I. Paul e Marc
L’Istituto Storico della Resistenza di Siena ha scelto di ricordare il 16 giugno, data di morte di Marc Bloch, l’insigne storico francese autore di studi fondamentali per la storiografia moderna. In quella data del 1944 Bloch, già pluridecorato della prima guerra mondiale, che aveva aderito alla resistenza da ultracinquantenne, fu trucidato dai nazisti dopo essere stato torturato. Pochi giorni dopo, su un altro fronte della guerra, Siena sarebbe stata liberata. Dopo quel giorno i nazisti in ritirata compirono quasi tutte le stragi più terribili: qui, nella Toscana meridionale, ricordiamo quelle di Civitella, di San Pancrazio e di Castelnuovo dei Sabbioni. Bloch rappresenta il sacrificio degli storici per la Resistenza europea, il senso della ricerca legato alla libertà, alla democrazia e al mondo dei diritti, e rappresenta anche, da laico com’era, lo spazio del mondo ebraico nella Resistenza al nazifascismo. Negli Istituti della resistenza Bloch è un po’ il simbolo del nesso tra Resistenza e storia del Novecento.
Paul Ginsborg nasceva un anno dopo la morte di Marc Bloch. Ed è morto a maggio di quest’anno. Abbiamo pensato che sarebbe stato opportuno ricordare anche Paul Ginsborg nel giorno dedicato a Bloch. Due storici non italiani, ma da tutti sentiti come patrimonio comune dell’Europa. In Italia, gli studi e i libri di Paul Ginsborg hanno sbloccato una sorta di attrito che esisteva nella cultura italiana verso gli studi contemporaneistici. Il pregiudizio che non si può fare storia degli avvenimenti vicini, perché non c’è la distanza giusta, l’attribuzione alla storia contemporanea di una sorta di vizio di campo non storico ma “giornalistico e cronachistico”. Paul Ginsborg ha spazzato via questi pregiudizi con i suoi libri sull’Italia contemporanea. In un certo senso è anche grazie a lui che gli Istituti storici hanno potuto aggiungere alla loro denominazione “Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea”. Infatti studiare e far conoscere la storia della Resistenza senza la storia del Novecento e i relativi sviluppi delle vicende politiche dalla Costituzione fino a noi, sarebbe stato un tradimento della Resistenza stessa come fenomeno europeo legato in profondità alla storia d’Europa. Quindi ricordare Paul Ginsborg nel giorno in cui ricordavamo Marc Bloch è stato per noi riconoscere i nessi profondi tra questi due storici, entrambi aperti all’interdisciplinarità ed entrambi attenti a intrecciare lo sguardo dello storico con quelli dell’antropologia e della sociologia. In questo senso ricordo Paul Ginsborg non solo come collega e amico, ma anche come un Maestro degli studi. che ha coinvolto ed accomunato tanti ricercatori su frontiere comuni di conoscenza oltre che su impegni di cittadinanza attiva e di militanza.
II. Colleghi a Firenze
Ci conoscevamo già con Paul per impegni comuni sul territorio, in specie in Val d’Elsa. E dal 2001 siamo stati colleghi all’Università di Firenze. Ma anche se abbiamo fatto diverse cose insieme come colleghi, Paul è stato più che un collega importante, perché abbiamo avuto non solo amicizia ma anche uno spirito di comunanza sul significato dell’essere docenti universitari e intellettuali impegnati nella vita civile. Anche se più giovane di me lo ho sentito come un punto di riferimento, un suggeritore di iniziative e di temi, un uomo cui ero legato da un sentimento di familiarità. Uno di quei fratelli minori che ti aiutano a trovare la strada, che ti accompagnano nel cammino, che ti guardano da fuori e ti aiutano a vederti, come è stato per me anche mio fratello Carlo1 morto prima di me. Come ha scritto Alberto Mario Cirese, per le morti dei più giovani si sente un senso di scandalo per il non rispetto da parte del destino delle sequenze vitali, e anche un po’ di paura per la vicinanza della Nera Signora. Del mio rapporto con Ginsborg fanno fede le dediche a quattro dei suoi libri datimi in dono: Il tempo di cambiare (Einaudi 2004), La democrazia che non c’è (Einaudi 2006), uno dei suoi libri che più ho amato, Salviamo l’Italia (Einaudi 2010), Famiglia Novecento. Vita familiare, rivoluzione e dittature 1900-1950 (Einaudi 2013). Dediche che attestano incontri, attività in comune, sia sul piano dei convegni sul territorio (spesso con Fabio Dei), che degli incontri di studio in Facoltà in incontri sempre ampi e interdisciplinari.2 Erano gli anni più densi della nostra vicinanza e colleganza. Ricordo la partecipazione ai Laboratori che promosse a Firenze con Pancho Pardi; la “rivoluzione dei professori”, dove fui impegnato marginalmente anche io con colleghi e allievi antropologi, e poi il dialogo col Preside Marrassini per rinnovare una Facoltà un po’ statica, che non lo aveva accolto con entusiasmo. Alla fine del millennio (era il 1998, se non erro) aveva coinvolto Fabio Dei e me nel più originale degli stage di formazione alla ricerca che abbia mai fatto, quello su un condominio di Poggibonsi, alla ricerca della vita quotidiana, dei consumi, delle feste, delle reti del ceto medio, dei familismi amorali. Una ricerca della quale noi antropologi non facemmo né bilanci né scritti ma che lui in parte utilizzò (quanto era più veloce di noi nel valorizzare i dati e nello scrivere i suoi progetti).3
Nelle sue dediche nei libri che mi ha donato usa la parola amicizia e la parola affetto, non troppo congeniali al suo stile britannico. E mi rammarico assai di non avere anche io lasciato a Paul delle dediche nei miei libri. Il problema è che ho scritto solo saggi e non libri, mentre lui ne ha scritti di libri tanti e importanti. Aveva una teoria del rigore, del sacrificio, dell’isolamento, doti necessarie per scrivere libri. Posso solo vantare di avere scritto, ancora prima di conoscerlo, per un volume da lui curato e, soprattutto, di avere fatto io il testo di una prefazione a tre firme, che approvò senza discutere. È vero che, per brevità, è una delle cose più inglesi che abbia mai scritto.4
Paul era sempre molto concentrato nel lavoro, e quando gli chiedevi una collaborazione non voleva dire di no – per amicizia e curiosità – ma non voleva dire di sì perché aveva altro da fare, ma alla lunga diceva di sì. Almeno due volte su tre. E forse anche per questo suo scrivere un po’ contro volontà, era più severo e critico nelle scritture che gli chiedevi. L’ultima scrittura che fece per me era una sorta di box in cui egli commentava il racconto autobiografico di Vittorio Meoni, partigiano senese, fondatore dell’Istituto storico della Resistenza e importante figura del PCI senese:
Anziché condividere un omaggio a un monumento della Resistenza quale era Meoni, riportò all’attualità quella memoria criticandone decisamente i rapporti familiari. Dare sempre alla storia un valore attivo era il suo ideale “professionale” in quegli anni, anni in cui però non lavorava solo su fronti “politici” ma anche su nuove prospettive conoscitive come fu la ricerca innovativa sulla storia delle famiglie europee. Era quel “passo indietro del torero” che gli studi devono fare per capire meglio lo scenario da cui nasce il presente.6
Paul per me è stato anche un maestro di “stile relazionale” del docente. In fatto di studi non accettava per principio e per formazione profonda di essere corrivo, complice, solidale né con i colleghi né con gli studenti. Ad esempio quando era relatore o correlatore di tesi pensava fosse giusto essere critico anche con lo studente “amico”, al quale aveva dato confidenza e dialogo come era suo costume. Invece noi italiani accademici abbiamo sempre sofferto un po’ di quel familismo amorale che proprio lui aveva denunciato. Spesso siamo protettivi verso i nostri studenti, li difendiamo come fossero “parenti” e non soggetti attivi di processi di formazione che ci coinvolgono. Più volte Paul, anche nella vita della nostra Facoltà fiorentina, praticò il detto – che il mio Maestro Cirese aveva quasi come emblema – Amicus Plato, sed magis amica veritas. La differenza sta nel fatto che per Paul la verità era un processo in itinere mentre per Cirese la verità era una e da scoprire dietro la scena della vita.
III. Patchwork per Paul
Ho pensato giusto fare a Paul, che ci ha lasciati, un omaggio corale, riportando alcune delle voci di ricordo comparse su varie pagine Facebook. Ricche di profili, di ricordi, di storie. Li riporto tutti anonimi come un coro comune, sperando che nessuno se ne abbia a male.
Paul era un inglese divenuto italiano rimanendo inglese, cittadino dell’Europa e del Mediterraneo. Un anglo-fiorentino, come amava dire. Un grande storico che ha scritto opere di notevole rilievo, dal libro su Daniele Manin e la rivoluzione nella Venezia della primavera dei popoli (1978) alla «Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi», uscito nel 1989, fino a «Famiglia Novecento» del 2013, passando per volumi molto impegnati sul piano civile e politico, come «Il tempo di cambiare. Politica e potere della vita quotidiana», uscito nel 2004, ovvero due anni dopo quella marcia dei professori che nel gennaio 2002 ideò nelle stanze del Dipartimento di Via San Gallo e che poi animò guidando un corteo nel centro della città. Era un vero intellettuale, un grande storico, un docente appassionato, un cittadino che partecipava alla vita politica da protagonista. Una delle sue parole chiave era “connettere”, nello sforzo di creare collegamenti tra discipline diverse, di costruire ponti dalle stanze della Biblioteca nazionale centrale di Firenze alle piazze delle città. Aveva una concezione e una pratica militante della storia. Ed è stato un militante, nell’Italia e nel Mediterraneo degli anni ’70 e ’80, come nell’Università e nelle sale di convegno di fine Novecento e degli anni Duemila, fino a quando ha potuto.
Ciao Paul.
Ci rivedremo da qualche parte. Ora mi cullo pensando ad alcune delle cose fatte assieme.
Vola alto, con leggerezza ed eleganza. Lascia perdere le gelosie. Fai come hai sempre fatto.
Ti abbraccio come non ho mai osato fare.1
Una delle eredità più importanti di Paul Ginsborg – forse la più importante – è stata l’influenza che ha avuto sui suoi studenti… l’importanza della chiarezza, della comunicazione al di fuori dell’università, dell’apertura al dibattito, e del non trattenersi oltre il benvenuto. Quando organizzava incontri politici ha stabilito che nessuno doveva parlare per più di 5 minuti.
Negli anni del social forum era molto stimato da noi studenti no-global dell’Università di Firenze perché dialogava e ascoltava i giovani senza strizzare l’occhio ai nostri estremismi ricordandoci sempre che lui era un borghese che credeva nella sfida cruciale del rinnovamento della democrazia liberale, fu una bella lezione di dialogo e onestà intellettuale, grazie professore.
Giusto qualche giorno fa sono passati dieci anni dalla seduta della mia Laurea magistrale. Il professor Paul Ginsborg era mio relatore oltre che presidente di commissione. Appena seduto mi chiese se potevo spiegare il titolo della tesi che aveva trovato criptico e al limite dell’incomprensibile. L’aspetto curioso è che era stato proprio lui ad inventare e propormi quel titolo. Ricordo di aver pensato a non poche parolacce tra me e me in quel momento… poi la discussione fu molto bella perché bello era confrontarsi con lui. Anche negli anni successivi, quando frequentavo molto San Gallo dove lui insegnava, il nostro rapporto umano e scientifico è rimasto complesso e contraddittorio, a volte al limite del conflittuale essendo lui un ironico inglese ed io un testardo calabrese. Mi sembra giusto ricordarlo così, come una persona sempre onesta e sincera nei miei confronti… e di questo lo ringrazio.8
Iscritto storico alla CGIL, prima al Sindacato Nazionale Università e Ricerca (SNUR) e poi dopo la fusione con la CGIL Scuola alla Federazione dei Lavoratori della Conoscenza (FLC). Dal 2019 presidente emerito di Libertà e Giustizia, di cui era stato fondatore nel 2002. Ginsborg aveva insegnato 15 anni a Cambridge prima di trasferirsi in Italia, dove negli anni ’80 ha avuto incarichi agli Atenei di Torino e Siena. Dal 1991 era professore ordinario di Storia dell’Europa contemporanea alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze dove ha svolto attività di docenza e ricerca fino al suo pensionamento nel 2015.
Un ricercatore rigoroso e appassionato di grande spessore, ha saputo raccontare l’Italia come pochi altri e fra le sue numerose pubblicazioni, spiccano i 2 volumi della «Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988» (1989, poi aggiornata fino al 1996 nell’edizione del 1998), una delle prime opere ad aver ricostruito la storia dell’Italia Repubblicana fino alla caduta del muro di Berlino, formando generazioni di studenti.
È stato il suo forte impegno civico in difesa della democrazia, della legalità e della giustizia sociale a renderlo un vero intellettuale organico-gramsciano dei nostri tempi. Già attivo nelle lotte della sinistra in Inghilterra prima di trasferirsi in Italia, nel nostro paese con la crisi della democrazia e la deriva berlusconiana era diventato un essenziale punto di riferimento del mondo progressista. Nel gennaio 2002 con decine di altre colleghe e colleghi dell’Ateneo fiorentino – professori, ricercatori, lettori, tecnici amministrativi e precari, ma anche docenti della Scuola, in gran parte iscritti alla CGIL – aveva promosso dal suo appartamento in Oltrarno la “Marcia dei Professori” con oltre 10 mila manifestanti sotto una forte pioggia che aveva attraversato il centro di Firenze in difesa dell’indipendenza della magistratura e della libertà di informazione. Da quella mobilitazione sarebbero nati a Firenze il “Laboratorio per la Democrazia” e in tutta l’Italia tantissimi comitati e coordinamenti di base conosciuti poi come “il movimento dei girotondi,” animato in gran parte da quel “ceto medio riflessivo” da lui teorizzato. La ricca esperienza del Laboratorio fiorentino dal 2002 al 2005 viene documenta in un libro del 2012 a cura di Cristiano Lucchi, «Il Laboratorio per la democrazia. La politica dal basso». Sempre nel 2002 Ginsborg e gli attivisti del Laboratorio hanno dato un contributo importante ai lavori del Forum Sociale Europeo a Firenze.
Signorile, elegante nelle giacche di tweed, spesso sorridente, comunque sempre gentile e raffinato, lo storico Paul Ginsborg, nato a Londra e naturalizzato italiano, si è spento ieri dopo una lunga malattia a 76 anni nella sua amatissima Firenze. Grande lavoratore e metodico ricercatore, ha rivoluzionato la storiografia italiana lasciando un segno profondo con i suoi studi dedicati alla Penisola, tra cui il fondamentale «Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi» (edito da Einaudi nel 1989). Con questa opera in due volumi ha innovato il modo di raccontare le vicende storiche italiane: oltre che alle dinamiche politiche, la sua visione ha avuto la peculiarità dell’attenzione alle mentalità, al costume, ai rapporti familiari, alle trasformazioni della società civile.
E tanto altro. Addio, caro Paul.
1 Anche Carlo Clemente, mio fratello minore, nato nel 1944 e morto del 1999, col quale siamo cresciuti insieme a Cagliari, era membro dell’Università di Firenze, come architetto urbanista.
2 Nell’iniziativa che diede luogo al volume Comparativa/mente (SEID, Firenze, 2009) a cura mia e di C. Grottanelli, Paul non scrisse ma fu un discussant straordinario.
3 P. Ginsborg, F. Ramella, Un’Italia minore. Famiglia, istruzione e tradizioni civiche in Valdelsa, Firenze, Giunti, 1999.
4 Ho scritto due brevi testi in Stato dell’Italia. Il bilancio politico, economico, sociale e culturale di un paese che cambia, a cura di P. Ginsborg, Milano, il Saggiatore- Mondadori, 1994; la prefazione è P. Clemente, P. Ginsborg, G.F. Molteni, Enigmatica mezzadria. Sull’aristocrazia contadina in G. Contini Aristocrazia contadina. Sulla complessità della società mezzadrile, fattoria, famiglie, individui, Siena, Protagon, 2005, pp. 7-10.
5 V. Meoni, Alla macchia sempre. dialoghi su una vita tra antifascismo e democrazia, Betti, Siena, 2016. L’intervistatore ero io con Ida, mia moglie, poi curatori del libro pubblicato per l’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’Età Contemporanea (ISRSEC).
6 P. Ginsborg, Famiglia Novecento. Vita familiare, rivoluzione e dittature 1900-1930, Torino, Einaudi, 2013. Anche questo testo riporta questa dedica «Con grande affetto e stima, Paul», stima forse immeritata che certo mi riempie di nostalgia e di dolore.
7 Un testo intenso e emozionato in cui mi riconosco molto.
8 Io lo interpreto come un esempio – divertente – del suo modo di essere sempre critico anche con le persone più vicine, un obbligo di stile e di professionalità.