Brodskij legge Miłosz:
Figlio d’Europa (1946)
Quattro versioni a confronto
Sara Martinelli, Magdalena Rasmus
Nell’anno 2011 ricorre il centenario della nascita di Miłosz, Premio Nobel per la Letteratura 1980. Nato in Lituania, costretto a lasciare la sua terra d’origine a causa degli eventi tragici del XX secolo, Miłosz ha vissuto a Varsavia, Cracovia, Parigi e negli Stati Uniti, per tornare poi definitivamente in Polonia, a Cracovia. È stato non solo un grande poeta, saggista, traduttore ma anche un testimone e osservatore acuto della sua epoca, letto quasi in tutto il mondo.
Miłosz debutta nel 1933 con Poemat o czasie zastygłym (Poema del tempo congelato), segnato da preveggenze apocalittiche; seguono poi, nel 1936, Trzy zimy (Tre inverni), in cui il poeta si richiama a una simbologia religiosa che conferisce ai versi un particolare pathos, e, nel 1945, la prima raccolta di liriche, Ocalenie (Salvezza), che ha ancora radici nella corrente catastrofista della letteratura fra le due guerre. Fa parte di questa silloge il ciclo Głosy biednych ludzi (Voci della povera gente), che, radicato nell’incubo dell’occupazione fascista, svela la crisi dei valori della cultura europea annichilita dalla guerra. Di fronte al crollo dei principi morali e al compimento della catastrofe portata dal fascismo Miłosz reagisce con la poesia: guidato da un atteggiamento antiromantico, il poeta polacco tende a oggettivare le emozioni, aprendo la lirica a un’amara riflessione storico-filosofica e a un’enunciazione polifonica capace di mostrare la realtà da un punto di vista molteplice. Questa strategia diventa nel dopoguerra la cifra dello stile di questo grande rappresentante della poesia mondiale.
Il Catastrofismo è la corrente letteraria che in Polonia, già a partire dagli anni Venti, attraversa poetiche e stili diversi, dall’umorismo grottesco e nichilista al pathos visionario. Si tratta dell’espressione letteraria dei presentimenti apocalittici che segnavano l’epoca fra le due guerre ed erano il frutto delle continue crisi socio-politiche e della grande crisi economica di quel tempo. Le tendenze apocalittiche si diffondono prima nella prosa degli anni Venti (di cui uno dei massimi esponenti è Stanisław Ignacy Witkiewicz, scrittore di anti-utopie, il quale nelle sue prose dà espressione alla vacuità delle certezze occidentali), e successivamente nella poesia degli anni Trenta, in cui – a eccezione delle visioni grottesche e deformate di Julian Tuwim, l’autore di Bal w operze (Il ballo nell’opera, 1936), il capolavoro del catastrofismo grottesco, e di Konstanty Ildefons Gałczyński, le cui poesie svelano un atteggiamento carnevalesco nei confronti della realtà – prevalgono le tonalità catastrofico-patetiche dei poeti visionari, come in Józef Czechowicz o nei membri del gruppo Żagary. La stessa corrente catastrofista, che nel periodo fra le due guerre parte dal presupposto della caducità del patrimonio della civiltà umana e dalla convinzione dell’impossibile continuità della storia, trova nel periodo dell’occupazione nuove fonti di ispirazione: la Seconda guerra mondiale, con gli orrori dei campi di concentramento, diventa la conferma dei presentimenti apocalittici, della visione escatologica del mondo, e porta inevitabilmente alla necessità di fare i conti con la crudele realtà della storia. Di fronte a questa situazione Miłosz propone di intendere la poesia come una forma d’arte dotata di una propria autonomia, che continua ad avere una responsabilità etica anche in un momento in cui l’etica sembra completamente scissa dall’estetica. Brodskij, poeta russo naturalizzato statunitense, insignito del premio Nobel per la Letteratura 1987, scopre e traduce Miłosz in russo assimilandolo profondamente nella sua poetica.3
Nel panorama culturale dell’Unione Sovietica, in particolare a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, la traduzione ha svolto una funzione fondamentale per i poeti che, non potendo nutrire la speranza di veder pubblicati i propri versi, si sono rifugiati nella parola “altrui”, tanto da dar vita al fenomeno del cosiddetto uchod v perevody, ovvero la fuga nelle traduzioni, l’unica attività che permetteva di guadagnarsi da vivere col lavoro di penna, anche se di secondo grado. Ciò ha creato una brillante pleiade di poeti-traduttori impegnati a volgere nel proprio contesto culturale gli autori più diversi e dalle più svariate lingue, conosciute o meno dallo stesso traduttore – in molti casi, infatti, si trattava di podstročnye perevody, traduzioni interlineari, ovvero non condotte direttamente sull’originale, bensì sulla versione letterale compiuta da un conoscitore della lingua su cui poi il poeta creava una variante autonoma.
I poeti russi trovano quindi nella traduzione il veicolo privilegiato per conoscere – e conoscere a fondo, effetto imprescindibile di ogni lavoro di traduzione – le letterature europee: su tutte quella polacca, attraverso la quale filtravano poi autori di altre nazionalità. Esemplare è il caso di Brodskij che traccia questo percorso testimoniando il suo avvicinamento prima ai poeti polacchi, poi ai cechi, agli ungheresi e agli jugoslavi, per giungere infine ai francesi e agli inglesi, che lasceranno l’impronta più duratura sui suoi versi. È noto d’altronde come per Brodskij la traduzione non costituisse solo una “fuga”, ma un modo per conoscere coloro che ci hanno preceduto e dai quali abbiamo ereditato la lingua, non quella materna, nazionale, ma la lingua intesa come poesia. Le traduzioni brodskiane sono compiute dlja duši, per l’anima più che per il guadagno, e sono da intendersi come parte di quel patrimonio culturale ed esistenziale che ne ha forgiato l’identità, se è vero che «l’uomo è ciò che legge, e tanto più un poeta».4
La poesia in lingua polacca è – nell’opinione di Brodskij – la migliore del XX secolo,5 e un legame particolare unisce il poeta russo a Miłosz; la traduzione delle sue poesie sembra nascere infatti da un’affinità di sentire, da un comune modo di interpretare il mondo e la storia in un secolo “tragico” come quello appena trascorso. Brodskij definisce Miłosz appunto syn veka, ovvero figlio del secolo, un poeta che ha avuto il merito di presentire con un decennio di anticipo l’orrore che si sarebbe compiuto di lì a poco e che avrebbe travolto, in primo luogo, proprio il suo Paese: «La terra desolata che egli descrive nelle sue poesie del tempo della guerra (e in alcune del dopoguerra)» – scrive Brodskij – «corrisponde letteralmente alla realtà: non è Adone, questa volta non risorto, che vi manca, ma milioni di suoi compatrioti».6 La grandezza poetica di Miłosz risiede dunque nell’aver compreso «la necessità di un’intonazione tragica, la tragedia del nostro secolo consiste nell’aver dotato il poeta dell’esperienza necessaria per esprimerla».7
Questa visione del mondo “dopo la Storia”, dopo la fine di tutto,8 che nelle lettere polacche ha portato al delinearsi di una corrente letteraria ben definita, è in realtà tipica di tutta la letteratura est-europea del dopoguerra, per la quale il critico Viktor Kullé parla di «visione post-escatologica».9 Quando Brodskij osserva che il nucleo centrale della poesia di Miłosz è «l’insopportabile percezione dell’impossibilità dell’essere umano di capire la propria esperienza», e che «quanto più il tempo lo separa da essa, tanto minori diventano le possibilità di comprenderla»,10 si riferisce anche a sé stesso e alla sua convinzione che la Storia non abbia nulla da insegnare all’uomo, giacché nel tempo niente accade due volte. In questa visione della storia – osserva Kullé – risiede anche la distinzione tra la visione del mondo post-escatologico di Brodskij e di Miłosz rispetto a quella dell’anti-utopia classica: la loro è estremamente “individuale”. In opposizione al collettivismo proprio del regime comunista entrambi i poeti sostengono l’idea che l’identità dell’uomo non si lasci plasmare dalle ideologie ma mantenga la propria libertà interiore, e «se l’arte insegna qualcosa […] è proprio la dimensione privata della condizione umana».11
Per comprendere meglio la posizione dei due poeti si deve pensare alla generazione cui appartengono (nonostante tra i due vi sia uno scarto di trent’anni: Brodskij nasce nel 1940), quella che ha risposto alla domanda di Adorno «Come si può fare poesia dopo Auschwitz?» in modo affermativo. Ancora illuminanti sono le parole di Brodskij pronunciate in occasione del conferimento del Premio Nobel:
La poesia di Miłosz scelta come oggetto di analisi in questa sede viene presentata in lingua originale (Dziecię Europy), con accanto la traduzione italiana di Marchesani (Fanciullo d’Europa), e nella versione russa (Дитя Европы) composta da Brodskij, affiancata, a sua volta, da una variante il più possibile letterale in italiano (Figlio d’Europa), e seguita da un’analisi condotta stanza per stanza. Si tratta di una lirica risalente al 1946 che è sembrata particolarmente significativa sia all’interno della produzione poetica di Miłosz – è infatti la prima delle liriche di riflessione storico-filosofica che cerca di fare i conti con il mondo post-escatologico e racchiude un vasto spettro di temi della sua poetica che si preciseranno più tardi –, sia in relazione al suo traduttore Brodskij, il quale, a sua volta, non solo traduce, ma reinterpreta e reinventa. La straordinaria forza già insita nei versi polacchi acquista così nuovo vigore nella versione russa, che rende la tragedia ebraica il segno di un’epoca piuttosto che un suo momento eccezionale. Se la versione di Marchesani offre una resa puntuale della composizione, Brodskij infonde alla poesia una spiccata impronta personale, un atteggiamento caratteristico della sua attività di traduttore, che qui assume tuttavia un valore aggiunto, dato dalla comunione di esperienze e dal diretto coinvolgimento nella tragedia immortalata da Miłosz. Certo, la lingua stessa favorisce una tale immedesimazione; la lingua russa, infatti, può rievocare nelle sue parole gli echi della realtà polacca – e più in generale dell’Europa orientale – con una potenza semantica e lessicale immediata. Дитя Европы è traduzione poetica perché non allenta mai la propria consapevolezza di situarsi dopo l’originale polacco, perché sa “fare di questo dopo la culla dove il primo testo è scosso dal vento di una rinascita”;16 perché sa rispondere alle parzialità della lingua originale con la ricchezza della propria; e infine perché dialoga incessantemente, appassionatamente, amorosamente con il testo di partenza. L’affinità profonda che lega Miłosz e Brodskij sta, senza dubbio, nella comune visione della storia e nel valore attribuito da entrambi alla poesia come all’unica forma d’arte in grado di dare voce nuova al mondo; ma ciò che la rafforza ulteriormente è il carattere delle versioni brodskiane di Miłosz: non “traduzioni di servizio”, ma varianti al servizio del presente.
Testi
Dziecię Europy
1. My, którzy smakujemy długo żując jadło Z pieców ognistych, zza drutów w których świszcze Wysyłając innych na miejsca bardziej zagrożone, Do wyboru mając śmierć własną i śmierć przyjaciela Uszczelnialiśmy drzwi gazowych komór, kradliśmy chleb Jak należy się ludziom poznaliśmy dobro Należy uznć za dowiedzione, że jesteśmy lepsi od tamtych, 2. Umysł masz wyćwiczony, umiejący rozpoznać natychmiast Tym umysłem wiedziony, rozpoznasz natychmiast 3. Nie wspominaj o sile, by cię nie posądzano Kto ma władzę, zawdzięcz ją logice dziejów. Niech nie wiedzą usta wypowiadające hipotezę Niech nie wiedzą twoje ręce fałszujące eksperyment Umiej przewidzieć pożar z dokładnością nieomylną. 4. Niech kłamstwo logiczniejsze będzie od wydarzeń, Po dniu kłamstwa gromadźmy się Rozdając pochwały pod nazwą bystrości rozumowania My ostatni, którzy z cynizmu umiemy czerpać wesele. Już rodzi się pokolenie śmiertelnie poważne 5. Ze słów dwuznacznych uczyń swoją broń, Żadnych słów nie osądzaj, zanim urzędnicy Głos namiętności lepszy jest niż głos rozumu, 6. Nie przechowuj pamiątek, bo z twojej szuflady Nie miej czułości dla ludzi, ludzie łatwo giną Nie patrz w jeziora przeszłości: tafla ich 7. Jakie zapragniesz możesz przypisać im czyny, Z głębi nocy wynurza się ich pusta twarz. Dumny z władzy nad ludźmi dawno minionymi 8. Wiek satyry skończony. Odtąd nie będziemy Surowi jak przystało budowniczym sprawy Z ustami zaciśniętymi, posłuszni rozumowaniu |
Fanciullo d’Europa
1. Noi, che assaporiamo piatti esotici Dai forni ardenti, da dietro i fili su cui fischiava Inviando gli altri nei luoghi più esposti, Dovendo scegliere fra la morte propria e quella dell’amico Sigillavamo le porte delle camere a gas, rubavamo il pane, Come si conviene ad uomini, abbiamo conosciuto il bene È da ritenersi provato che siamo migliori di quelli, 2. Hai una mente allenata, immediata nel distinguere Guidato da questa mente, riconoscerai all’istante 3. Non menzionare la forza, per non essere sospettato Chi detiene il potere ne è debitore alla logica della storia. Le labbra enuncianti l’ipotesi non sappiano Le tue mani falsanti l’esperimento non sappiano Impara a prevedere l’incendio con precisione infallibile. 4. Che la menzogna sia più logica dei fatti, Dopo il giorno della menzogna raccogliamoci Dispensando lodi sotto il nome di acutezza di raziocinio Noi, gli ultimi capaci di attingere gioia dal cinismo. Sta già nascendo una generazione mortalmente seria 5. Delle parole ambigue fa’ la tua arma, Non giudicare nessuna parola prima che i funzionari La voce della passione è migliore di quella della ragione, 6. Non conservare ricordi, perché dal tuo cassetto Non provare tenerezza per gli uomini: periscono facilmente Non guardare i laghi del passato: la loro superficie 7. Puoi attribuirgli le azioni che vorrai, Dal profondo della notte emerge la loro faccia vuota. Fiero del potere su gente da tempo trascorsa, 8. Il tempo della satira è finito. Non dovremo più Severi come si addice agli edificatori della causa Con le labbra serrate, ossequienti ai raziocinio, |
Дитя Европы
1. Мы, кто смакует успехи восточной кухни, От пещи огненной, от колючки, Другим достались простреливаемые участки Выбирая меж собственной смертью и смертью друга, Мы запирали двери газовых камер, Как положено людям, мы познали добро Признаем доказанным, что мы лучше 2. Твой практический разум схватывает на лету Обладая писанным выше складом Прилагаем ряд жестких, но мудрых правил. 3. Не вспоминай о силе, чтоб не обвинили Обладающий властью обладает ей в силу Да не знает рука, подделывающая результаты, Умей предсказать пожар с точностью до минуты. 4. Ложь должна быть логичней действительности. День посвятивши лжи, можешь вечером Мы – последние, чья изворотливость схожа Уже подросло серьезное поколенье, 5. Двусмысленность да пребудет твоим доспехом. Не оценивай слов, покуда из картотеки Жертвуй голосом разума ради голоса страсти. 6. Не храни сувениров. Из твоего комода Не связывайся с людьми: они легко погибают. Также вредно смотреть в озера детства: 7. Можешь валить на них все, что тебе угодно. Из ночной глубины плывут их пустые лица… Гордый властью над теми, кого не стало, 8. Объявляем оконченным век сатиры. Суровые, как подобает борцам за правое дело, С сомкнутыми устами, решительно, но осторожно |
Figlio d’Europa
1. Noi, che gustiamo i frutti della cucina orientale, Dai forni ardenti, dal filo spinato, Agli altri, toccavano le zone esposte al fuoco Nella scelta tra la propria morte e la morte dell’amico, Noi abbiamo sprangato le porte delle camere a gas, Come si conviene agli uomini abbiamo conosciuto il bene È dimostrato che noi siamo migliori 2. Il tuo senso pratico afferra al volo Possedendo una mente di tal fatta Offriamo una serie di regole severe, ma sagge. 3. Non rammentare la forza, che non ti accusino Chi detiene il potere lo possiede in base Non sappia la mano che falsifica l’esperimento Impara a prevedere l’incendio al minuto secondo. 4. La menzogna deve essere più logica della realtà. Dopo il giorno consacrato alla menzogna, a sera, puoi Noi siamo gli ultimi la cui destrezza è affine Già è cresciuta una generazione seria, 5. L’ambiguità sia la tua armatura. Non giudicare le parole, finché dallo schedario Sacrifica la voce della ragione a quella della passione. 6. Non conservare souvenir. Dal tuo comodino Non legarti agli uomini: periscono facilmente. Altrettanto dannoso è fissare i laghi dell’infanzia: 7. Su questi puoi riversare tutto quello che desideri. Affiorano i volti vacui dalla profondità della notte. Fiero del potere su quelli che non sono più 8. Dichiariamo che l’età della satira è finita. Severi, come si addice ai difensori d’una giusta causa, Con le labbra sigillate, risoluti ma accorti, |
Il titolo
Dziecię Europy è stato tradotto da Marchesani Fanciullo d’Europa. La parola «fanciullo» – che nel lettore italiano richiama il fanciullino pascoliano – non restituisce affatto il concetto di filiazione implicito nel termine polacco e così pregnante per la comprensione della lirica stessa. La scelta adottata da Brodskij, invece, risulta perfettamente equivalente all’originale: infatti il termine russo Дитя riesce a conservare sia la componente di filiazione sia il carattere arcaico della parola. Per questo motivo la scelta più appropriata ci è parsa: Figlio d’Europa.
I stanza
Al v. 4 Marchesani rende jadło con piatti esotici, raffinando la ruvidezza del termine originale che letteralmente significa “cibo”, “alimento”, “vivanda”. Inoltre, smakujemy długo żując, che alla lettera vuol dire “assaporiamo a lungo masticando”, viene ridotto a un semplice assaporiamo. In questo modo cambia completamente l’immagine dell’io lirico, uno di noi, cioè uno dei superstiti dell’orrore dei campi di concentramento, i quali, vista l’asperità presente nella descrizione di questa attività fisiologica, erano tutt’altro che migliori di loro, sepolti. Si perde così l’effetto ironico prodotto dal registro antifrastico con cui Miłosz sottolinea già nel v. 9 che i migliori si sono salvati in modo per niente nobile, e cioè con l’astuzia e il sapere.
Sin dalla prima terzina, Brodskij firma la traduzione con la propria impronta personale, inserendo tra parentesi un’indicazione di carattere teatrale: vzdoch, cioè “sospiro”. Questa intrusione anticipa il tono ironico presente nei versi successivi di Miłosz. In più, Brodskij ricorre all’uso del trattino a sottolineare il carattere perentorio della sentenza finale di ciascuna delle prime due terzine. Nel v. 4, alla stregua di Marchesani, il poeta russo attenua la cruda immagine del cibo introducendo uspechi vostočnoj kuchni (frutti della cucina orientale) e non rende pienamente la puntualità dell’espressione polacca ridimensionandola al semplice verbo russo smakovat’ (assaporare, gustare).
Il tratto peculiare dell’intonazione di questa lirica è il carattere mimetico della lingua assunto appositamente da Miłosz: la lingua non è obiettivo in sé stessa, ma serve per descrivere il mondo, la sua spietata crudeltà, per cui il poeta polacco ricorre alle ripetizioni evitando di proposito l’ellissi. Brodskij comprende profondamente questa esigenza e la restituisce in modo fedele nella sua versione, come nel v. 13 con la ripetizione del sostantivo smert’ (morte). Il procedimento di Marchesani è volto, invece, ad alleggerire l’andamento grave del testo, e si rivela nell’eludere le reiterazioni dell’originale, ad esempio nell’elisione del termine “morte” o a conclusione della prima stanza in cui il traduttore elimina l’aggettivo słabych (deboli). Nella stessa sede, nella variante russa possiamo osservare un’inversione dei termini; Brodskij, infatti, mantiene i tre sostantivi: pylkich (passionali), slabych (deboli) e naivnych (ingenui) collocandoli, però, in diverso ordine.
II stanza
Nella seconda stanza si nota il passaggio dal monologo, in cui l’io lirico si annovera fra noi, al tu diretto; il destinatario di questo dialogo è il figlio d’Europa, il frutto-prodotto della nuova epoca storica costretta a misurarsi col proprio passato. La dialogicità di questo brano mette in risalto il procedimento polifonico prediletto da Miłosz, che, in questo caso, si rivolge a quel figlio postumo di Leonida cui spetta il compito di «considerare che questo è stato». D’altronde il poeta avverte come un’intima esigenza il bisogno di ancorare l’esperienza umana alla tradizione intesa come contesto storico e culturale della civiltà europea. Di conseguenza, la parola poetica non è, per Miłosz, un ente autonomo, ma si dota di significato solo alla luce della tradizione di cui si fa portavoce; per questo la sua poesia è costellata di parole-chiave (cattedrali gotiche, chiese barocche, sinagoghe, Cartesio e Spinoza).
Brodskij, nelle sue scelte traduttorie, attribuisce una particolare
attenzione alle parole adottate dal poeta e tenta di riprodurne i significati più reconditi. Osserviamo ad esempio la ricorrenza del verbo cenit’ / ocenit’ – alla lettera: “dare un prezzo”, “dare valore”, e derivatamente anche “stimare”, “giudicare” – che si ripete dalla prima (ocenit’ v. 4, ocenivšich v. 19) alla seconda stanza (Ceni, v. 20, Ceni v. 25, oceni v. 31) e che, grazie al suo ricco contenuto semantico, conserva intatto il valore dell’immagine originale. In tal modo Brodskij esplicita anche i livelli della lirica che il poeta polacco lascia intuire ai suoi lettori; infatti nella traduzione russa il termine cenit’ / ocenit’ si ripete anche nella seconda stanza, là dove Miłosz usa il verbo szanuj, “rispetta” (v. 21 e v. 26). È per questo che nella nostra variante italiana, che restituisce la rivisitazione di Brodskij, abbiamo preferito mantenere lo stesso termine (valuta) in tutti i luoghi della seconda stanza. Marchesani, al contrario, ha scelto due diverse espressioni (tieni da conto, rispetta) più consonanti alla lingua italiana in relazione al contesto.
Un altro segno autoriale di Brodskij si nota ai vv. 23-24, dove egli restituisce l’immagine delle sinagoghe, luogo che ha visto il pianto d’un popolo oltraggiato, con la metafora del klëkot, lo stridio degli uccelli, di cui è sottolineata la pronuncia spiccatamente ebraica (con le loro uvulari / strida di dolore). Elemento che ricorre nei versi brodskiani, spesso in riferimento al poeta stesso, che in Elegie romane si definisce un «torso nomade» in un panorama di rovine le quali «si riconoscono nella ”erre” rotta ebraica». Inoltre, al v. 25 Brodskij opera un’audace scelta traduttoria all’insegna del mettere e levare, per cui alla parola čest’ (onore) fa precedere l’aggettivo gromkoe (altisonante) assente nel testo polacco, e al contempo elimina il verso seguente (Figlio postumo di Leonida).
III stanza
Nell’originale si assiste a un cambiamento di registro nell’uso di un linguaggio che mima quello burocratico proprio del regime comunista. La stanza è cadenzata da cinque distici che racchiudono i consigli impartiti al figlio d’Europa in forma imperativa: non menzionare, rendi, non sappiano, impara, incendia.
Miłosz impiega la tecnica del montaggio cinematografico creando immagini-scene che mostrano l’erede della civiltà in rovina prima da lontano per poi avvicinarglisi; è un modo di presentare la realtà attraverso le sue minime manifestazioni e accidenti: le labbra, le mani. Lo stile sineddotico permette al poeta di suddividere la realtà in una serie di partes pro toto che sottraggono il mondo alla tirannia della generalizzazione.
Nel primo distico della sua versione Brodskij inserisce un altro inciso, posto tra due virgole: usvoj èto (tieni a mente, v. 36), col quale rafforza il tono sarcasticamente didattico della stanza.
IV stanza
Miłosz si pone in polemica con la tradizione post-simbolista – che in Polonia comprende anche la prima avanguardia – la quale tracciava una linea di divisione tra la lingua poetica e quella parlata. Per Miłosz la lingua della poesia deve rimanere in stretto contatto con la realtà perché solo così può adempiere al suo fine salvifico, come scrive già nel 1945, in Prefazione: «Tu, che non ho potuto salvare, / Ascoltami. / Cerca di capire questo linguaggio semplice, mi vergognerei di un altro».17
In questa stanza un esempio di linguaggio colloquiale è offerto dall’espressione Bijąc się w uda ze śmiechu (piegarsi in due dalle risate) che Brodskij riproduce fedelmente con il verbo chochotat’ (ridere a crepapelle); d’altronde il poeta russo anche nei propri versi giustappone lo stile alto a termini ed espressioni gergali. La soluzione di Marchesani, ridiamo smodati, in questo contesto risulta invece indebolita. Come in altri punti della lirica pare che Brodskij, affascinato dalla bellezza dell’immagine, avverta la necessità di arricchirla ulteriormente: al v. 50 aggiunge il participio passato razvetvlennoj (letteralmente “ramificato”), quasi a prolungare la percezione dell’albero (drevo) che, pur radicandosi nella verità, matura nella menzogna. Inoltre, ancora una volta Brodskij interviene marcatamente sul testo eliminando un distico che corrisponde ai vv. 53-54 dell’originale polacco.
V stanza
In questi versi viene toccato il nucleo centrale della riflessione di Miłosz, ovvero il ruolo della parola poetica. Il distico: Ze słów dwuznacznych uczyń swoją broń, / Słowa jasne pogrążaj w ciemność encyklopedii (Marchesani: Delle parole ambigue fa’ la tua arma, / Le parole chiare sprofondale nel buio delle enciclopedie) costituisce un’altra prova del superamento della dicotomia tra lingua poetica convenzionale e linguaggio colloquiale. Miłosz la risolve adottando una terza soluzione: lo stile delle parole pure ed eleganti, non inteso quale sinonimo di registro alto o di pathos, ma vicino alla lingua biblica.
Nella variante brodskiana si assiste a un mutamento nel primo distico, dove il secondo verso acuisce il significato già denso di questa stanza. Nell’originale si allude al potere delle parole che, a maggior ragione in uno stato totalitario, decidono le sorti degli uomini (nelle condanne a morte o, come era frequente sotto il regime sovietico, nelle delazioni) divenendo una potente arma contro il “nemico”, che di volta in volta viene individuato dalle autorità. In russo, il poeta introduce l’immagine del sangue guastato dalla parola, quasi la menzogna e il male fossero penetrati sotto pelle come una malattia. Le parole – che nella gerarchia brodskiana, esattamente come in Miłosz, hanno un valore altissimo poiché sono il sinonimo della lingua poetica – divengono qui uno strumento di morte, compiendo il peggior delitto possibile.
VI stanza
I “quattro comandamenti” impartiti al figlio d’Europa dall’io lirico si iscrivono nell’ambito del procedimento antifrastico di Miłosz: egli rifugge dall’emozionalità tipica della poesia di confessione prediligendo l’oggettivazione dei sentimenti propria della lirica di ruolo. L’autore si scinde dall’io lirico per costruire una distanza auto-ironica dall’ego romantico.
Questi versi, tradotti puntualmente da Brodskij, rievocano la stessa poetica, in particolare il catalogo delle perdite proprio dell’esule, quale il paese, la città natia, l’infanzia, i familiari… È un elenco doloroso esperito da entrambi i poeti – prima da Brodskij e successivamente da Miłosz – che tramuta la loro comune esperienza offrendo loro una forma di catarsi.
VII stanza
Riemerge in questa stanza la concezione della storia precedentemente illustrata, comune a entrambi i poeti, e che si può sintetizzare con queste parole di Brodskij: «[…] la storia è l’arte degli spettatori, dato che la caratteristica principale delle vittime è il silenzio in quanto il delitto le priva della parola. Se qui il poeta si sta riferendo alla storia di Caino e Abele, allora la storia è sempre la versione di Caino».18
Nel primo distico, per tradurre il sintagma polacco jest zawsze bezpieczny (è sempre al sicuro), Brodskij sceglie deliberatamente il verbo perebivajut, il quale oltre a significare “ammazzare”, “uccidere”, contiene in sé anche il valore di “rompere”, “spezzare”, che ci riporta al processo di reificazione della vittima dei campi di concentramento. Inoltre, a chiusura della stanza il poeta russo spezza l’ultimo verso con un punto, isolando l’espressione biblica po sobstvennomu podob’ju (a tua immagine e somiglianza) per confermare ancora una volta il carattere malizioso dell’ironia di Miłosz.
VIII stanza
A conclusione della lirica, Miłosz, con la frase nominale Wiek satyry skończony (Il tempo della satira finito) annuncia la fine dell’epoca della civiltà occidentale che si serviva della satira e, al contempo, insinua l’avvento di una nuova epoca in cui l’unica arma rimasta ai “nemici del popolo” è l’ironia. Come il cataclisma dei campi di concentramento crea la categoria dei “sommersi e salvati”, così il mondo post-escatologico crea la dicotomia tra i nemici del popolo e i severi edificatori della causa cui non spetta già lo strumento dell’ironia quanto la adulatoria lepidezza. L’epoca wyzwolonego ognia (del fuoco liberato) solo apparentemente è l’èra della libertà sognata da Prometeo: chi vive nel mondo post-escatologico è forse sfuggito all’apocalisse ma non a un incerto destino. Da qui l’ammonimento implicito di Miłosz a varcare le soglie della nuova realtà con cautela e le labbra serrate che non sanno ancora se enunceranno frasi ironiche o quelle dello humor servile.
1 A. Prete, All’ombra dell’altra lingua. Per una poetica della traduzione, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 11.
2 Ibidem.
3 Cfr. L. Marinelli (a cura di), Storia della letteratura polacca, Einaudi, Torino 2004, pp.361-406. J. Kleiner, W. Maciąg, Zarys dziejów literatury polskiej, (Storia della letteratura polacca) Osolineum, Wrocław-Warszawa-Kraków-Gdańsk- 1972, pp. 518-529.
4 I. Brodskij, Il canto del pendolo, Adelphi, Milano 1987, p. 283.
5 Cfr. I. Brodskij, Come leggere un libro, in Id., Profilo di Clio, a cura di A. Cattaneo, Adelphi, Milano 2003, p. 83.
6 I. Brodskij, Presentazione di Iosif Brodskij, in Č. Miłosz, Poesie, a cura di P. Marchesani, Adelphi, Milano 1983, p. 11.
7 I. Brodskij, Syn veka (Figlio del secolo), in «Literaturnoe obozrenie», 3, 1999, p. 14.
8 Non a caso una lunga poesia di Brodskij del 1969 si intitola Konec prekrasnoj èpochi (La fine della bella Èpoque) e, più in generale, tutta la poetica brodskiana è segnata dal senso della fine: di un amore, della vita, della fede e, di conseguenza, di un’intera civiltà.
9 V. Kullé, Tam, gde oni cončili, ty načinaeš’ (O perevodach Iosifa Brodskogo), in: Special Issue: Joseph Brodsky, «Russian Literature», Vol. XXXVII-II/III, Elsevier, North-Holland 1995.
10 I. Brodskij, Presentazione di Iosif Brodskij, cit., p. 12.
11 I. Brodskij, «Un volto non comune». Discorso per il Premio Nobel, in Id., Profilo di Clio, cit., p. 59.
12 Ivi, pp. 68-69.
13 I. Brodskij, Syn veka (Il figlio del secolo), traduzione russa dall’originale inglese (The Estate of Joseph Brodsky) di L. Štern, «literaturnoe obozrenie», 3, 1999, p. 14.
14 I. Brodskij, Kolybel’naja Treskogo mysa, in Id, Sočinenija Iosifa Brodskogo (Le opere di Iosif Brodskij), vol. II, p. 355, trad. it. di G. Buttafava, I. Brodskij, Ninna nanna di Cape Cod, cit., p. 79.
15 I. Brodskij, Presentazione di Iosif Brodskij, cit., p. 12.
16 A. Prete, All’ombra dell’altra lingua, cit., p. 12.
17 Cz. Miłosz, Prefazione in: Id., Poesie trad. it di P. Marchesani, Adelphi, Milano 2010, p. 41.
18 I. Brodskij, Profilo di Clio, cit., p. 128.
Riferimenti bibliografici
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