoria, doveva interrompersi in quei forni crematori e nelle anonime fosse comuni dell’arcipelago staliniano. Il fatto che non tutto si sia interrotto – almeno in Russia – è un merito che va attribuito in misura non trascurabile alla mia generazione; e io sono fiero di appartenerle, così come sono fiero di essere qui oggi. E il fatto che io sono qui oggi è un riconoscimento dei servigi che questa generazione ha reso alla cultura; anzi – vorrei aggiungere ricordando una frase di Mandel’štam – alla cultura mondiale.12

I versi di Miłosz, nati dalle ceneri disperse di una civiltà, non cantano tanto l’offesa e il dolore, ma ci sussurrano «il senso di colpa di coloro che sono rimasti tra i vivi», e in virtù della loro poesia, ci insegnano «a porci in relazione con questa colpa».13 Una colpa avvertita, pare, da Brodskij stesso, e che si rivela ancora nelle parole pronunciate nell’atto di ricevere il Nobel, quando il poeta ricorda tutti coloro ai quali quell’onore non è spettato, con riferimento ai nomi della letteratura russa (Mandel’štam, Pasternak, Cvetaeva, Achmatova) falcidiati – fisicamente o artisticamente – in un secolo “carnivoro” come è stato il XX. Lo stato d’animo del sopravvissuto traspare costantemente anche dai suoi versi, per esempio nella lunga ninnananna al figlio rimasto in patria, Kolybel’naja Treskogo Mysa (Ninnananna di Cape Cod), dove leggiamo: «cтранно думать, что выжил, но это случилось» (È strano pensare che sono sopravvissuto. Ma questo è accaduto).14 Ma l’ingiustizia e l’orrore subìti non indulgono mai a un facile compianto né ad alcun tipo di autocommiserazione, secondo quella lezione impartita dall’arte che Brodskij e Miłosz apprendono dai loro predecessori classici, così

[…] ciò che il poeta enuncia è una versione spaventosamente asciutta dello stoicismo, che non ignora la realtà, per quanto assurda e orribile possa essere, ma la accetta come una nuova regola che la persona deve assumere senza rinunciare ad alcuno dei suoi valori, già ampiamente compromessi.15

Nella raccolta delle opere di Brodskij (Sočinenija Iosifa Brodskogo), oltre al Figlio d’Europa sono state pubblicate altre cinque poesie di Miłosz tradotte in russo. Si tratta di composizioni che attraversano la produzione del poeta polacco sin dalla prima, risalente al 1944, Lamento delle dame del tempo che fu (in russo Stenan’ja dam minuvšich dnej), cui seguono Prefazione (Posvjašenie k sborniku “Spasenie”, 1945), Elegia per N. N. (Èlegija N. N., 1962), Dall’altra parte (Po ty storonu, 1962) e Una vita riuscita (Sčastlivec, 1975). In lingua italiana è apparsa invece una raccolta di liriche di Miłosz dal titolo Poesie, a cura di Pietro Marchesani, pubblicata da Adelphi nel 1983.

La poesia di Miłosz scelta come oggetto di analisi in questa sede viene presentata in lingua originale (Dziecię Europy), con accanto la traduzione italiana di Marchesani (Fanciullo d’Europa), e nella versione russa (Дитя Европы) composta da Brodskij, affiancata, a sua volta, da una variante il più possibile letterale in italiano (Figlio d’Europa), e seguita da un’analisi condotta stanza per stanza. Si tratta di una lirica risalente al 1946 che è sembrata particolarmente significativa sia all’interno della produzione poetica di Miłosz – è infatti la prima delle liriche di riflessione storico-filosofica che cerca di fare i conti con il mondo post-escatologico e racchiude un vasto spettro di temi della sua poetica che si preciseranno più tardi –, sia in relazione al suo traduttore Brodskij, il quale, a sua volta, non solo traduce, ma reinterpreta e reinventa. La straordinaria forza già insita nei versi polacchi acquista così nuovo vigore nella versione russa, che rende la tragedia ebraica il segno di un’epoca piuttosto che un suo momento eccezionale. Se la versione di Marchesani offre una resa puntuale della composizione, Brodskij infonde alla poesia una spiccata impronta personale, un atteggiamento caratteristico della sua attività di traduttore, che qui assume tuttavia un valore aggiunto, dato dalla comunione di esperienze e dal diretto coinvolgimento nella tragedia immortalata da Miłosz. Certo, la lingua stessa favorisce una tale immedesimazione; la lingua russa, infatti, può rievocare nelle sue parole gli echi della realtà polacca – e più in generale dell’Europa orientale – con una potenza semantica e lessicale immediata. Дитя Европы è traduzione poetica perché non allenta mai la propria consapevolezza di situarsi dopo l’originale polacco, perché sa “fare di questo dopo la culla dove il primo testo è scosso dal vento di una rinascita”;16 perché sa rispondere alle parzialità della lingua originale con la ricchezza della propria; e infine perché dialoga incessantemente, appassionatamente, amorosamente con il testo di partenza. L’affinità profonda che lega Miłosz e Brodskij sta, senza dubbio, nella comune visione della storia e nel valore attribuito da entrambi alla poesia come all’unica forma d’arte in grado di dare voce nuova al mondo; ma ciò che la rafforza ulteriormente è il carattere delle versioni brodskiane di Miłosz: non “traduzioni di servizio”, ma varianti al servizio del presente.

Testi

Dziecię Europy

1.
My, którym słodycz dnia przenika do płuc
I widzimy gałęzie rozkwitające w maju
Jesteśmy lepsi od tych co zginęli.

My, którzy smakujemy długo żując jadło
I oceniamo w pełni igraszki miłości
Jesteśmy lepsi od nich, pogrzebanych.

Z pieców ognistych, zza drutów w których świszcze
[wiatr nieskończonych jesieni,
Z bitw kiedy w spazmie ryczy zranione powietrze
Uratowaliśmy się przebiegłością i wiedzą.

Wysyłając innych na miejsca bardziej zagrożone,
Podniecając ich krzykami do boju,
Wycofując się w przewidywaniu straconej sprawy

Do wyboru mając śmierć własną i śmierć przyjaciela
Wybieraliśmy jego śmierć, myśląc zimno:
[byle się spełniło.

Uszczelnialiśmy drzwi gazowych komór, kradliśmy chleb
Wiedząc że dzień następny cięższy będzie od poprzedniego

Jak należy się ludziom poznaliśmy dobro
[i zło.
Nasza złośliwa mądrość nie ma sobie równej na ziemi.

Należy uznć za dowiedzione, że jesteśmy lepsi od tamtych,
Łatwowiernych, zapalnych a słabych, mało sobie ceniących
[życie.

2.
Szanuj nabyte umiejętności, o dziecię Europy.
Dziedzicu gotyckich katedr, barokowych kościołów
I synagog w których rozbrzmiewał płacz
[krzywdzonego ludu,
Dziedzicu Kartezjusza i Spinozy, spadkobierco
[słowa „honor”,
Pogrobowcze Leonidasów,
Szanuj umiejętności nabyte w godzinie grozy.

Umysł masz wyćwiczony, umiejący rozpoznać natychmiast
Złe i dobre strony każdej rzeczy.
Umysł masz sceptyczny a wytworny, dający uciechy
O jakich nic nie wiedzą prymitywne ludy.

Tym umysłem wiedziony, rozpoznasz natychmiast
Słuszność rad których udzielamy.
Niech dnia słodycz przenika do płuc
Po to mądre a ścisłe przepisy.

3.
Nie może być mowy o triumfie siły
Bowiem jest to epoka gdy zwycięża sprawiedliwość.

Nie wspominaj o sile, by cię nie posądzano
Że w ukryciu uznajesz doktryny upadłe.

Kto ma władzę, zawdzięcz ją logice dziejów.
Oddaj logice dziejòw cześć jej należną.

Niech nie wiedzą usta wypowiadające hipotezę
O rękach ktòre właśnie fałszują eksperyment.

Niech nie wiedzą twoje ręce fałszujące eksperyment
O ustach, ktòre właśnie wypowiadają hipotezę.

Umiej przewidzieć pożar z dokładnością nieomylną.
Po czym podpalisz dom i spełni się co być miało.

4.
Z małego nasienia prawdy wyprowadzaj roślinę kłamstwa,
Nie naśladuj tych co kłamią, lekceważącrzeczywistość.

Niech kłamstwo logiczniejsze będzie od wydarzeń,
Aby znużeni wędrówką znaleźli w nim ukojenie.

Po dniu kłamstwa gromadźmy się
[w dobranym kole
Bijąc się w uda ze śmiechu, gdy wspomni kto nasze czyny.

Rozdając pochwały pod nazwą bystrości rozumowania
Albo pochwały pod nazwą wielkości talentu.

My ostatni, którzy z cynizmu umiemy czerpać wesele.
Ostatni których przebiegłość niedaleka jest od rozpaczy.

Już rodzi się pokolenie śmiertelnie poważne
Biorące dosłownie co myśmy przyjmowali śmiechem.

5.
Niech słowa twoje znaczą nie przez to co znaczą
Ale przez to wbrew komu zostały użyte.

Ze słów dwuznacznych uczyń swoją broń,
Słowa jasne pogrążaj w ciemność encyklopedii.

Żadnych słów nie osądzaj, zanim urzędnicy
Nie sprawdzą w kartotece kto mówi te słowa.

Głos namiętności lepszy jest niż głos rozumu,
Gdyż beznamiętni zmieniać nie potrafią dziejów.

6.
Nie kochaj żadnego kraju: kraje łatwo giną.
Nie kochaj żadnego miasta: łatwo rozpada się w gruz.

Nie przechowuj pamiątek, bo z twojej szuflady
Wzbije się dym trujący dla twgo oddechu.

Nie miej czułości dla ludzi, ludzie łatwo giną
Albo są pokrzywdzeni i wzywają twojej pomocy.

Nie patrz w jeziora przeszłości: tafla ich
[rdzą powleczona
Inną ukaże twarz niż się spodziewałeś.

7.
Kto mówi o historii jest zawsze bezpieczny,
Przeciwko niemu świadczyć nie wstaną umarli.

Jakie zapragniesz możesz przypisać im czyny,
Ich odpowiedzią zawsze będzie milczenie.

Z głębi nocy wynurza się ich pusta twarz.
Nadasz jej takie rysy jakich ci potrzeba.

Dumny z władzy nad ludźmi dawno minionymi
Zmieniaj przeszłość na własne, lepsze podobieństwo.

8.
Śmiech powstający z szacunku dla prawdy
Jest śmiechem którym śmieją się wrogowie ludu.

Wiek satyry skończony. Odtąd nie będziemy
Podstępną mową szydzić z nieudolnych monarchów.

Surowi jak przystało budowniczym sprawy
Pozwolimy sobie jedynie na pochlebczą żartobliwość.

Z ustami zaciśniętymi, posłuszni rozumowaniu
Wkraczajmy ostrożnie w erę wyzwolonego ognia.

Fanciullo d’Europa

1.
Noi, che aspiriamo la dolcezza del giorno
E vediamo a maggio i rami in fiore
Siamo migliori di quelli che sono morti

Noi, che assaporiamo piatti esotici
E sappiamo apprezzare i trastulli d’amore
Siamo migliori di loro, sepolti.

Dai forni ardenti, da dietro i fili su cui fischiava
[il vento di interminabili autunni,
Dalle battaglie nel mugghiare spasmodico dell’aria ferita
Ci siamo salvati con l’astuzia e il sapere.

Inviando gli altri nei luoghi più esposti,
Incitandoli con grida alla lotta.
Ritirandoci in previsione dello scacco.

Dovendo scegliere fra la morte propria e quella dell’amico
Sceglievamo la sua, pensando freddamente:
[purché si compia.

Sigillavamo le porte delle camere a gas, rubavamo il pane,
Sapendo che l’indomani sarebbe stato peggiore della vigilia.

Come si conviene ad uomini, abbiamo conosciuto il bene
[e il male.
La nostra saggezza malvagia non ha eguali sulla terra.

È da ritenersi provato che siamo migliori di quelli,
Creduli, impetuosi, ma poco curanti
[della vita.

2.
Tieni da conto i talenti acquisti, fanciullo d’Europa.
Erede delle cattedrali gotiche, delle chiese barocche
E delle sinagoghe dove risuonava il pianto
[d’un popolo oltraggiato,
Discendente di Cartesio e Spinoza, erede
[della parola «onore»,
Figlio postumo di Leonida,
Rispetta i talenti acquisiti nell’ora dell’orrore.

Hai una mente allenata, immediata nel distinguere
I lati buoni e cattivi di ogni cosa.
Hai una mente scettica ed elegante, fonte di piaceri
Quali neppure immaginano i popoli primitivi.

Guidato da questa mente, riconoscerai all’istante
La fondatezza dei consigli da noi impartiti.
Che la dolcezza del giorno ti gonfi i polmoni.
A ciò servono le nostre istruzioni sagge e precise.

3.
Non è pensabile che la forza trionfi
Perché questa è l’epoca del trionfo della giustizia.

Non menzionare la forza, per non essere sospettato
di professare in segreto dottrine fallite.

Chi detiene il potere ne è debitore alla logica della storia.
Rendi alla logica della storia l’omaggio che le compete.

Le labbra enuncianti l’ipotesi non sappiano
Delle mani che stanno falsando l’esperimento.

Le tue mani falsanti l’esperimento non sappiano
Delle labbra che stanno enunciando l’ipotesi.

Impara a prevedere l’incendio con precisione infallibile.
Poi incendia la casa e si compia ciò che doveva compiersi.

4.
Da un piccolo seme fa’ crescere una pianta di menzogna.
Non imitare quelli che mentono sprezzanti della realtà.

Che la menzogna sia più logica dei fatti,
Perché chi è stanco di peregrinare vi trovi conforto.

Dopo il giorno della menzogna raccogliamoci
[in circolo scelto
E ridiamo smodati se qualcuno ricorderà i nostri atti.

Dispensando lodi sotto il nome di acutezza di raziocinio
Oppure lodi sotto il nome di grandezza di talento.

Noi, gli ultimi capaci di attingere gioia dal cinismo.
Gli ultimi la cui astuzia è prossima alla disperazione.

Sta già nascendo una generazione mortalmente seria
Che prende alla lettera ciò di cui noi ridevamo.

5.
Le tue parole significhino non per ciò che significano
Ma in rapporto alla persona contro cui sono usate.

Delle parole ambigue fa’ la tua arma,
Le parole chiare sprofondale nel buio delle enciclopedie.

Non giudicare nessuna parola prima che i funzionari
Controllino nello schedario da chi sono state dette.

La voce della passione è migliore di quella della ragione,
Poiché gli impassibili non sanno cambiare la storia.

6.
Non amare nessun paese: i paesi periscono con facilità.
Non amare nessuna città: con facilità vanno in rovina.

Non conservare ricordi, perché dal tuo cassetto
Si leverà un fumo che ti avvelenerà il respiro.

Non provare tenerezza per gli uomini: periscono facilmente
Oppure ricevono torti e invocano invano il tuo aiuto.

Non guardare i laghi del passato: la loro superficie
[incrostata di ruggine
Ti mostrerà un volto diverso da come te lo aspettavi.

7.
Chi parla della storia è sempre al sicuro,
I morti non si leveranno a testimoniargli contro.

Puoi attribuirgli le azioni che vorrai,
La loro risposta sarà sempre il silenzio.

Dal profondo della notte emerge la loro faccia vuota.
Le darai i tratti che ti servono.

Fiero del potere su gente da tempo trascorsa,
Modifica il passato, abbellendolo, a tua somiglianza.

8.
Il riso che scaturisce dal rispetto per la verità
È il riso di cui ridono i nemici del popolo.

Il tempo della satira è finito. Non dovremo più
Deridere con subdolo dire gli inetti monarchi.

Severi come si addice agli edificatori della causa
Ci permetteremo solo una adulatoria lepidezza.

Con le labbra serrate, ossequienti ai raziocinio,
Entriamo circospetti nell’era del fuoco liberato.

Дитя Европы

1.
Мы, чьи легкие впитывают свежесть утра,
чьи глаза восхищаются зеленью ветки в мае,
— мы лучше тех, которые (вздох) погибли.

Мы, кто смакует успехи восточной кухни,
кто оценить способен нюансы ласки,
— мы лучше тех, кто лежит в могилах.

От пещи огненной, от колючки,
за которой пулями вечьная осень свищет,
нас спасла наша хитрость и знанье жизни.

Другим достались простреливаемые участки
и наши призывы не уступать ни пяди.
Нам же выпали мысли про обреченность дела.

Выбирая меж собственной смертью и смертью друга,
мы склонялись к последней, думая:
[только быстро.

Мы запирали двери газовых камер,
[крали
хлеб, понимая, что завтра — кошмарнее, чем сегодня.

Как положено людям, мы познали добро
[и зло.
Наша подлая мудрость себе не имеет равных.

Признаем доказанным, что мы лучше
пылких, слабых, наивных,
[— не оценивших жизни.

2.
Цени прискорбное знанье, дитя Европы,
получившее по завещанью готические соборы,
церкви в стиле барокко, синагоги с картавым
клекотом горя, труды Декарта,
Спинозу и громкое слово “честь”.
Цени этот опыт, добытый в пору страха.

Твой практический разум схватывает на лету
недостатки и выгоду всякой вещи.
Утонченность и скепсис гарантируют аслажденья,
невнятные примитивным душам.

Обладая писанным выше складом
ума, оцени глубину нижеследующего совета:
вбирай свежесть утра всей глубиною легких.

Прилагаем ряд жестких, но мудрых правил.

3.
Никаких разговоров о триумфе силы.
В наши дни торжествует, усвой это, справедливость.

Не вспоминай о силе, чтоб не обвинили
в тайной приверженности к ошибочному ученью.

Обладающий властью обладает ей в силу
исторической логики. Воздай же должное оной.
Да не знают уста, излагающие ученье,
о руке, что подделывает результаты эксперимента.

Да не знает рука, подделывающая результаты,
ничего про уста, излагающие ученье.

Умей предсказать пожар с точностью до минуты.
Затем подожги свой дом, оправдывая предсказанье.

4.
Выращивай древо лжи, но – из семени правды.
Не уважай лжеца, презирающего реальность.

Ложь должна быть логичней действительности.
Усталый путник да отдохнет в ее разветвленной сени.

День посвятивши лжи, можешь вечером
[в узком
кругу хохотать, припомнив, как было на самом деле.

Мы – последние, чья изворотливость схожа
с отчаянием, чей цинизм еще источник смеха.

Уже подросло серьезное поколенье,
способное воспринять наши речи буквально.

5.
Пусть слово твое значит не то, что значит,
но меру испорченной крови посредством слова.

Двусмысленность да пребудет твоим доспехом.
Сошли простые слова в недра
[энциклопедий.

Не оценивай слов, покуда из картотеки
не поступит сообщенья, кто их употребляет.

Жертвуй голосом разума ради голоса страсти.
Ибо первый на ход истории не влияет.

6.
Не влюбляйся в страну: способна исчезнуть с карты.
Ни тем более в город: склонен лежать в руинах.

Не храни сувениров. Из твоего комода
может подняться дым, в котором ты задохнешься.

Не связывайся с людьми: они легко погибают.
Или, попав в беду, призывают на помощь.

Также вредно смотреть в озера детства:
подернуты ржавой ряской, они исказят твой облик.

7.
Того, кто взывает к истории, редко перебивают.
Мертвецы не воскреснут, чтоб выдвинуть возраженья

Можешь валить на них все, что тебе угодно.
Их реакцией будет всегда молчанье.

Из ночной глубины плывут их пустые лица…
Можешь придать им черты, которые пожелаешь.

Гордый властью над теми, кого не стало,
усовершенствуй и прошлое. По собственному подобью.

8.
Смех, бывший некогда эхом правды,
нынче оружье врагов народа.

Объявляем оконченным век сатиры.
Хватит учтивых насмешек над пожилым тираном.

Суровые, как подобает борцам за правое дело,
позволим себе отныне только служебный юмор.

С сомкнутыми устами, решительно, но осторожно
вступим в эпоху пляшущего огня.

Figlio d’Europa

1.
Noi, che assorbiamo coi polmoni la rugiada del mattino
e cogli occhi ammiriamo i rami di maggio in fiore,
– noi siamo migliori di quelli (sospiro) che sono morti.

Noi, che gustiamo i frutti della cucina orientale,
che sappiamo apprezzare le sfumature d’una carezza,
– noi siamo migliori di quelli che giacciono nelle tombe.

Dai forni ardenti, dal filo spinato,
dietro cui crepita un eterno autunno,
ci hanno salvato l’astuzia e la conoscenza della vita.

Agli altri, toccavano le zone esposte al fuoco
e i nostri appelli a non cedere d’una spanna.
A noi, spettavano le previsioni della sconfitta.

Nella scelta tra la propria morte e la morte dell’amico,
noi abbiamo inclinato per quest’ultima, con un pensiero:
[che sia veloce.

Noi abbiamo sprangato le porte delle camere a gas,
[abbiamo rubato
il pane, consapevoli che il domani sarà peggiore di oggi.

Come si conviene agli uomini abbiamo conosciuto il bene
[e il male.
La nostra vile saggezza non ha eguali.

È dimostrato che noi siamo migliori
dei passionali, dei deboli, degli ingenui:
[che non apprezzano la vita.

2.
Valuta la penosa conoscenza, figlio d’Europa,
che hai ricevuto in eredità cattedrali gotiche,
chiese barocche, sinagoghe con le loro uvulari
strida di dolore, le opere di Cartesio,
Spinoza e la roboante parola “onore”.
Valuta questa esperienza, raggiunta nell’ora del terrore.

Il tuo senso pratico afferra al volo
i vantaggi e gli svantaggi d’ogni cosa.
Raffinatezza e scetticismo assicurano i piaceri,
incomprensibili alle anime primitive.

Possedendo una mente di tal fatta
giudica la profondità del consiglio che segue:
assorbi la rugiada del mattino a pieni polmoni.

Offriamo una serie di regole severe, ma sagge.

3.
Evita i discorsi sul trionfo della forza.
Ai nostri giorni, tieni a mente, trionfa la giustizia.

Non rammentare la forza, che non ti accusino
di un segreto attaccamento alla dottrina sbagliata.

Chi detiene il potere lo possiede in base
alla logica della storia. Rendile il dovuto.
Non sappiano le labbra che espongono l’ipotesi
della mano che falsifica i risultati dell’esperimento.

Non sappia la mano che falsifica l’esperimento
cosa alcuna delle labbra che espongono l’ipotesi.

Impara a prevedere l’incendio al minuto secondo.
Poi incendia la tua casa, inverando la previsione.

4.
Coltiva l’albero della menzogna, ma da semenza di verità.
Non rispettare il mentitore sprezzante della realtà.

La menzogna deve essere più logica della realtà.
Il Viaggiatore stanco si riposi al suo ampio riparo.

Dopo il giorno consacrato alla menzogna, a sera, puoi
[ridertela
della grossa fra i tuoi per ciò che è stato.

Noi siamo gli ultimi la cui destrezza è affine
alla disperazione e il cinismo è ancora fonte di riso.

Già è cresciuta una generazione seria,
che prende alla lettera le nostre parole.

5.
La tua parola non ha importanza per il suo significato
ma secondo la misura del sangue guastato dalla parola.

L’ambiguità sia la tua armatura.
Sprofondino nelle viscere delle enciclopedie
[le parole semplici.

Non giudicare le parole, finché dallo schedario
giunga il rapporto su chi le adopra.

Sacrifica la voce della ragione a quella della passione.
Giacché la prima non influenza il corso della storia.

6.
Non amare il paese: può scomparire dalla mappa.
E tanto meno, una città: può cadere in rovina.

Non conservare souvenir. Dal tuo comodino
può levarsi un fumo tale da soffocarti.

Non legarti agli uomini: periscono facilmente.
O, se cadono in disgrazia, ti chiamano aiuto.

Altrettanto dannoso è fissare i laghi dell’infanzia:
ricoperti da lemna rugginosa, deformano la tua immagine.

7.
Chi invoca la storia raramente viene ucciso.
I morti non resusciteranno ad avanzare obiezioni.

Su questi puoi riversare tutto quello che desideri.
La reazione sarà sempre il silenzio.

Affiorano i volti vacui dalla profondità della notte.
Puoi dare loro i lineamenti che vuoi.

Fiero del potere su quelli che non sono più
perfeziona anche il passato. A tua immagine e somiglianza.

8.
Il riso, che già un tempo era l’eco della verità,
è oggi l’arma dei nemici del popolo.

Dichiariamo che l’età della satira è finita.
Basta con le cortesi beffe all’attempato tiranno.

Severi, come si addice ai difensori d’una giusta causa,
d’ora in avanti ci permetteremo solo uno humor servile.

Con le labbra sigillate, risoluti ma accorti,
entriamo nell’epoca del fuoco danzante.

Commento

Il titolo

Dziecię Europy è stato tradotto da Marchesani Fanciullo d’Europa. La parola «fanciullo» – che nel lettore italiano richiama il fanciullino pascoliano – non restituisce affatto il concetto di filiazione implicito nel termine polacco e così pregnante per la comprensione della lirica stessa. La scelta adottata da Brodskij, invece, risulta perfettamente equivalente all’originale: infatti il termine russo Дитя riesce a conservare sia la componente di filiazione sia il carattere arcaico della parola. Per questo motivo la scelta più appropriata ci è parsa: Figlio d’Europa.

I stanza

Al v. 4 Marchesani rende jadło con piatti esotici, raffinando la ruvidezza del termine originale che letteralmente significa “cibo”, “alimento”, “vivanda”. Inoltre, smakujemy długo żując, che alla lettera vuol dire “assaporiamo a lungo masticando”, viene ridotto a un semplice assaporiamo. In questo modo cambia completamente l’immagine dell’io lirico, uno di noi, cioè uno dei superstiti dell’orrore dei campi di concentramento, i quali, vista l’asperità presente nella descrizione di questa attività fisiologica, erano tutt’altro che migliori di loro, sepolti. Si perde così l’effetto ironico prodotto dal registro antifrastico con cui Miłosz sottolinea già nel v. 9 che i migliori si sono salvati in modo per niente nobile, e cioè con l’astuzia e il sapere.

Sin dalla prima terzina, Brodskij firma la traduzione con la propria impronta personale, inserendo tra parentesi un’indicazione di carattere teatrale: vzdoch, cioè “sospiro”. Questa intrusione anticipa il tono ironico presente nei versi successivi di Miłosz. In più, Brodskij ricorre all’uso del trattino a sottolineare il carattere perentorio della sentenza finale di ciascuna delle prime due terzine. Nel v. 4, alla stregua di Marchesani, il poeta russo attenua la cruda immagine del cibo introducendo uspechi vostočnoj kuchni (frutti della cucina orientale) e non rende pienamente la puntualità dell’espressione polacca ridimensionandola al semplice verbo russo smakovat’ (assaporare, gustare).

Il tratto peculiare dell’intonazione di questa lirica è il carattere mimetico della lingua assunto appositamente da Miłosz: la lingua non è obiettivo in sé stessa, ma serve per descrivere il mondo, la sua spietata crudeltà, per cui il poeta polacco ricorre alle ripetizioni evitando di proposito l’ellissi. Brodskij comprende profondamente questa esigenza e la restituisce in modo fedele nella sua versione, come nel v. 13 con la ripetizione del sostantivo smert’ (morte). Il procedimento di Marchesani è volto, invece, ad alleggerire l’andamento grave del testo, e si rivela nell’eludere le reiterazioni dell’originale, ad esempio nell’elisione del termine “morte” o a conclusione della prima stanza in cui il traduttore elimina l’aggettivo słabych (deboli). Nella stessa sede, nella variante russa possiamo osservare un’inversione dei termini; Brodskij, infatti, mantiene i tre sostantivi: pylkich (passionali), slabych (deboli) e naivnych (ingenui) collocandoli, però, in diverso ordine.

II stanza

Nella seconda stanza si nota il passaggio dal monologo, in cui l’io lirico si annovera fra noi, al tu diretto; il destinatario di questo dialogo è il figlio d’Europa, il frutto-prodotto della nuova epoca storica costretta a misurarsi col proprio passato. La dialogicità di questo brano mette in risalto il procedimento polifonico prediletto da Miłosz, che, in questo caso, si rivolge a quel figlio postumo di Leonida cui spetta il compito di «considerare che questo è stato». D’altronde il poeta avverte come un’intima esigenza il bisogno di ancorare l’esperienza umana alla tradizione intesa come contesto storico e culturale della civiltà europea. Di conseguenza, la parola poetica non è, per Miłosz, un ente autonomo, ma si dota di significato solo alla luce della tradizione di cui si fa portavoce; per questo la sua poesia è costellata di parole-chiave (cattedrali gotiche, chiese barocche, sinagoghe, Cartesio e Spinoza).

Brodskij, nelle sue scelte traduttorie, attribuisce una particolare
attenzione alle parole adottate dal poeta e tenta di riprodurne i significati più reconditi. Osserviamo ad esempio la ricorrenza del verbo cenit’ / ocenit’ – alla lettera: “dare un prezzo”, “dare valore”, e derivatamente anche “stimare”, “giudicare” – che si ripete dalla prima (ocenit’ v. 4, ocenivšich v. 19) alla seconda stanza (Ceni, v. 20, Ceni v. 25, oceni v. 31) e che, grazie al suo ricco contenuto semantico, conserva intatto il valore dell’immagine originale. In tal modo Brodskij esplicita anche i livelli della lirica che il poeta polacco lascia intuire ai suoi lettori; infatti nella traduzione russa il termine cenit’ / ocenit’ si ripete anche nella seconda stanza, là dove Miłosz usa il verbo szanuj, “rispetta” (v. 21 e v. 26). È per questo che nella nostra variante italiana, che restituisce la rivisitazione di Brodskij, abbiamo preferito mantenere lo stesso termine (valuta) in tutti i luoghi della seconda stanza. Marchesani, al contrario, ha scelto due diverse espressioni (tieni da conto, rispetta) più consonanti alla lingua italiana in relazione al contesto.

Un altro segno autoriale di Brodskij si nota ai vv. 23-24, dove egli restituisce l’immagine delle sinagoghe, luogo che ha visto il pianto d’un popolo oltraggiato, con la metafora del klëkot, lo stridio degli uccelli, di cui è sottolineata la pronuncia spiccatamente ebraica (con le loro uvulari / strida di dolore). Elemento che ricorre nei versi brodskiani, spesso in riferimento al poeta stesso, che in Elegie romane si definisce un «torso nomade» in un panorama di rovine le quali «si riconoscono nella ”erre” rotta ebraica». Inoltre, al v. 25 Brodskij opera un’audace scelta traduttoria all’insegna del mettere e levare, per cui alla parola čest’ (onore) fa precedere l’aggettivo gromkoe (altisonante) assente nel testo polacco, e al contempo elimina il verso seguente (Figlio postumo di Leonida).

III stanza

Nell’originale si assiste a un cambiamento di registro nell’uso di un linguaggio che mima quello burocratico proprio del regime comunista. La stanza è cadenzata da cinque distici che racchiudono i consigli impartiti al figlio d’Europa in forma imperativa: non menzionare, rendi, non sappiano, impara, incendia.

Miłosz impiega la tecnica del montaggio cinematografico creando immagini-scene che mostrano l’erede della civiltà in rovina prima da lontano per poi avvicinarglisi; è un modo di presentare la realtà attraverso le sue minime manifestazioni e accidenti: le labbra, le mani. Lo stile sineddotico permette al poeta di suddividere la realtà in una serie di partes pro toto che sottraggono il mondo alla tirannia della generalizzazione.

Nel primo distico della sua versione Brodskij inserisce un altro inciso, posto tra due virgole: usvoj èto (tieni a mente, v. 36), col quale rafforza il tono sarcasticamente didattico della stanza.

IV stanza

Miłosz si pone in polemica con la tradizione post-simbolista – che in Polonia comprende anche la prima avanguardia – la quale tracciava una linea di divisione tra la lingua poetica e quella parlata. Per Miłosz la lingua della poesia deve rimanere in stretto contatto con la realtà perché solo così può adempiere al suo fine salvifico, come scrive già nel 1945, in Prefazione: «Tu, che non ho potuto salvare, / Ascoltami. / Cerca di capire questo linguaggio semplice, mi vergognerei di un altro».17

In questa stanza un esempio di linguaggio colloquiale è offerto dall’espressione Bijąc się w uda ze śmiechu (piegarsi in due dalle risate) che Brodskij riproduce fedelmente con il verbo chochotat’ (ridere a crepapelle); d’altronde il poeta russo anche nei propri versi giustappone lo stile alto a termini ed espressioni gergali. La soluzione di Marchesani, ridiamo smodati, in questo contesto risulta invece indebolita. Come in altri punti della lirica pare che Brodskij, affascinato dalla bellezza dell’immagine, avverta la necessità di arricchirla ulteriormente: al v. 50 aggiunge il participio passato razvetvlennoj (letteralmente “ramificato”), quasi a prolungare la percezione dell’albero (drevo) che, pur radicandosi nella verità, matura nella menzogna. Inoltre, ancora una volta Brodskij interviene marcatamente sul testo eliminando un distico che corrisponde ai vv. 53-54 dell’originale polacco.

V stanza

In questi versi viene toccato il nucleo centrale della riflessione di Miłosz, ovvero il ruolo della parola poetica. Il distico: Ze słów dwuznacznych uczyń swoją broń, / Słowa jasne pogrążaj w ciemność encyklopedii (Marchesani: Delle parole ambigue fa’ la tua arma, / Le parole chiare sprofondale nel buio delle enciclopedie) costituisce un’altra prova del superamento della dicotomia tra lingua poetica convenzionale e linguaggio colloquiale. Miłosz la risolve adottando una terza soluzione: lo stile delle parole pure ed eleganti, non inteso quale sinonimo di registro alto o di pathos, ma vicino alla lingua biblica.

Nella variante brodskiana si assiste a un mutamento nel primo distico, dove il secondo verso acuisce il significato già denso di questa stanza. Nell’originale si allude al potere delle parole che, a maggior ragione in uno stato totalitario, decidono le sorti degli uomini (nelle condanne a morte o, come era frequente sotto il regime sovietico, nelle delazioni) divenendo una potente arma contro il “nemico”, che di volta in volta viene individuato dalle autorità. In russo, il poeta introduce l’immagine del sangue guastato dalla parola, quasi la menzogna e il male fossero penetrati sotto pelle come una malattia. Le parole – che nella gerarchia brodskiana, esattamente come in Miłosz, hanno un valore altissimo poiché sono il sinonimo della lingua poetica – divengono qui uno strumento di morte, compiendo il peggior delitto possibile.

VI stanza

I “quattro comandamenti” impartiti al figlio d’Europa dall’io lirico si iscrivono nell’ambito del procedimento antifrastico di Miłosz: egli rifugge dall’emozionalità tipica della poesia di confessione prediligendo l’oggettivazione dei sentimenti propria della lirica di ruolo. L’autore si scinde dall’io lirico per costruire una distanza auto-ironica dall’ego romantico.

Questi versi, tradotti puntualmente da Brodskij, rievocano la stessa poetica, in particolare il catalogo delle perdite proprio dell’esule, quale il paese, la città natia, l’infanzia, i familiari… È un elenco doloroso esperito da entrambi i poeti – prima da Brodskij e successivamente da Miłosz – che tramuta la loro comune esperienza offrendo loro una forma di catarsi.

VII stanza

Riemerge in questa stanza la concezione della storia precedentemente illustrata, comune a entrambi i poeti, e che si può sintetizzare con queste parole di Brodskij: «[…] la storia è l’arte degli spettatori, dato che la caratteristica principale delle vittime è il silenzio in quanto il delitto le priva della parola. Se qui il poeta si sta riferendo alla storia di Caino e Abele, allora la storia è sempre la versione di Caino».18

Nel primo distico, per tradurre il sintagma polacco jest zawsze bezpieczny (è sempre al sicuro), Brodskij sceglie deliberatamente il verbo perebivajut, il quale oltre a significare “ammazzare”, “uccidere”, contiene in sé anche il valore di “rompere”, “spezzare”, che ci riporta al processo di reificazione della vittima dei campi di concentramento. Inoltre, a chiusura della stanza il poeta russo spezza l’ultimo verso con un punto, isolando l’espressione biblica po sobstvennomu podob’ju (a tua immagine e somiglianza) per confermare ancora una volta il carattere malizioso dell’ironia di Miłosz.

VIII stanza

A conclusione della lirica, Miłosz, con la frase nominale Wiek satyry skończony (Il tempo della satira finito) annuncia la fine dell’epoca della civiltà occidentale che si serviva della satira e, al contempo, insinua l’avvento di una nuova epoca in cui l’unica arma rimasta ai “nemici del popolo” è l’ironia. Come il cataclisma dei campi di concentramento crea la categoria dei “sommersi e salvati”, così il mondo post-escatologico crea la dicotomia tra i nemici del popolo e i severi edificatori della causa cui non spetta già lo strumento dell’ironia quanto la adulatoria lepidezza. L’epoca wyzwolonego ognia (del fuoco liberato) solo apparentemente è l’èra della libertà sognata da Prometeo: chi vive nel mondo post-escatologico è forse sfuggito all’apocalisse ma non a un incerto destino. Da qui l’ammonimento implicito di Miłosz a varcare le soglie della nuova realtà con cautela e le labbra serrate che non sanno ancora se enunceranno frasi ironiche o quelle dello humor servile.

Note

1 A. Prete, All’ombra dell’altra lingua. Per una poetica della traduzione, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 11.

2 Ibidem.

3 Cfr. L. Marinelli (a cura di), Storia della letteratura polacca, Einaudi, Torino 2004, pp.361-406. J. Kleiner, W. Maciąg, Zarys dziejów literatury polskiej, (Storia della letteratura polacca) Osolineum, Wrocław-Warszawa-Kraków-Gdańsk- 1972, pp. 518-529.

4 I. Brodskij, Il canto del pendolo, Adelphi, Milano 1987, p. 283.

5 Cfr. I. Brodskij, Come leggere un libro, in Id., Profilo di Clio, a cura di A. Cattaneo, Adelphi, Milano 2003, p. 83.

6 I. Brodskij, Presentazione di Iosif Brodskij, in Č. Miłosz, Poesie, a cura di P. Marchesani, Adelphi, Milano 1983, p. 11.

7 I. Brodskij, Syn veka (Figlio del secolo), in «Literaturnoe obozrenie», 3, 1999, p. 14.

8 Non a caso una lunga poesia di Brodskij del 1969 si intitola Konec prekrasnoj èpochi (La fine della bella Èpoque) e, più in generale, tutta la poetica brodskiana è segnata dal senso della fine: di un amore, della vita, della fede e, di conseguenza, di un’intera civiltà.

9 V. Kullé, Tam, gde oni cončili, ty načinaeš’ (O perevodach Iosifa Brodskogo), in: Special Issue: Joseph Brodsky, «Russian Literature», Vol. XXXVII-II/III, Elsevier, North-Holland 1995.

10 I. Brodskij, Presentazione di Iosif Brodskij, cit., p. 12.

11 I. Brodskij, «Un volto non comune». Discorso per il Premio Nobel, in Id., Profilo di Clio, cit., p. 59.

12 Ivi, pp. 68-69.

13 I. Brodskij, Syn veka (Il figlio del secolo), traduzione russa dall’originale inglese (The Estate of Joseph Brodsky) di L. Štern, «literaturnoe obozrenie», 3, 1999, p. 14.

14 I. Brodskij, Kolybel’naja Treskogo mysa, in Id, Sočinenija Iosifa Brodskogo (Le opere di Iosif Brodskij), vol. II, p. 355, trad. it. di G. Buttafava, I. Brodskij, Ninna nanna di Cape Cod, cit., p. 79.

15 I. Brodskij, Presentazione di Iosif Brodskij, cit., p. 12.

16 A. Prete, All’ombra dell’altra lingua, cit., p. 12.

17 Cz. Miłosz, Prefazione in: Id., Poesie trad. it di P. Marchesani, Adelphi, Milano 2010, p. 41.

18 I. Brodskij, Profilo di Clio, cit., p. 128.

Riferimenti bibliografici

Brodskij I., Djetja Evropa, in: Id., Sočinenija Iosifa Brodskogo (Le opere di Iosif Brodskij), vol III, Puškinskij Fond, Sankt-Peterburg 1994.

Brodskij, Il canto del pendolo, Adelphi, Milano 1987.

Brodskij I., Kolybel’naja Treskogo mysa, in Id, Sočinenija Iosifa Brodskogo (Le opere di Iosif Brodskij), vol II, Puškinskij Fond, Sankt-Peterburg 1994.

Brodskij I., Profilo di Clio, a cura di A. Cattaneo, Adelphi, Milano 2003.

Brodskij I., Syn veka (Il figlio del secolo), traduzione russa dall’originale inglese (The Estate of Joseph Brodsky) di L. Štern, «literaturnoe obozrenie», 3, 1999.

Brodskij, J., Wytrwałość bólu (La persistenza del dolore), in: Apokryf nr 9, giugno 1999 aggiunta a Tygodnik Powszechny.

Miłosz Cz., Dziecię Europy, in: Id., Miasto bez Imienia. Poezje, Instytut Literacki, Parigi 1969.

Marchesani P. (trad. di), Fanciullo d’Europa, in: Cz. Miłosz, Poesie, trad. di P. Marchesani, Adelphi, Milano 2010.

Kullé V., Tam, gde oni cončili, ty načinaeš’ (O perevodach Iosifa Brodskogo), in: Special Issue: Joseph Brodsky, «Russian Literature», Vol. XXXVII-II/III, Elsevier, North-Holland 1995.

Kleiner, J., Maciąg, W., Zarys dziejów literatury polskiej, (Storia della letteratura polacca) Osolineum, Wrocław-Warszawa-Kraków-Gdańsk- 1972.

Marinelli, L. (a cura di), Storia della letteratura polacca, Einaudi, Torino 2004.

Prete A., All’ombra dell’altra lingua. Per una poetica della traduzione, Bollati Boringhieri, Torino 2011.